Z for Zaire
Il bandito e il campione: Mobutu, Alì e il Rumble In The Jungle - Sport & Storia
Da qualche parte, forse sull'isola di Jimi Hendrix e Jim Morrison, dovrebbero riposare gli Stati che un secolo di nazionalismi come il Novecento ha visto prima nascere e poi morire. Stati rilegati nei libri di storia e nelle chiacchiere degli anziani troppo impegnati nello scopone scientifico per accorgersi che il 9 Novembre 1989 in una certa città tedesca è caduto un certo muro, stati dai nomi altisonanti e conosciuti come Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, Repubblica Democratica Tedesca, Repubblica Socialista Cecoslovacca e Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, ma anche insoliti come Rhodesia o Zaire.
Quest'ultimo, oggi chiamato Repubblica Democratica del Congo, ha avuto il suo anno di gloria e di ribalta internazionale nel 1974 grazie allo sport, prima di diventare famoso per la crudezza della guerra civile che portò alla sua fine. Mobutu Sese Seko, dittatore del Congo Belga dal 1965, fu fautore di una piccola “rivoluzione culturale” che portò a una drastica deoccidentalizzazione e a un ritorno radicale agli usi e costumi tradizionali, compresa l'adozione di nomi scevri dal passato della dominazione europea, ribattezzando lo Stato, da Congo a Zaire, la capitale, da Leopoldville a Kinshasa, e addirittura se stesso, da Joseph Desirè a Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga. Forte dell'appoggio internazionale sia degli Stati Uniti sia di paesi satellite dell'Unione Sovietica, nel frattempo impegnata nell'appoggio all' “altro Congo”, quello francese, come la Romania Ceaușescu, nonostante l'assoluta assenza di democrazia e l'ampia e palesata violazione dei diritti umani, compresa l'esecuzione dopo processo sommario di quattro suoi ministri accusati di tradimento in una macabra cerimonia all'interno dello stadio di Kinshasa, Mobutu decise di far conoscere al mondo il paese che aveva creato e che stava plasmando a sua immagine e somiglianza attraverso la via più semplice e congeniale per i dittatori di ogni epoca, il “circensem”, che nel Novecento si legge “calcio”.
Per Mobutu tutto sembra andare per il meglio: nel 1973 l' A.S. Vita è il primo (e ultimo) club zairese ad alzare la Champions League Africana, l'anno successivo la nazionale, dopo aver ottenuto il pass per i mondiali di Germania Ovest, conquista anche la Coppa d'Africa, e per il dittatore la strada verso la gloria internazionale nello sport sembra in discesa. I Leopards dello Zaire si presentano alla rassegna iridata, che sarà ricordata poi sopratutto per il derby di Germania deciso da Sparwasser, con quella che è senza ombra di dubbio la divisa da gioco più bella mai indossata da una nazionale ai mondiali, con lo stemmone col leopardo giallo campeggiante su uno sfondo verde e con molte aspettative, in quanto massima espressione del calcio africano del tempo. Il girone non è dei più facili, con una Scozia mai sconfitta nelle qualificazioni, la Jugoslavia e sopratutto il Brasile campione in carica, ma la compagine africana non lascia dubbi su come sarebbe andata a finire anche con un sorteggio più benevolo; persa la prima 2 a 0 con i britannici, travolta 9 a 0 dagli jugoslavi con il portiere che chiede la sostituzione in lacrime per l'umiliazione, per la partita contro i sudamericani, fatte le dovute proporzioni, il mondo calcistico si aspetta un risultato non inferiore al 20 a 0.
Ed è qui che la storia, a pochi minuti dalla fine della partita con il risultato inchiodato sul 3 a 0 per i brasiliani (limite massimo di sconfitta accettato da Mobutu, che aveva promesso in caso contrario la liquidazione fisica di tutti i componenti della nazionale), tende la mano a Ilunga Mwepu, numero 2 della nazionale zairese. Impaurito più che ignorante del regolamento come alcune cronache amano far credere, per evitare la trasformazione in rete di una punizione da parte dello specialista Rivelino, il difensore corse fuori dalla barriera schierata prima del fischio arbitrale, calciando via il pallone. Il gesto fece la storia, il Brasile tra le risate perse, o volle perdere, la concentrazione per fare il quarto gol, Mobutu mantenne fede alla promessa e fece ritornare i calciatori in patria, condannandoli comunque all'oblio.
Il Presidente dello Zaire, incassando i risultati controproducenti dell'operazione-mondiali di calcio, per riscattare il proprio paese, ma sopratutto se stesso, dall'umiliazione decise allora di ospitare quello che andrà agli annali come uno degli incontri di pugilato più importanti di sempre, il Rumble in the Jungle tra il fu Cassius Clay Muhammad Alì e il campione del mondo dei pesi massimi George Foreman. Fu proprio Mobutu ad assicurare all'impresario del pugilato Don King, che grazie a quest'incontro, il primo da lui organizzato, metterà le basi per una brillante carriera, i dieci milioni di dollari necessari per il premio promesso ai pugili, e non pago della grande pubblicità di cui avrebbe beneficiato lo Zaire con il solo incontro decise di affiancarlo al più grande festival musicale della storia africana, “Zaire '74”. Nei piani del dittatore il concerto sarebbe dovuto essere un ulteriore spot pubblicitario e sopratutto una dimostrazione di comunione spirituale tra gli africani e gli afroamericani, grazie anche alla partecipazione di artisti statunitensi come James Brown e B.B. King. Ma un infortunio di Foreman e il conseguente posticipo dell'incontro al mese successivo fecero perdere l'appeal internazionale alla kermesse musicale, l'entrata per la quale venne quindi resa gratuita e vide la partecipazione in massa dei congolesi.
Fu proprio l'infortunio a Foreman a far dubitare per la prima volta dell'esito della sfida, essendo fino a quel momento prevista una vittoria schiacciante del campione del mondo in carica, forte di aver battuto Joe Frazier, a sua volta vincitore tre anni prima contro Alì in quello che è passato alla storia come “Scontro del secolo”, e sopratutto di essere considerato il pugile fisicamente più potente mai esistito.
Destinato a una sconfitta certa, visto anche l'impegno agonistico praticamente nullo negli anni precedenti a causa della squalifica per le critiche rivolte all'impegno statunitense in Vietnam, Alì decise di puntare le sue carte, oltre che su una preparazione atletica che lo portò a passare l'estate ad allenarsi in Zaire con risultati nettamente migliori di quelli ottenuti dall'avversario, indolente nei confronti del caldo africano, su una pianificazione tattica senza precedenti in un incontro tra pesi massimi.
Accortosi a fine del primo round di non essere fisicamente in grado di reggere un incontro tradizionale contro la violenza di Foreman, Alì decise di attuare il suo “piano segreto”, quello che poi sarà chiamato da lui stesso “rope-a-dope”, ovvero appoggiarsi il più possibile alle corde e lasciare sfogare l'avversario. Foreman, non certo il più intelligente tra i pugili, si prestò alla tattica e cadde nella trappola, e continuando a colpire senza sosta non ottenne altro risultato che l'aumentare della propria stanchezza e il diminuire della propria lucidità. Dimostrando un'abilità di incassatore e una resistenza fisica senza precedenti e sfruttando l'elasticità delle corde a cui rimase incollato per tutta la durata dell'incontro, il “musulmano più famoso d'America”, stupendo i suoi stessi allenatori, riuscì ad arrivare all'ottavo round con la freschezza necessaria per sferrare la scarica di jab e uppercut che stesero il gigante Foreman, incapace di rialzarsi prima del decimo conteggio da parte dell'arbitro.
Sempre a Kinshasa, ma molti anni dopo, anche Mobutu si dimostrò incapace di rialzarsi, colpito non da jab e uppercut ma prima dalla consueta ipocrisia dei paesi occidentali, che dopo anni passati a sfruttare le risorse minerarie del paese si accorsero improvvisamente dell'assoluta inconsistenza di qualsiasi forma di tutela dei diritti umani, poi dal crollo del certo muro, che schiacciò sotto le sue macerie i rapporti tra Zaire e Romania, infine da un insurrezione popolare conclusasi con l'instaurazione di una democrazia di cartone e la presa del potere da parte della famiglia Kabila, ancora oggi alla guida del paese.
Ad Alì invece, che aveva fabbricato con pazienza e intelligenza negli anni precedenti il mito di se stesso, un sincretismo tra l'atleta ribelle, il simbolo degli africani di tutto il mondo e il censore dei costumi occidentali, mancava solo una vittoria ottenuta riscrivendo la storia della boxe per consegnarsi alla Storia con la “s” maiuscola, che di quella calda mattina africana ama ricordare l'eroe sportivo, scordandosi spesso del dittatore vanitoso.
Commenta