Verso una letteratura dei segni
Scrivere e tradurre nella Cultura Sorda: le possibilità letterarie della lingua dei segni
A otto anni mi sono trasferito da una scuola per sordi alla scuola elementare del mio quartiere. È stato uno shock. La scuola per sordi, dove ero circondato da compagni sordi e dalla lingua dei segni, era l’unico ambiente di apprendimento che avessi mai conosciuto. All’improvviso mi sono ritrovato catapultato in un luogo in cui ero l’unico studente sordo. Nella mia nuova scuola ero affiancato da un interprete della lingua dei segni che mi aiutava a capire tutto ciò che accadeva intorno a me. Quando l’interprete non c’era, prestavo attenzione alla bocca delle persone, osservavo i loro movimenti e gli attribuivo parole e significati, imparando un po’ alla volta a leggere le labbra. Ben presto mi sono stancato di tutto ciò e mi sono ritirato nella biblioteca, con la sua rassicurante regola del silenzio e i suoi scaffali pieni di storie. Durante ogni ricreazione, invece di leggere il labiale leggevo le pagine dei libri: i dialoghi erano già trascritti per me e non dovevo colmare le lacune. La letteratura era per me più importante delle altre persone, rappresentava uno strumento per conoscere il mondo degli udenti in cui vivevo: i romanzi rosa mi hanno insegnato che le persone udenti gemono di piacere; i thriller e i gialli mi hanno insegnato che le conversazioni segrete e sussurrate avvengono in corridoi bui o in stanze dimenticate; la fantascienza mi ha fatto conoscere una tecnologia che prefigura problemi di salute, malattie congenite, disabilità cronica e morte prematura. La letteratura mi ha mostrato anche la percezione che gli udenti hanno delle persone sorde: siamo esseri apparentemente fragili e strani, creature irraggiungibili, indomabili, poco disposte a piegarsi all’opinione comune (ovvero delle persone udenti). Abbiamo un’identità, ma scarsa capacità di azione e autonomia.
La lingua dei segni era stata la mia prima modalità di comunicazione, il mio primo strumento di interazione
Quando mi iscrissi all’università la mia capacità di comunicare tramite la lingua dei segni era diminuita: dal momento in cui avevo lasciato la scuola per sordi, avevo rimpiazzato la lingua dei segni con ore di logopedia. Quando ho ricominciato a utilizzarla regolarmente, mesi dopo il diploma, faticavo a ricordare parole e frasi di base. «Sei così inglese, così robotico», mi disse una volta un compagno di università mentre comunicavamo nella lingua dei segni. «Ma la conosci la lingua dei segni?». Mi irrigidii e andai subito sulla difensiva. «Sì, certo», risposi, l’avevo imparata in una scuola per sordi. La lingua dei segni era stata la mia prima modalità di comunicazione, il mio primo strumento di interazione all’interno di una comunità. «Cosa sto sbagliando?» chiesi. «Devi usare il corpo, non solo le mani». Riprendendo familiarità con la lingua dei segni ho anche scoperto l’esistenza di autori sordi. Mi ha entusiasmato trovare qualcuno che, come me, parlasse di persone sorde impiegando sfumature e specificità culturali, e rappresentandole come individui dotati di potere e capacità di azione. Quando ho iniziato a riconoscermi nell’identità Sorda con la “S maiuscola” (la S maiuscola indica un’identità culturale, non una condizione medica) e sono diventato un adulto Sordo, mi sono rivolto alla letteratura scritta da autori Sordi per legittimare la mia esistenza. Quando ho letto le loro storie su persone sorde che usano la lingua dei segni americana, mi sono riecheggiate nella mente le parole del mio compagno di classe: sei così inglese. Nella maggior parte della letteratura in cui viene usata, la lingua dei segni americana trova spazio esclusivamente come equivalente dell’inglese. Più leggevo storie del genere, più mi rendevo conto che questo approccio non mi soddisfaceva. Per me l'ASL (American Sign Language, ndr) è una lingua completamente a sé stante, diverso dall’inglese, anche se spesso agli studenti sordi viene insegnato a scrivere in una commistione tra lingua dei segni e inglese (nella scuola per sordi che ho frequentato, per insegnarci meglio l’inglese, utilizzavano spesso regole grammaticali e sintassi inglesi nella lingua dei segni). Ma scrivere in inglese che qualcuno sta utilizzando la lingua dei segni è una semplice opera di traduzione; quando autori sordi rendono la lingua dei segni in inglese, lo fanno attraverso la traduzione, compiendo un passaggio da una lingua all’altra.
I segni sono la linfa vitale della cultura e della comunità Sorde
La maggior parte delle volte, quando traduciamo, pensiamo all’atto del tradurre come al passaggio di significato da una lingua all’altra. La faccenda però si complica, specialmente nella traduzione di un testo, se tecnicamente non esiste un equivalente scritto dell’ASL. Del resto, la traduzione di una lingua è possibile soltanto se ne riconosciamo l’origine. Se pensiamo alla lingua dei segni come a qualcosa da tradurre, piuttosto che da trascrivere, rendiamo giustizia alla sua specificità. Non riconoscere la sua origine vuol dire ignorarne il significato stesso. La lingua dei segni, in fin dei conti, è la lingua associata alla Cultura Sorda. È la lingua con cui le persone sorde comunicano tra loro al di fuori delle consuetudini della comunità udente. Anche se i sordi scrivono in inglese, conversano tramite i segni. Le nostre storie sulle persone sorde prendono vita dai segni. Spettegoliamo con i segni. Condividiamo esperienze con i segni. Costruiamo legami con i segni. I segni sono la linfa vitale della Cultura e della comunità Sorde.
Usando la lingua dei segni, ci sublimiamo all’interno della comunità Sorda, ci allontaniamo dall’inglese e dal mainstream per entrare in un mondo e un linguaggio al di fuori degli schemi tradizionali. Se invece percepiamo la lingua dei segni e l’inglese come intercambiabili, ignoriamo l’eredità culturale che deriva dalla lingua dei segni. Ignoriamo la narrazione già condivisa nella lingua dei segni. Soprattutto, ignoriamo la specificità fisica della lingua dei segni e il movimento corporeo necessario per esprimersi in modo efficace. Se usiamo l’ASL nelle nostre storie, dobbiamo riconoscerla per quello che è: una lingua a sé stante. È una lingua che viene dal corpo, che inizia e finisce nel corpo. Per catturare la lingua dei segni sulla pagina, dobbiamo capire da dove parte il segno; dobbiamo leggere storie in cui la lingua dei segni è resa con il suo elemento di corporeità. Dobbiamo scrivere delle mani e di come si muovono, del viso e dell’espressione che lo accompagna, della velocità e della forza di ogni segno. Tutto questo può e deve avvenire sulla pagina prima della traduzione in inglese.
Per catturare il linguaggio dei segni sulla pagina, dobbiamo capire da dove parte il segno
Ogni traduzione ha bisogno di un punto di partenza. È per questo che, prima di metterci a leggere, ci soffermiamo sulla lingua madre dei libri tradotti e su chi li ha tradotti. Alcuni autori sordi, invece di tradurre la lingua dei segni, hanno cercato di avvicinarla il più possibile all’inglese, cercando di mantenerne i tratti specifici pur scrivendo in inglese. Una tecnica che viene utilizzata è quella di scrivere storie in cui i dialoghi in lingua dei segni adottano la grammatica ASL per mostrare come tale dialogo viene percepito da una persona sorda. In sostanza, la sintassi dell’ASL viene resa in inglese scritto; questa tecnica viene chiamata ASL gloss. Ad esempio, in Men With Their Hands di Raymond Luczak, l’autore traduce la semplice frase in lingua dei segni di un personaggio «Scusate sono in ritardo» in «Scusate-Scusate io r-i-t-a-r-d-o». Un simile approccio alla resa dei dialoghi in lingua dei segni porta sulla pagina la grammatica e l’ortografia dell’ASL, ma ritengo che non ne riconosca appieno le esigenze spaziali e fisiche e che non colga le sfumature emotive della lingua. Chi non conosce l’ASL non saprebbe perché “scusate” (un segno fatto con il pugno che si strofina in cerchio sul petto, come se ci si stesse lavando il cuore) viene ripetuto due volte, o perché la parola ritardo viene compitata. Non ci si rende conto della specificità di ciò che viene comunicato quando un segno è ripetuto o una parola è compitata attraverso la dattilologia. In questo modo in realtà la lingua dei segni sembra simile all’inglese, anche se con regole sintattiche diverse, e non si pone l’attenzione sul modo in cui il corpo si muove per creare il dialogo sulla pagina né sul perché.
La dattilologia, o alfabeto manuale, è la tecnica attraverso cui è possibile compitare le parole lettera per lettera nelle lingue dei segni
Per sapere come si muove il corpo del personaggio e come si esprime, bisognerebbe conoscere la lingua dei segni al punto da riuscire a visualizzare le frasi nella propria mente. Per rendere giustizia all’ASL dobbiamo riconoscere la sua origine. L’ASL nasce dal corpo. I segni non si fanno solo con le mani, ma anche con le dita, le braccia, il petto, la mascella, il viso. Gli insegnanti di ASL spesso si soffermano sulle espressioni facciali e sulle specificità direzionali e spaziali di ogni segno. E, a seconda del contesto e del clima emotivo, un segno può essere prodotto in modo debole o rapido. Un segno può essere carico di tensione, con la mano che vibra per l’emozione. Prima di passare alla traduzione inglese, dobbiamo pensare a ciò che il corpo sta facendo. Come si muove il corpo? In che modo la mano crea la forma? Il personaggio fa fatica ad esprimersi? Chi lo guarda se ne accorge? Se ne preoccupa?
Per rendere giustizia all’ASL dobbiamo riconoscere la sua origine
Prima di pensare alla lingua dei segni come dialogo, pensiamola come azione. Non è solo un linguaggio, è un’azione che si compie con il corpo, un’azione che trasmette un significato. È un’azione che ci radica ai valori della comunità Sorda. La lingua dei segni è il nostro linguaggio e il nostro modo di comunicare. È il nostro modo di interagire con il mondo che ci circonda. Se vogliamo scrivere la lingua dei segni americana, dobbiamo mettere in primo piano il corpo. Dobbiamo mettere in primo piano il corpo e pensare a come si muove, prima di passare a qualsiasi struttura inglese. Altrimenti, la lingua dei segni esiste in uno spazio liminale. In quanto individuo che ha vissuto in uno spazio liminale prima di trovare una comunità e un metodo di comunicazione, voglio che la lingua dei segni trovi il suo posto come lingua a sé stante all’interno della letteratura. Voglio che trovi spazio sulla pagina così com’è. Voglio che sia radicata alla sua origine. Non voglio che se ne scriva solo in una lingua che o la snatura o la priva di sfumature. Così come alla fine io sono riuscito a trovare uno spazio dove poter alimentare la mia identità di persona sorda, voglio che la pagina scritta sia uno spazio in cui la lingua dei segni e le sue idiosincrasie possano diffondersi ed essere viste come ciò che sono: una lingua che rimane intrinsecamente legata alla sua origine.
Ross Showalter è uno scrittore e critico statunitense. Suoi testi sono stati pubblicati sul New Yorker, Electric Literature, Strange Horizons, Catapult e Black Warrior Review. Insegna scrittura creativa al UCLA Extension Writers' Program. Questo articolo è stato pubblicato il 18/02/2022 su Literary Hub ► Toward a Literature of Sign Language | Traduzione di Serena Mannucci. In copertina un dettaglio dalla locandina del film CODA - I segni del cuore.
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