Vice – Lezioni di montaggio
Il montaggio di Hank Corwin ne La grande scommessa e Vice – L’uomo nell’ombra di Adam McKay
Secondo il montatore francese Albert Jurgenson lo scopo del montaggio è quello di «modificare il punto di vista della macchina da presa su di una scena nel corso di quella stessa scena, di modificare cioè la sua posizione senz’altro scopo che quello di una migliore descrizione dell’azione o di una migliore costruzione drammatica». In questa dichiarazione si evince come il ruolo del montaggio sia subordinato alla narrazione, creato per garantire quella fluidità d’azione che renda facilmente comprensibile ciò che sta accadendo in scena. Ma cosa accade se il montatore rifiuta le forme tradizionali di immersione e propone un tipo di découpage che si ribella agli stilemi classici? Ne sono un esempio gli ultimi due film di Adam McKay, regista e sceneggiatore statunitense che con La grande scommessa (2016) – vincitore dell’Oscar per la miglior sceneggiatura non originale – e Vice - L’uomo nell’ombra (2019) – candidato a ben otto premi Oscar – è riuscito a sceneggiare e dirigere opere elettrizzanti e adrenaliniche. Ma per quanto i due soggetti siano assolutamente pungenti la loro originalità risiede soprattutto nel montaggio curato dallo statunitense Hank Corwin.
Hank Cowrin ha collaborato con Robert Redford, Terrence Malick e Oliver Stone, esordendo nel 1994 proprio nel film più discusso di quest’ultimo, Assassini nati
Il montatore ha collaborato con Robert Redford, Terrence Malick e Oliver Stone, esordendo nel 1994 proprio nel film più discusso di quest’ultimo, Assassini nati, dando vita ad un montaggio schizofrenico al limite dell’osceno, creando degli sfondi psicologici che riflettono emozioni e immagini del nostro cervello. Lo stesso stile, con toni molto più pacati rispetto al suo esordio, si può ritrovare nei film di McKay, dove Corwin scandisce la narrazione in un susseguirsi di inquadrature, un vortice di immagini che a tratti fanno perdere le coordinate. Una metodologia che ricorda il montaggio delle attrazioni di Sergej Ėjzenštejn, con il quale si voleva stimolare e scuotere lo spettatore, generando in lui nuove associazioni di idee. Come spiega Sandro Bernardi ne L’avventura del cinematografo, con questa tecnica «tutto è disordinato, scomposto e ricomposto in modo da dare allo spettatore il senso di smarrimento e di caos della vita reale».
Ed è quello che accade in molte sequenze de La grande scommessa dove si racconta simultaneamente la storia di tre gruppi di persone che, prima della crisi finanziaria del 2007-2008, si accorgono che il mercato crollerà e che da questa situazione potranno trarre profitto. Il ritmo del film è sempre rapido e incalzante ma in molte sequenze i dialoghi vengono filmati con il classico campo/controcampo garantendo al lungometraggio una certa linearità narrativa, anche se i momenti più interessanti sono proprio quelli in cui il montaggio di Corwin sembra svincolarsi da qualsiasi regola e così come accadeva nel cinema di Ėjzenštejn tutto viene ribaltato, invertito e mischiato. Nella scena in cui Margot Robbie è immersa nella vasca e spiega cosa sono le obbligazioni ipotecarie, le inquadrature si susseguono l’una dietro l’altra senza alcun collegamento, solo ciò che dice l’attrice ha un senso. Assistiamo a un montaggio che non segue nessuna logica, il cameriere versa lo champagne alla ragazza quando nell’inquadratura precedente l’abbiamo già vista bere, le azioni vengono continuamente sovrapposte e intrecciate tra loro. Corwin trasgredisce – volontariamente – le leggi del montaggio narrativo ottenendo un effetto disorientante che contribuisce ad aumentare quel senso di insicurezza, ansia e timore essenziali in una storia dal finale già annunciato.
Quello che rende superlativo il lavoro del montatore statunitense è però la sua abilità nel riuscire a creare un gioco di associazioni tra le varie inquadrature del film. Anche in questo caso la lezione di Ėjzenštejn sul montaggio e le sue teorie che lo portarono a ideare il cinema intellettuale sono state la principale fonte di ispirazione per Corwin. Il regista russo – come si legge nel libro Ėjzenštejn di Aldo Grasso – pensava che la combinazione di due immagini non dovesse essere intesa come la loro somma, ma come il loro prodotto, quindi se ciascuna immagine corrispondeva separatamente a un oggetto, il loro confronto corrispondeva a un concetto. Così quando guardiamo un film dovremmo comparare «inquadrature figurative neutrali e univoche da un punto di vista semantico, entro contesti e serie costituite sulla base di un significato». Ed è proprio da questa comparazione che prende vita il montaggio di Corwin.
Con questo confronto di inquadrature, seppur del tutto scollegate tra loro, Corwin era già riuscito a far presagire lo stato psicologico del personaggio
Quando ne La grande scommessa Mark (interpretato da Steve Carrel), durante una cena in un ristorante giapponese, apprende cosa sono i CDO sintetici, la sua espressione è preoccupata e la sua reazione rabbiosa. Il montatore però già prima che la situazione precipiti, tramite l’associazione di due inquadrature riesce a far percepire il suo stato d’animo. L’inquadratura sul volto di Mark, all’apparenza leggermente infastidito, viene raccordata, e messa in associazione, con del pesce fumante appena gettato sulla piastra della cucina. Mark sta iniziando letteralmente a fumare dalla rabbia e questo ci viene confermato dalla battuta di Jared Vennett (Ryan Gosling) che rivolgendosi ai suoi collaboratori esclama: «sta per esplodere». Corwin con questo confronto di inquadrature, seppur del tutto scollegate tra loro, era già riuscito a far presagire lo stato psicologico del personaggio prima di mostrarne la reazione. Il suo montaggio, in accordo con la regia e la sceneggiatura di McKay, risulta essenziale per la comprensione della storia, perfettamente calibrato e in grado di scandire il ritmo del film.
Ma è in Vice – L’uomo nell’ombra che la loro collaborazione raggiunge i risultati più interessanti, un’opera che si muove perfettamente tra i generi, presentando con toni grotteschi il politico Dick Cheney (interpretato dall’irriconoscibile Christian Bale), vicepresidente degli Stati Uniti d’America durante l’amministrazione di George W. Bush. Probabilmente il politico più influente dell’ultimo ventennio, l’uomo che dopo i fatti dell’11 settembre, attraverso un tacito accordo con il presidente, esercitò un controllo totale sull’esecutivo.
Anche se più narrativo rispetto al suo lavoro precedente, l’ultimo film di McKay mantiene costantemente un magnifico ritmo di montaggio, trasgredendo nuovamente il linguaggio cinematografico e associando/scontrando inquadrature. Per tutto il film le varie fasi politiche di Cheney sono intervallate da rapide immagini di pesca, dettagli di ami di varie forme e scene dove vediamo il vicepresidente intento nell’attività. Ma in molte sequenze non risulta immediata l’associazione tra le immagini, che sembrano piombare sullo schermo come flashback. Tuttavia quando prima delle elezioni presidenziali del 2000 avviene il primo confronto con Bush (un bizzarro Sam Rockwell) questo utilizzo intellettuale del montaggio appare evidente.
L’incontro avviene nel giardino di una ricca casa di campagna dove il futuro presidente propone a Cheney di diventare il suo vice, ma dato che quell’incarico non lo soddisfa, quest’ultimo sfruttando la sua abilità oratoria gli propone un accordo offrendo il suo contributo per «le questioni un po’ più banali», in altre parole: responsabilità esecutive nel settore militare, politica estera ed energetica. Quando Cheney inizia a parlare un raccordo mostra una canna da pesca che getta l’amo, il politico continua ad argomentare in modo esplicitamente affabulatorio, cinico e ingannevole. Terminato il discorso fissa negli occhi Bush aspettando una sua risposta; il futuro capo del governo con espressione ingenua, mentre mangia una coscia di pollo, si dichiara favorevole e bendisposto ad accettare tutte le sue richieste. L’immagine seguente mostra il filo della canna da pesca in tensione, il pesce ha abboccato, Bush è caduto nella trappola di Cheney e il tutto è percepito tramite questa comparazione di inquadrature totalmente dissociate dal punto di vista narrativo. Ma Corwin non si limita a questo, nel passaggio successivo ci mostra il futuro vicepresidente che ride di gusto con espressione compiaciuta. Questa inquadratura non è il controcampo che segue la risposta di Bush ma la reazione emotiva dello stesso Cheney, una risata sarcastica, al limite del surreale che mette in ridicolo la figura del presidente o forse potrebbe essere interpretata come il sogghigno dello stesso Christian Bale che si toglie la maschera ed esce dal personaggio, una sorta di commento a quello che abbiamo appena visto in scena.
Corwin come pochi altri è in grado di imporre alla storia un ritmo forsennato servendosi di un montaggio frenetico e intelligente, capace di dare forma a concetti e idee in modo singolare. Nei film di McKay, la sua abilità nel frammentare le inquadrature, scomporre e ricomporre, associare e dissociare, è fondamentale e diventa il metodo più efficace per far comprendere allo spettatore le realtà politiche e finanziarie della nostra epoca. Come per La grande scommessa anche per Vice – L’uomo nell’ombra il montatore statunitense è stato candidato all’Oscar: il 25 febbraio sapremo se il suo genio sarà finalmente premiato con il riconoscimento più prestigioso.
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