What a MESs
Gli interventi dell'Europa per l'Italia in emergenza coronavirus spiegati bene
“L’Europa non fa nulla per l’Italia”. È una frase che in questi giorni si legge e si ascolta continuamente. Lo dicono tanti italiani, l'hanno detto Matteo Salvini e Giorgia Meloni – diffondendo inoltre le fake news su cui il presidente del Consiglio Conte li ha ripresi nella diretta facebook in cui si aggiornava il paese sulle decisioni europee. “L’Europa non fa nulla per l’Italia”, ma è vero? Ricapitoliamo un attimo cominciando dal mese di marzo, con le prime quarantene e le prime polemiche sull’immobilismo dell’Unione Europea di fronte alla crisi. Polemiche giustissime, eppure qualcosa si stava muovendo – qualcosa oltre alle manifestazioni delle persone vestite da Puffi a Parigi.
Gli interventi europei messi in ordine
13 marzo: La Commissione Europea annuncia che i paesi potranno sforare le regole di bilancio comuni per far fronte all’emergenza sanitaria, senza rischiare procedure di infrazione, sospendendo quindi il patto di stabilità. Inoltre, si allentano le regole sugli aiuti di stato, legittimando i paesi ad offrire maggiori garanzie alle proprie imprese, banche e cittadini.
17 marzo: la Commissione Europea inizia a sostenere il lavoro della società “CureVac”, impegnata nello sviluppo e nella produzione di vaccini anti-Coronavirus, con un sostegno fino a 80 milioni di euro. CureVac è l’azienda che Trump voleva acquistare e il cui principale azionista, un miliardario tedesco, rispose affermando che non era disposto a vendere l’azienda per nessuna cifra «perché la priorità sarà distribuire il vaccino in Europa».
18 marzo: la Banca Centrale Europea annuncia un piano di acquisto da 750 miliardi di euro per sostenere i Paesi, le imprese e i cittadini della zona euro contro i danni all’economia causati dal coronavirus. L’acquisto di titoli per la prima volta non è limitato dal rating – la valutazione della solvibilità di titoli e imprese – favorendo i paesi più indebitati come Grecia e Italia, che presentano molti titoli “junk”.
19 marzo: la Commissione Europea ha deciso di finanziare con 50 milioni di euro un sistema per fare scorta di mascherine, ventilatori polmonari e altro materiale sanitario per aiutare i paesi in difficoltà.
20 marzo: sono arrivate 7 tonnellate di attrezzature per l’assistenza respiratoria donate dalla Germania. Inoltre, nonostante il diffondersi a macchia d’olio dell’epidemia anche sul territorio tedesco, ha poi dato disponibilità per accogliere 70 pazienti italiani affetti da coronavirus.
L'Eurogruppo e gli Eurobond
Era abbastanza? Chiaramente no. Dopo questi primi interventi, trovandoci con quasi tutti i paesi membri in lockdown e con una crisi economica spaventosa alle porte, l’Eurogruppo è stato convocato più volte per cercare una soluzione comune all’emergenza, ma si era presentata una forte frattura fra Italia e Olanda che sembrava insanabile. Piccola premessa: l’Eurogruppo è un organo composto dai ministri dei 19 Stati membri che hanno adottato l’euro come moneta e ha un suo presidente in carica per due anni e mezzo che attualmente è il portoghese Mário Centeno. La problematica principale di questo organo è il voto all’unanimità: ogni paese ha il diritto di veto e per questo motivo è stato così complesso trovare un accordo comune che andasse bene per tutti e 19 gli stati.
La problematica principale delle decisioni dell'Eurogruppo è che devono essere all’unanimità: ogni paese ha il diritto di veto. Per questo motivo è stato così complesso trovare un accordo comune
Il nostro paese, rappresentato all’Eurogruppo dal ministro Roberto Gualtieri, proponeva insieme ad altri paesi (fra cui anche la Francia) di far emettere alla Bce una serie di titoli per creare un debito pubblico europeo (i cosiddetti Eurobond), forte delle possibili garanzie economiche strutturali di paesi finanziariamente sani appartenenti alla Zona Euro, così da evitare restrizioni o obblighi di riforme della spesa pubblica. L’Olanda, invece, rappresentata dal ministro Wopke Hoekstra, riproponeva il MES (Meccanismo Europeo di Stabilità) senza modifiche e gli strumenti di bilancio già esistenti, rifiutando di garantire un debito senza condizionalità per il suo utilizzo e la sua restituzione, e facendo leva sulla probabile incompatibilità degli Eurobond con i Trattati vigenti e con le costituzioni di alcuni paesi membri.
Il bilancio europeo, ricordiamolo, è però particolarmente limitato poiché composto da circa l’1% del PIL dei paesi membri – il bilancio dello stato italiano, ad esempio, è composto dal 48% circa del PIL – ed è già in parte stanziato per altri progetti e altre spese a livello europeo. Inoltre, creare gli Eurobond senza rinnovare prima le istituzioni europee porterebbe a rischi di non poco conto poiché si tratterebbe di un vero e proprio strumento economico federale utilizzato da una sorta di Confederazione di stati indipendenti limitatissima, senza un vero e proprio governo politico. Questo scontro è durato per giorni e sembrava insanabile per la questione del veto. Dopo più di venti ore di incontri e trattative, però, si è giunti a un compromesso fra le parti.
Che cosa prevede l’accordo
Innanzitutto, c'è la possibilità di utilizzare gli aiuti forniti dal MES con un’unica condizione: che vengano spesi per sostenere «spese sanitarie dirette o indirette, cura e costi della prevenzione collegata al Covid-19». Ogni paese potrà chiedere un finanziamento pari al 2% del proprio PIL (per l’Italia circa 35/40 miliardi di euro) e non ci sarà invece l’obbligo di accettare un pacchetto di riforme e interventi economici stabilito dalla Commissione Europea, come avveniva in precedenza con gli aiuti concessi dal MES.
Nell’accordo troviamo inoltre 100 miliardi destinati al SURE, un nuovo fondo di cassa integrazione per i lavoratori europei, 200 miliardi a sostegno alle piccole e medie imprese tramite la Banca Europea per gli investimenti e 37 miliardi destinati a fondi di coesione, il Recovery fund, per mitigare le conseguenze economiche del Coronavirus (quest’ultimi sono ancora in via di definizione).
Da questa diatriba vengono fuori due punti problematici evidenti a tutti: il primo è sul meccanismo decisionale dell’Eurogruppo, di cui l’unanimità fa da padrona e che porta sempre a compromessi al ribasso «per fare qualcosa, ma non troppo»; il secondo è sulla dimensione del pacchetto di aiuti: è un intervento importante, ma sicuramente non è sufficiente nel medio-lungo periodo e ci troveremo a discutere di nuovo tra alcune settimane su nuove misure da intraprendere.
L'Unione Europea ha istituzioni lente, diversificate su più livelli decisionali e di difficile comprensione. Tutto questo genera evidentemente confusione
L'Unione Europea ha quindi indubbiamente molti difetti: ha istituzioni lente, diversificate su più livelli decisionali e di difficile comprensione. Tutto questo genera evidentemente confusione, un dibattito pubblico caotico e diverse problematiche sui tempi di risposta alle crisi e alle necessità dei cittadini europei. Ma se dobbiamo rispondere alla domanda iniziale che ci siamo posti: no, non è vero che l'Europa "non fa nulla", come tuonano molti personaggi politici. È vero, invece, che c'è ancora molto da fare, perché le politiche adottate finora si riveleranno sicuramente insufficienti alle sfide colossali che ci troviamo a contrastare. Possiamo riuscirci però solo se riusciremo a superare gli egoismi dei singoli stati, lavorando insieme per trovare soluzioni congiunte più efficaci che possano far uscire tutti i cittadini europei da questa crisi epocale. La posta in gioco per gli stati dell'Unione è enorme, perché se non rimaniamo galla tutti insieme, rischiamo di affondare tutti insieme.
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