WITTGENSTEIN

Il maestro, giardiniere


Per capire la vita, io dovevo capire la vita non di quelle che erano eccezioni […]
bensì la vita del semplice popolo lavoratore che costruisce la vita, ed il senso che esso le dà.
[1]
LEV TOLSTOJ


Le pareti umide della cucina della scuola elementare di Trattenbach avevano dei rigonfiamenti e piccole crepe macchiate di nero che si estendevano verso il basso, all’incirca nei pressi degli zoccoletti poco sottostanti. Bastava un niente perché la stoffa grezza del pantalone, sfregando distrattamente, tirasse giù via l’intonaco e una leggera polverina bianca. Più in alto, invece, giusto all’altezza delle volte del soffitto, le macchie nere erano quelle dei fumi della cucina. L’odore era confuso, pedante, di quelli che ormai non distingui più, e non esattamente piacevole. Su di un materasso di fortuna, steso per terra, stava sdraiato il maestro Ludwig Wittgenstein; proprio lui che, abituato agli sfarzi di Palais Wittgenstein, aveva lasciato alle spalle una Vienna ormai orfana tra le macerie dell’Impero austro-ungarico. “Il lavoro di scuola mi fa felice, ed è per me necessario; altrimenti mi si scatena l’inferno dentro”, scriveva all’amico Engelmann.

Nato il 26 aprile 1889 da Karl Wittgenstein - uno dei maggiori industriali dell’Impero - e da Lepoldine Kalmus - critica d’arte e di musica - Ludwig era l’ultimo di otto figli, tre dei quali sarebbero morti suicidi tra il 1903 e il 1918. Più timido e apparentemente meno geniale dei suoi fratelli, aveva frequentato la Realschule a Linz, un istituto a indirizzo tecnico-industriale, e aveva studiato prima ingegneria meccanica presso la Technische Hochschule di Charlottenburg (Berlino) e poi ingegneria aeronautica a Manchester. In quegli anni, infatuato di logica e filosofia e non del tutto gratificato dai suoi studi, aveva deciso di trasferirsi al Trinity College di Cambridge da Bertrand Russell, pretendendo insistentemente da questi una sorta di responso circa il proprio futuro e le proprie capacità, preannunziando così un’amicizia altalenante che poi sarebbe proseguita nel tempo attraverso un lungo rapporto epistolare e, a sua insaputa, le sorti del pensiero filosofico contemporaneo.

Il pavimento di notte era una lastra di ghiaccio e l’umidità gelava il sangue e le ossa. Il calendario recitava l’anno 1920.
Il 5 luglio Ludwig aveva preso l’abilitazione all’insegnamento a Vienna e, dopo aver lavorato d’estate come giardiniere in un monastero, il 16 settembre era già a Trattenbach, nella scuola di quel villaggio povero, sperso tra le montagne della Bassa Austria. Nella cucina aveva passato le ultime notti, dopo aver lasciato in preda alla collera - cantando per le strade a squarciagola e mezzo ubriaco - la locanda Zum braunen Hirschen in cui aveva alloggiato nel primo periodo. Da lì a poco si sarebbe trasferito in una piccola stanza sopra la drogheria del paese e in dimore sempre più primitive tra Hassback, Otterthal e Puchberg, girovagando fino al ’26 per nuove scuole dopo le sofferenze patite nelle precedenti.
A pranzo era spesso ospite dei Trath, una delle famiglie più povere e umili del luogo, mentre cenava con cacao e farina d’avena preparati in una pentola incrostata sul fondo. Il suo orizzonte, intimo e tolstoiano, era quello di essere ‘Povero fra i poveri’. Aveva conosciuto i Vangeli di Tolstoj per caso nella bottega di un libraio in un villaggio della Galizia durante la prima guerra mondiale - pur riformato, aveva deciso di arruolarsi ugualmente come volontario nell’esercito austriaco - e da lì a poco una semplice folgorazione intellettuale si era trasformata in una vera missione apostolica.

I genitori dei suoi scolari lo consideravano strano e temevano i suoi metodi. Solitario e sempre più emarginato, andava su e giù con un bastone di bambù, un taccuino sotto al braccio e i suoi consueti calzoni grigi. Alcuni contadini si rifiutavano persino di dargli il latte perché insegnava ai loro figli a fare dei conti che non avevano a che fare né con le loro attività, né con il danaro. L’ideale romantico e ingenuo della genuinità e dell’onestà contadine si sarebbe trasformato così ben presto. Nel 1921 in una lettera a Russell scriveva: “ancora a Trattenbach, circondato, come sempre, da odiosità e volgarità”; e poco dopo ancora a Engelmann: “non sono affatto uomini, sono larve nauseanti”.
In realtà, i metodi stravaganti di Wittgenstein, seppur autonomi, ben s’inserivano nel più ampio quadro della riforma del sistema scolastico, avviata da Otto Glöckel e dai suoi collaboratori. Rinnegato l’associazionismo di stampo asburgico e con ciò il passivo apprendimento mnemonico, si profetizzava l’Arbeitsschile (Scuola del Lavoro), così prediligendo la via pedagogica della partecipazione attiva dello scolaro e dello sviluppo delle capacità individuali. Perfettamente in linea alla politica in atto, Wittgenstein fa scrivere ai suoi allievi un dizionario innovativo, con espressioni dialettali e colloquiali, più accessibili ai bambini del luogo. Da lì a poco lo straordinario testo verrà pubblicato diventando per parecchio tempo uno dei più utilizzati nelle scuole, anticipando peraltro quella che negli anni a venire sarebbe stata l’involontaria metodologia delle pubblicazioni postume delle opere di Wittgenstein, tramite quaderni e appunti.

Di fatto, l’unica opera filosofica che Wittgenstein vedrà pubblicata - soprattutto grazie alla strategica prefazione scritta dall’ormai affermato maestro Russell, il quale verrà peraltro rimproverato accesamente, accusato dal filosofo austriaco di non aver capito nulla circa l’opera in questione - sarà il Tractatus Logico-Philosophicus, uno dei testi più influenti del ‘900 in cui è sostenuta la corrispondenza tra la forma logica delle proposizioni e la struttura del mondo dei fatti. Posizione teorica sulla quale ritornerà criticamente, di certo memore degli anni passati a stretto contatto con le dinamiche dell’insegnamento ai bambini, dando il via alla difficoltosa elaborazione dei concetti che, raccolti insieme, costituiranno le Ricerche filosofiche.
Wittgenstein si rende conto che con le parole - e col linguaggio - si fanno principalmente delle “cose” che linguistiche non sono - come nel caso di una semplice lastra che un muratore passa a un altro muratore - e che il loro significato sta nel loro uso, in qualità di particolari occorrenze in giochi linguistici, unicamente specifici della forma di vita umana: così riportando il linguaggio dall’idealità delle condizioni della logica (la lastra di ghiaccio priva d’attrito) alla quotidianità del «terreno scabro» in cui comunemente i parlanti s’intendono.

È l’aprile del 1926. Ludwig, poco abituato a limitare l’uso degli scappellotti tra i banchi, picchia uno scolaro poco brillante, malato di leucemia, per la quale morirà l’anno seguente. Il ragazzino sviene, il maestro entra nel panico e la notte scompare. Il 28, due giorni dopo il suo trentasettesimo compleanno, presenta le dimissioni. Profondamente colpito dall’accaduto decide di ritrovare la serenità nuovamente tra le fatiche del lavoro manuale. Ancora giardiniere.
Poi, fa persino l’architetto per la sorella assieme all’amico Engelmann.
Wittgenstein viaggia, viaggia - lo ha sempre fatto - e lo fa con amore e devozione; tra Norvegia, Austria, Inghilterra, Irlanda e persino Unione Sovietica: di ritorno e poi ancora in fuga, tra delusioni e insensatezze, è in perenne ricerca; pur sotto gli sbalzi umorali, la depressione, l’apparente agire sfrontato e incoerente e l’ombra minacciosa del suicidio. Avrebbe potuto vivere nel lusso ma lascia alle spalle un’eredità, più volte rifiutata, scegliendo sempre la via della ‘decenza’. Quello stesso amore, seppur ambiguo rispetto al dispiegarsi nella sessualità, in qualsiasi forma e in qualsiasi ambito esso si manifesti, è sempre dignitoso e sincero e rimane per lui prezioso, financo a straniarlo da avvenimenti di rilievo quali l’Anschluss del 12 marzo 1938, annessione dell’Austria al Reich di Hitler, suo compagno tra i banchi di scuola.

E così, alla stregua degli ‘altri’ amori Francis Skinner, Marguerite Respinger, Keith Kirk e Ben Richards, e delle amicizie con Russell o con Moore, c’è l’amata-odiata Cambridge, che in fin dei conti sentirà nel cuore come la propria dimora e in cui tornerà sempre - dal ‘39 in poi persino da cittadino inglese - pur dopo averla più volte abbandonata. Qui, l’11 febbraio del 1939, gli viene finalmente conferita la nomina (formale) a Professor of Philosophy. Lo rimarrà fino al 1947, anno delle dimissioni, a dieci mesi di distanza dall’aver minacciato Karl Popper con un attizzatoio incandescente durante una conferenza cui quest’ultimo era stato invitato.
“Vota alla filosofia una passione molto superiore alla mia, le sue valanghe fanno sembrare le mie piccole palle di neve” - scrive Russell - e per questo i suoi allievi lo osannano, addirittura imitandone stranezze e lessico strampalato.

Il 25 novembre del 1950 gli viene diagnosticato un cancro alla prostata. Passa l’ultimo periodo in casa del suo medico curante, il Dott. Bevan, che abita al n.76, l’ultimo di Storeys Way, perciò chiamato “Storeys End”: la pronuncia è la stessa di “Story’s end”, la storia è finita. Nella notte tra il 28 e il 29 del 1951 sussurra alla signora Bevan: “Dica loro che ho avuto una vita meravigliosa”.
Recita il Tractatus: «Le mie proposizioni illustrano così: colui che mi comprende, infine le riconosce insensate, se è salito per esse - su esse - oltre esse. (Egli deve, per così dire, gettar via la scala dopo che v’è salito). […] allora vede rettamente il mondo».[2] Un visitatore lascia sulla tomba di Wittgenstein una scala di legno, con stima e ammirazione. E forse pensa che non ci sia incoerenza alcuna nella vita di un uomo che, pur tornando sui suoi passi, persegue sinceramente e con passione la dignità del pensiero e della propria vita intera.
 

[1] L. Tolstoj, Le confessioni, Rizzoli, Milano 1979, p. 141 (corsivi miei).

[2] L. Wittgenstein, Tractatus Logico-Philosophicus, Einaudi, Torino 1964, p. 82.


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