Un ponte spaventoso verso la realtà

Come l’orrore vive a un passo dal quotidiano in tre romanzi contemporanei in bilico tra ossessioni e maledizioni

Scrivere dell’orrore può essere una buona strategia per capire, esattamente, cosa questo genere di orrore comporti. Ci sono eventi o creature indicibili che se ne stanno innestate nella realtà. Si prova quindi a scardinarli per analizzarli, per esorcizzarli e disfarcene o, se proprio un’altra soluzione è impossibile, almeno per imparare a conoscerli e chiamarli con il loro nome. Tre romanzi usciti nella seconda metà del 2024 prendono tre differenti tipi di orrore e li manipolano, li osservano da vicino e quasi li ristrutturano, cercando di metterne bene in vista le armi più letali e al contempo facendosi beffe del loro potere. Tre romanzi, tre protagoniste soggette a una vera e propria infestazione che scaturisce dall’orrore che le circonda, che prende una forma più o meno distintamente soprannaturale.

La prima storia è quella di Louise, protagonista di Vendesi casa infestata dell’autore statunitense Grady Hendrix, pubblicato da Mondadori e tradotto da Rosa Prencipe. Nel romanzo, la protagonista è una trentaquattrenne madre single che vive a Los Angeles, una carriera avviata come designer. Un giorno Louise riceve una telefonata da Mark, fratello minore che lei considera nullafacente e viziato fin da bambino: i genitori sono morti in un fatale incidente d’auto. Louise lascia la piccola Polly al padre e vola a Charleston. Non solo il funerale da sbrigare e la varia burocrazia la prendono subito alla gola, lì in quel posto dove non voleva tornare: lei e Mark devono decidere cosa fare della casa di famiglia. Casa che, essendo stata la madre una creativa e burattinaia, è piena zeppa di marionette.
 

Nell’improvviso silenzio, le bambole parvero inquiete. Sembrava quasi che quelle premute contro le ante della vetrinetta avessero appena smesso di muoversi. Una delle bambole tedesche di biscuit sulla mensola sembrava pietrificata nell’atto di sollevare un braccio. Un clown in fondo al divano aveva l’aria di trattenere a stento una risatina. Erano pazienti. Erano astute. Erano in superiorità numerica.
Doveva fare qualcosa per dimostrare a se stessa (a loro) che non aveva paura, così afferrò i giganteschi bambolotti Mark e Louise, li trascinò in cucina e da lì oltre la porta del garage.


Gli scenari di Hendrix sono asfissianti e spaventosi, i personaggi disegnati senza mai cadere nell’ovvietà, ma il vero talento dell’autore sta nell’innestare nella storia dell’orrore un trauma, un conflitto familiare, un problema di fondo che di soprannaturale non ha un bel niente. In Guida al trattamento dei vampiri per casalinghe (Mondadori, 2024) si parlava di emancipazione femminile, di razzismo, e qui si parla dell’incomunicabilità tra fratello e sorella, di quanto l’eredità di un dolore familiare riesca a mettere radici nelle fondamenta di un’abitazione.
 

Il vero talento di Hendrix sta nell’innestare nella storia dell’orrore un trauma che di soprannaturale non ha un bel niente


Il fatto che la casa sia infestata è evidente fin da subito. Lo sanno le sorelle della madre, lo sa benissimo Mark e lo sa Louise che viene quasi accecata da una bambola. Il problema vero per lei sarà accettare l’infestazione, capire che per risolverla deve affrontare il presente, ma anche il passato, con il fratello. Il romanzo stesso è suddiviso in parti titolate con le fasi dell’elaborazione del lutto, si va dalla fase di negazione a quella di accettazione, un percorso che riguarda la morte dei genitori così come la presa di coscienza che ogni piccolo trauma ha lasciato scaturire, una scelta narrativa che rende la lettura estenuante ma dal ritmo serrato.


Vendesi casa infestata è l’ottavo romanzo dello scrittore, sceneggiatore e giornalista statunitense Grady Hendrix



Anche il romanzo Qui non c’è niente per te, ricordi? di Sarah Rose Etter, pubblicato da La Nuova Frontiera e tradotto da Lorenzo Medici, segue una struttura particolare, in questo caso l’anatomia di una melagrana: dell’epicarpo al seme, che corrisponde allo stato di maturazione, o forse disfacimento, della sua protagonista. Cassie vive a Los Angeles e lavora per un’importante nuova azienda della Silicon Valley, ha un rapporto complicato con i genitori, soprattutto con la madre, e una relazione poliamorosa che non riesce davvero a gestire e ha poche amiche, a pezzi quanto lei. Ma la crisi di Cassie, capro espiatorio sul luogo di lavoro, perennemente sola, impaurita e allo stesso tempo disgustata dalla città in cui vive, ha una forma particolare. Sopra di lei, sin da quando è bambina, galleggia un buco nero.
 

Quando sono uscita da mia madre, il buco nero deve avermi seguita: era legato a lei, proprio come me. Senza saperlo, quel giorno il dottore ha tagliato due cordoni: uno rosso e uno nero.
Il buco nero raggiunge il massimo della potenza quando sono da sola. Quando ho altre persone attorno in genere resta piccolo, si riduce a un puntino. Ma se la malinconia diventa troppo forte, se cresce e prende il sopravvento, ecco che il buco nero si gonfia, una massa roteante che taglia fuori il mondo. Ha un profumo dolce e metallico, come quello di cui parlano gli astronauti quando descrivono l’odore dello spazio cosmico: sentori di argento saldato, lamponi, carne bruciata.


Spesso Cassie ha visioni distorte, scaturite da attimi di panico sul luogo di lavoro, da litigi con le amiche, da telefonate con il padre. E a noi che la leggiamo toccherà chiederci se è tutto vero o se forse Cassie non è l’ennesima voce inaffidabile a cui dobbiamo prestare cautela quando ne leggiamo le opinioni.


Il secondo romanzo di Sarah Rose Etter arriva in Italia tre anni dopo l’esordio Il libro di X, uscito con Pidgin nel 2021 con la traduzione di Stefano Pirone



Di credere o meno a qualcuno dobbiamo preoccuparci anche nella lettura de La penitenza di Eliza Clark, pubblicato da Bollati Boringhieri nella traduzione di Francesca Manfredi. In questa storia l’orrore ha una consistenza ben più solida e reale: Joan Wilson, sedicenne, è stata torturata e uccisa da tre coetanee in una cittadina di mare inglese, Crow-on-Sea. Il piccolo paese turistico sembra aver appetito per le storie strane e perverse: ci sono fantasmi di epoca vichinga, processi alle streghe, hotel infestati e una quarta ragazza deceduta in un parco acquatico quando le protagoniste erano bambine. Eppure nel caso di Joan Wilson non esistono mostruosità horror o presenze surreali, ma una realtà multiforme che ci costringe a prestare attenzione a come la storia ci viene narrata. L’autrice affida infatti il racconto al fittizio Alec Z. Carelli, giornalista in cerca di successo dopo diversi fiaschi editoriali. L’uomo riprende le vicende delle tre ragazze e le interviste che è riuscito a strappare, ma sotto la sua penna Angelica, Violet e Dolly assumono nuove fattezze, forse pronunciano parole mai dette davvero.
 

Quella che segue è la prima di quattro sezioni della mia personale interpretazione di un evento fondamentale, avvenuto l’anno prima dell’omicidio. Queste sezioni in prosa sono state riadattate da alcune interviste con Jayde Spencer, da blog e dalla mia corrispondenza con Angelica e Violet, e servono a dare al lettore una visione emotiva della vita di ciascuna delle colpevoli prima dell’omicidio.


L’occhio di Carelli non è certo il primo ad aver approfondito il dramma di Joan Wilson e sicuramente non l’ultimo a tentare di manipolarne la storia, in una fissazione ossessiva sull’omicidio che trasuda in modo ferale in ogni personaggio di questo lungo romanzo quasi corale. Carelli si insinua, lui stesso come una sorta di presenza infestante, nelle vite dei genitori della vittima e delle colpevoli, cerca le ragazze che frequentavano la scuola con loro per intervistarle, riportando alla loro memoria ciò che magari avevano cercato di rimuovere. L’azione del giornalista è smuovere l’acqua torbida, lasciando risalire a galla non solo le atrocità e gli abusi avvenuti – le piccole dispute adolescenziali, il bullismo opprimente fino all’assassinio – ma facendo sì che quest’acqua diventi ancora più sporca aggiungendo lui stesso una parte di finzione che dimostra quando l’orrore ha spazio di manovra, nonché la sua ossessione per questo omicidio. 


La penitenza è il secondo romanzo della scrittrice britannica Eliza Clark. L’esordio Boy Parts (2020) e la raccolta di racconti She’s Always Hungry (2024) sono ancora inediti in Italia



È infatti l’ossessione il trait d’union dei tre romanzi, in particolare l’ossessione per la finzione in Vendesi casa infestata. Louise che, ad esempio, continua a chiedersi se è lei la brava figlia, se è lei che davvero ogni volta deve sistemare i guai di quella famiglia da cui ha voluto allontanarsi. E la finzione in questione viene personificata nella realtà nella casa infestata e nel subdolo burattino di nome Pupkin. La realtà, suggerisce l’autore, non avrà rispetto di noi se non saremo sinceri con lei. Un personaggio secondario, la prima volta che impugna Pupkin assume immediatamente lo stesso tono che utilizzava la madre di Louise quando lo impersonava. Perché le maschere, e le bambole, sono un filtro che mettiamo tra noi e la realtà. Come dice Mark:
 

Lavorare con i burattini e lavorare con le maschere sono in pratica la stessa cosa ed è difficile descrivere com’è indossare una maschera alle persone che non l’hanno mai fatto. Ma nell’istante in cui metti una maschera, non sei più tu. Idem con i burattini. Infilane uno e la tua postura cambia, la voce si altera e riesci a percepire ciò che vuole il pupazzetto, ciò di cui ha paura, ciò di cui ha bisogno. Non sei tu a indossare il burattino. È il burattino a indossare te.


Allo stesso modo il buco nero che aleggia intorno a Cassie in Qui non c’è niente per te, ricordi? si nutre della sua ossessione, o almeno dell’ossessione che le è stata inculcata: performante sul lavoro, sempre perfetta con le amiche, il padre che le dice che va bene essere separati da tanta distanza perché lei farà sicuramente carriera. E noi alla fine dobbiamo credere alla protagonista, a quello che vede, perché la scrittura di Etter è totalmente immersiva e quelle paure, quelle crisi e quei timori ci appartengono. Solo noi stiamo davvero accanto a Cassie e questo rende forse questa storia ancora più terrificante dei burattini di Grady Hendrix.

L’altro aspetto che lega queste storie di ossessioni è il modo in cui sono state smontate e ricostruite. Hendrix in Vendesi casa infestata prende gli stilemi classici dell’horror, e in particolare il sottogenere delle bambole assassine, ma li utilizza per sviscerare il concetto di lutto e cosa significa negare la realtà pur di non affrontare i propri traumi. Il soggetto di Qui non c’è niente per te, ricordi? sembra raccontare personaggi alla ricerca di emancipazione che finiscono per entrare in una spirale autodistruttiva, ma ci offre invece uno sguardo crudele e senza filtri su una protagonista con cui riusciamo a empatizzare fino a patirne, utilizzando paragoni che la mettono costantemente in relazione a elementi naturali: al clima, a della frutta matura (il titolo originale è Ripe). Come dice la protagonista, del resto: «Le metafore ci fanno sentire al sicuro». Infine Eliza Clark, che in La penitenza critica il true crime (il giudizio sul fandom dei mass shooter è abbastanza netto) ma che al tempo stesso critica la critica. È vero, ci dice Carelli, ha romanzato la storia della povera Joan Wilson. Eppure anche noi non l’abbiamo letta fino all’ultima pagina? Cosa c’è di tanto diverso dallo scrivere un romanzo? E noi, probabilmente, l’avremmo letta anche se fosse stata una storia vera.
 

Di burattini maledetti ne conosciamo parecchi, così come di ragazze in preda a crisi di nervi e di tragedie adolescenziali. Eppure queste sono diverse


Il modo in cui Hendrix, Etter e Clark raccontano l’orrore è sia strategia che operazione chirurgica volta a dissezionare il genere stesso. Ci danno in pasto letture di grande ritmo, ben scritte, che ci tengono incollati a scene terrificanti capaci di ripresentarsi come incubi. E dopo tutto questo quasi sembrano sorridere di fronte al nostro spavento. Non ci siamo forse resi conto che quello che abbiamo appena letto è così simile a tanta altra finzione che abbiamo incontrato nella letteratura, nel cinema, nei fumetti? Di burattini maledetti ne conosciamo parecchi, così come di ragazze in preda a crisi di nervi, per non parlare di tragedie adolescenziali. Eppure queste sono diverse, perché sono così intrecciate alla realtà che alla fine sembrano ancor più vicine al nostro quotidiano, a storie vere che abbiamo sicuramente sentito da qualcun altro.


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