Black Mirror: Bandersnatch | Spettatore e personaggio

La recensione interattiva dell'episodio speciale di Black Mirror targato Netflix

In Bandersnatch lo spettatore è chiamato ad assumere una funzione ibrida, che non è totalmente equiparabile al ruolo del giocatore di videogiochi, ma che non è più solo guardare la tv. Chi ha in mano il telecomando partecipa alla narrativa del film plasmandola a seconda delle scelte (o non-scelte) prese: il fruitore, se sceglie, diventa così agente e demiurgo della storia.
Ma il vero colpo di genio in Bandersnatch è stato immaginare un intreccio che riuscisse a riflettere la forma attraverso la quale l’intreccio stesso si dispiega. Ragionando e re-inviando a se stessa, la narrativa del film investe di nuova luce non solo il ruolo di chi guarda, ma anche di colui che è guardato. Quando Stefan, creatore del suo adventure-game, sente di essere in balia della sua stessa creazione, percepisce anche di non essere più in controllo della sua vita.
 

Lo spettatore-agente capisce come alcuni dilemmi fossero innocui solo in apparenza: ogni nodo da sciogliere concorreva a far prendere coscienza al protagonista di essere solo una marionetta


Allora lo spettatore-agente capisce come alcuni dilemmi fossero innocui solo in apparenza: ogni nodo da sciogliere concorreva a far prendere coscienza al protagonista di essere solo una marionetta indifesa nelle mani di un’entità invisibile che al culmine del film potrà, a seconda del tasto che si preme, prendere persino la forma stessa di Netflix: la ciliegina sulla torta è dunque compartecipare a questo folle e ingegnoso processo di finzionalizzazione autoriale (se intendiamo Netflix come autore) che sancisce il totale spaccamento della quarta parete.
Visto in quest’ottica, la relazione che si intreccia tra spettatore e protagonista in Bandersnatch equivale a quella tra il gamer e il suo avatar nel mondo immersivo del videogame. Chi sta sul divano ha il potere di guardare ora con comprensione, ora con fare paternalistico o crudele al suo pupazzetto, decidendone la sorte con un click; senza dubbio qualcuno ha fatto spiaccicare Stefan al suolo giusto per la curiosità di vedere se tutto si sarebbe spento in un fatidico game-over, o se ci sarebbe stato dell’altro.
 

La relazione che si intreccia tra spettatore e protagonista in Bandersnatch equivale a quella tra il gamer e il suo avatar nel mondo immersivo del videogame


Ma forse questo sadismo che lo spettatore-agente si permette di avere è conseguenza di una frustrazione inconscia per cui, in realtà, anche chi guarda è manovrato da un’entità tanto esterna quanto estranea. Se questo è il caso, allora la relazione tra spettatore/protagonista in Bandersnatch non è certamente subordinante, ma paritaria: il libero arbitrio che si crede di esercitare scegliendo dapprincipio tra Sugar Puffs o Frosties è il grande bluff che si svela allo spettatore proprio nel momento in cui scade l’ultimo secondo e il tasto non viene premuto.
È questo il profondo valore allegorico di Bandersnatch a cui, per provare a dare risposta, è necessario entrare più a fondo nella tana del coniglio bianco: è il destino che decide per noi, o ne siamo gli artefici?

 

 

C’È LIBERO ARBITRIO

NON C’È LIBERO ARBITRIO


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