Black Mirror: Bandersnatch | Autore e spettatore

La recensione interattiva dell'episodio speciale di Black Mirror targato Netflix

Charlie Brooker – creatore di Black Mirror e unico sceneggiatore di Bandersnatch – gioca con lo spettatore che conosce la sua opera mettendogli a disposizione tutta una rete di riferimenti ai quali, durante la visione, può attingere per avere una più ampia visione d’insieme. Nonostante questo, Brooker non pretende un fruitore informato, poiché sa bene due cose: che chi guarda si può informare su internet una volta giunto ai titoli di coda, e che – nell’economia di tutto il film – il piacere della visione/interazione non viene intaccata dalla mancanza di conoscenze, anche se il neofita di Black Mirror è escluso dal gioco.
Riconoscere che in Bandersnatch i giochi Metl Hedd e NohzDyve progettati da Colin Ritman corrispondo ai titoli di due episodi della serie (di cui Metalhead diretto dallo stesso regista David Slade) permette allo spettatore avveduto di sentirsi accolto direttamente in uno spazio privilegiato, ma non preclude la comprensione dell’episodio al nuovo spettatore. Così anche per il glifo che è sì il simbolo della biforcazione della scelta, ma rimanda anche all’episodio Orso bianco (già citato in Black Museum) costruito anch’esso intorno a dinamiche di gioco – aprendo al dubbio: il simbolo che appare in continuazione significa che anche Stefan sta scontando una pena per nuovi spettatori (in questo caso noi)?
 

Bandersnatch ha doppia valenza: è sia il nome della creatura fantastica di Lewis Carroll, sia il titolo di un videogioco prodotto dalla Imagine Software e mai uscito a causa del fallimento della casa di produzione


Lo stesso titolo Bandersnatch ha doppia valenza: è sia il nome della creatura fantastica di Lewis Carroll, sia il titolo di un videogioco prodotto dalla Imagine Software e mai uscito a causa del fallimento della casa di produzione, che chiuse i battenti il 9 luglio 1984, giorno in cui comincia il film Bandersnatch. Certo, lo spettatore che non conosce questo retroscena potrebbe tranquillamente fissarsi sull’anno, 1984, e pensare che sia un semplice omaggio alla distopia orwelliana; va da sé che a Brooker l’accostamento non dispiacerebbe. Lo stesso poster di Ubik di Philip K. Dick che vediamo in casa di Colin conferma il carattere ultra-psichedelico della narrazione, in cui l’autore – oltre a disseminare easter egg per tutto il film – sembra fin dall’inizio lasciare allo spettatore carta bianca su come gestire al meglio il proprio intreccio.
Eppure, dopo un primo momento di galvanizzazione, chi guarda si rende conto di non avere tutto questo spazio di manovra sulle decisioni da prendere, cominciando a percepire – così come succede a Stefan all’interno della finzione filmica – che un’agente esterno sta prendendo il sopravvento. Sin dal principio eravamo indotti a dover prendere una decisione e condotti verso una precisa direzione, scoprendo infine che tutto quello strabiliante potere decisionale che Brooker ci aveva promesso era il semplice prodotto di una nostra fantasticheria: il controllo – forse – lo aveva sempre avuto lui e non ce n’eravamo accorti?

 

 

C’È LIBERO ARBITRIO

NON C’È LIBERO ARBITRIO

 


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