Tra i fantasmi della Prima Repubblica
Il regno dei fossili di Davide Orecchio, storia di Albina e del destino che la lega a Giulio Andreotti
«Il giorno che morirà Andreotti finalmente gli toglieranno la scatola nera dalla gobba e finalmente sapremo come è andata a finire». Era il 1994 quando Beppe Grillo, all’epoca ancora soltanto un bravo comico, pronunciò questa battuta. Giulio Andreotti morirà diciannove anni dopo, portando con sé anche la scatola nera e tutti i segreti di Stato custoditi al suo interno. Quel che è rimasto sono però i ricordi e le immagini di una delle figure più importanti e controverse del dopoguerra italiano: un politico che ha attraversato tutte le fasi della Prima Repubblica e anche una parte della Seconda; un indiscusso protagonista del nostro Novecento; un uomo enigmatico e dall’immensa cultura politica – e non solo. Sette sono state le sue presidenze del consiglio, e non si contano i suoi incarichi governativi dal 1945 fino all’anno della sua morte, quando era Senatore a vita. Inoltre, il suo aspetto fisico, la sua dialettica contraddistinta da una sottile ironia, le sue affermazioni aforistiche divenute celebri, l’esser stato l’incarnazione tanto delle istituzioni quanto del Male, dei rapporti tra Stato e mafia, di quel potere che, come diceva lui, «logora chi non ce l’ha», lo hanno reso un personaggio narrativamente più che spendibile.
Da qualsiasi prospettiva lo si guardi, Andreotti offre all’artista di turno innumerevoli spunti: basti pensare al ritratto fattogli da Sorrentino ne Il Divo, dove allo spettatore ne vengono restituite le varie sfaccettature all’interno di un affresco pop in cui la sobrietà è rappresentata proprio dal Presidente stesso. Del tutto diverso è invece, come vedremo, il modo in cui Davide Orecchio lo ha sfruttato nel suo Il regno dei fossili (Il Saggiatore, 2019):
Nel partito di Dio cresce l’idea che solo l’orfano potrà arginare i comunisti per il partito di Dio, per gli americani; nel partito della storia […] cresce l’idea che solo Andreotti potrà arginare i democristiani e gli americani; Aldo Moro propone Andreotti, Berlinguer accetta Andreotti; il partito di Dio farà un governo monocolore, il partito della storia non voterà la sfiducia; eppure Giulio Andreotti disse Il compromesso storico è la quintessenza del cavallo di Troia, porta dentro i germi che distruggeranno l’Italia democristiana; disse È impensabile collaborare col dittatore, il dittatore ti spreme poi ti butta via; disse Il partito della storia è un diavolo, ed è pericoloso; ma lo disse molti anni fa, pochi anni fa.
Avevamo lasciato lo scrittore romano con gli splendidi racconti di Mio padre la rivoluzione (Minimum Fax, 2017), dove personaggi ed eventi assimilabili alla Rivoluzione d’Ottobre vengono sottoposti a un processo di riscrittura e di reinvenzione dai tratti talvolta borgesiani, senza per questo trascurare le fonti e i documenti. Ne sono usciti gioielli quali il racconto Una possibilità di Lev Trockij, che vede l’ideatore della rivoluzione permanente proiettato in una ucronia sospesa tra sogno e realtà, nella quale vive ancora in Messico e non è stato ucciso da Ramon Mercader; oppure il commovente omaggio a Gianni Rodari, Un poeta sul Volga, incentrato sulla visita dello scrittore al paese natale di Lenin. Merita di essere citato anche Iosif Adolf Vissarionovič, in cui le personalità di Stalin e Hitler sono unite in un unico, spaventoso essere umano: un espediente con cui l’autore mette in luce le analogie tra i due dittatori e al tempo stesso ne rimarca le differenze, spesso taciute o dimenticate da chi vorrebbe a tutti i costi semplificare la Storia in modo sbrigativo, come si è visto di recente al Parlamento europeo col documento che pone comunismo e nazismo sullo stesso piano.
La semplificazione e la superficialità non sono però tipiche dello storico, e Orecchio storico lo è di formazione. Se già i racconti sopracitati erano corredati da una ricca bibliografia, anche nel Regno dei fossili emerge di nuovo il suo retroterra di studi: alle ultime pagine, leggiamo appunto che la biografia Andreotti. La vita di un uomo politico (Mondadori, 2010) di Massimo Franco, Il prezzo della democrazia. La carriera politica di Giulio Andreotti di Giorgio Galli e i diari dello stesso Andreotti – parzialmente rielaborati dall’autore – sono alcune delle fonti usate per il libro. Tuttavia, Orecchio non è interessato a scrivere un romanzo storico tout-court, e nella Premessa ci tiene poi a precisare che si tratta di un’opera d’invenzione dove i «personaggi sono frutto della fantasia dell’autore». Le pagine dedicate ad Andreotti, infatti, avrebbero potuto figurare come racconto lungo all’interno di un’ipotetica raccolta in cui i leader democristiani o i faccendieri della Prima Repubblica venivano riplasmati come avvenuto con l’immaginario comunista-sovietico-rivoluzionario. Ma lo scrittore in questo caso ha intrapreso la via del romanzo, e si è servito di Andreotti in quanto entità o, come da titolo, in quanto fossile, residuo di un’epoca già consegnata alla Storia; un fossile che però segna nel profondo le vite di Albina e Simone, i due veri protagonisti del racconto.
Lo scrittore ha intrapreso la via del romanzo, e si è servito di Andreotti in quanto fossile residuo di un'epoca consegnata alla Storia
Per Albina, Andreotti è una sorta di fantasma, una presenza palesatasi nella sua vita fin dal giorno in cui, da piccola, è coinvolta in un incidente: investita da una macchina guidata da un signore in compagnia della figlia, la bambina viene portata dai due in una clinica privata per avere meno problemi con la legge; mentre suo nonno, in seguito, la porterà in ospedale: le verrà tolta la milza, e naturalmente il fisico di Albina ne risentirà, tanto da uscire dal ricovero un po’ ingobbita. «Sembri Andreotti», le dirà il nonno scherzosamente, e da lì in avanti il politico diverrà per lei un’ossessione che in qualche modo le segnerà l’infanzia. Anni dopo, quasi trentenne, Albina farà la conoscenza di Simone, ragazzo orfano di padre come lo era lo stesso Andreotti, sul quale vorrebbe fare la sua tesi di laurea in Storia. Anche la ragazza studia la stessa materia – fa il dottorato – e, divenuta coinquilina di Simone, al principio instaurerà con lui un rapporto d’amicizia che poi diventerà un amore, una relazione all’apparenza normale, poi disfunzionale come lo sono, in modo diverso, entrambi i personaggi. Simone è tra i due il più tormentato: molti sono i passaggi dedicati ai suoi sogni e in contemporanea alla sua insonnia, ai frammenti del suo diario e alle sue idiosincrasie. Quando la storia con Albina finirà, la giovane donna sarà per lui un nuovo motivo di ossessione e di angoscia, che sfocerà nella morbosità.
Come già detto, la vicenda dei due ragazzi si alterna a quella andreottiana: del leader del Partito di Dio sono ripercorse l’infanzia segnata dalla condizione di orfano di padre e dall’inquietudine cristiano-cattolica, l’apprendistato politico iniziato con la fine della guerra e la successiva ascesa al potere; la tragedia del delitto Moro e infine una sorta di racconto post-mortem in un imprecisato aldilà.
Poi Albina confessa a Simone di aver convissuto con genitori che odiava, e più i due s’accorgevano del suo odio, più cresceva il loro amore per lei, in particolare del padre, colui che più l’amava e più era odiato da lei, e di avere iniziato il proprio odio – sospetta – da bambina, quando ebbe un brutto incidente e i genitori non le furono accanto, così lei cominciò a diventare sospetta – la figlia che odia; poi Albina chiese E i tuoi dove sono?; e Simone rispose Sottoterra… mio padre e mia madre; disse Erano comunisti italiani… perciò sono morti… la loro storia è pure morta… quindi io, che studio la storia… studio la morte.
Ne Il regno dei fossili, il lettore si confronta nuovamente con le grandi capacità di scrittura di Orecchio. La sua cifra stilistica è ormai consolidata, ed è un mirabile esempio di prosa italiana contemporanea, costituita da un periodare ampio, colmo di frasi e sintagmi ricorrenti e segnato da un ricco vocabolario. I brevi paragrafi che scandiscono il racconto, alcuni anche leggibili come a sé stanti, danno l’idea di un flusso narrativo spezzettato eppure sempre coerente, caratterizzato tanto da rarefatti stralci onirici quanto da momenti di realismo. A seconda degli episodi e dei personaggi raccontati, il punteggiare può essere sia semplice e diretto sia estremamente articolato, ma ad ogni modo sempre poco convenzionale.
«Sembri Andreotti», le dirà il nonno scherzosamente
Se sotto il profilo dello stile il libro risulta eccellente, lo stesso non si può dire riguardo al testo nell’insieme: sebbene sia pur sempre stimolante e degno d’attenzione, questo è forse oggi il meno riuscito tra quelli pubblicati da Davide Orecchio. Il difetto risiede in particolare nello scarso equilibrio tra i due blocchi narrativi: nella seconda parte, l’autore sembra perdere di vista i personaggi, ed è lì che l’attenzione del lettore rischia di scemare, poiché l’incedere della storia si fa fumoso e caotico, e alcuni parti – per esempio, quella ambientata a Berlino – soffrono di una eccessiva lunghezza. La storia di Albina e Simone sembra poi fagocitare troppo, scollandosene da un certo punto in avanti, le pagine dedicate ad Andreotti, le quali sono invece perfette, testimonianza della straordinaria bravura di Orecchio nel manipolare e inserire nel flusso della finzione eventi e figure storiche.
Per quanto anche Stati di grazia (Il Saggiatore, 2014) fosse un ottimo romanzo, è chiaro che la dimensione ideale di Orecchio sia la forma breve – non solo alla luce di Mio padre la rivoluzione, ma anche di Città distrutte (Gaffi, 2012; poi Il Saggiatore, 2018). Il regno dei fossili, se fosse stato una raccolta di racconti, avrebbe forse potuto avere ancora più forza e fascino nel suo trasfigurare un pezzo di Storia, tramutando l’esperienza individuale in collettiva, facendoci sentire in modo ancor più prepotente ciò che siamo e soprattutto quel che diventeremo: nientemeno che fossili.
Commenta