Black Mirror: Bandersnatch | C'è un solo finale

La recensione interattiva dell'episodio speciale di Black Mirror targato Netflix

C’è chi dice ci siano cinque finali, chi sette, chi dodici. Eppure guardando l’episodio appare chiaro che il finale di Bandersnatch è uno solo, congeniato ad arte per essere uno degli ultimi percorsi indagabili, ovvero quello in cui dopo aver ucciso suo padre lo spettatore costringe Stefan a farne a pezzi il corpo – quanti l’avranno scelto subito, senza prima tentare di seppellirlo? Questa scelta dalle tinte gore ci porta all’unica conclusione in cui il gioco prende cinque stelle su cinque e i titoli di coda partono in automatico: quella in cui la figlia di Colin, Pearl Ritman, sta scrivendo la versione contemporanea di Bandersnatch per Netflix. Oltre questo passaggio (o sarebbe meglio dire oltre lo specchio) scoviamo il definitivo finale post-credit in cui, inserendo il codice TOY, Stefan ritrova il suo pupazzo Rabbit e sceglie di morire con la madre sul treno delle 8.45.

Bandersnatch è innovativo sotto molti punti di vista, ma la sua conclusione è giustamente canonica: lo spettatore attento la sente e si rende conto che, se dev’essere lui a cliccare su “Vai ai titoli di coda”, allora quel finale non è un vero finale. D’altronde lo dice Charlie Brooker per bocca di Stefan: «Volevo dare al giocatore troppe scelte, quindi sono tornato indietro e gliele ho tolte. Adesso hanno l’illusione del libero arbitrio, ma in realtà sono io a decidere il finale». E così è lo stesso autore, usando lo spettatore interagente come tramite, a decidere qual è la conclusione effettiva dell’episodio. In un film tutto costruito sulla metanarrazione, questo è senz’altro uno dei temi più interessanti: la piramide decisionale autore-spettatore-personaggio, dove ogni livello della piramide prende le decisioni per il livello più basso – l’autore per lo spettatore, lo spettatore per il protagonista. Chi influisce di più sulle decisioni dell'altro?

 

 

AUTORE/SPETTATORE

SPETTATORE/PERSONAGGIO

 


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