Sul filo del rasoio

Un governo a singhiozzo tra ricatti e proclami

Basta poco per emozionarsi, per chi è abituato al peggio. Un tiepido barlume di detassazione – peraltro ancora in balìa della volubilità della maggioranza – scalda gli animi più vulnerabili. Il Consiglio dei Ministri celebra l’abolizione dell’IMU e una serie di provvedimenti collaterali, di cui è opportuno parlare con abbondanza di condizionali intervallati da qualche forse e probabilmente, ricorrendo saltuariamente anche agli auspici e alle speranze. Sorrisi distensivi in maniche di camicia. Complimenti vicendevoli e strette di mano. Euforia collettiva. Ma, soprattutto, ingenuità. Comprensibile, certo. Dopo che l’imposizione fiscale ha raggiunto livelli insostenibili, la prospettiva di dover pagare meno tasse, qualunque esse siano, è naturalmente di sollievo. Una prospettiva che irradia gli occhi dei contribuenti di speranza. Eppure gli italiani dovrebbero smetterla di accontentarsi della speranza, che presto si tramuta in illusione. Un po’ più di pragma, di fattualità, non guasterebbe. Sarebbe, anzi, una giusta pretesa.

I falchi, ormai, tornano in gabbia. Le felicitazioni spasmodiche per i risultati dell’ultimo Consiglio dei Ministri sono bipartisan. «Con la riforma di oggi invertiamo la rotta su un sentiero virtuoso di crescita», illude gli elettori  il Cavaliere senza perdere tempo, rasserenando gli animi. Ma tutto resta ammantato da una certa vaghezza, dissimulata in conferenza stampa. Perché mancano certezze, dopo questo decreto legge. Si è giunti all’abolizione dell’IMU sulla prima casa, ma ufficialmente solo per la rata Giugno. Già, perché per l’eliminazione della rata di Dicembre manca un passaggio fondamentale: trovare una copertura adeguata, oltre che un nuovo decreto. Si è decisa l’introduzione della service tax, preferendo un termine anglofono anziché una sigla come solito, ma per le regole bisogna attendere la Legge di stabilità ad Ottobre. Si è tentato di limare la questione degli esodati, ma per sole seimilacinquecento unità. Eppure, questa vaghezza è sufficiente per placare gli animi. «È una vittoria per il governo», annuncia compiaciuto Letta, aggiungendo che «non c’è più scadenza» per l’esecutivo. Quindi, se non fosse stato chiaro, non si tratta che di un compromesso. Uno dei molti a cui siamo avvezzi e che hanno condotto fino ad adesso a ben pochi risultati. Il massimo che il governo avrebbe potuto fare, tuttavia.

L’unico nella maggioranza a dissentire è Mario Monti, che parla di un «cedimento pericoloso per far sopravvivere il governo». Lo spirito di sopravvivenza è innato, ma la volontà di dare stabilità politica al Paese è nobile. Una crisi di governo adesso, in un momento così delicato, in cui si sovrappongono questioni annose come la crisi economica e future come il semestre europeo del 2014, è da scongiurare. Ma dopo l’abolizione dell’IMU l’esecutivo rischia di precipitare di nuovo nell’impasse. Non c’è garanzia che il recente provvedimento abbia placato il Popolo della libertà. È complicato prevedere per quanto la situazione potrà rimanere distesa. Il 9 Settembre non è lontano, e in quel giorno si scrive un altro importante capitolo di questa legislatura in bilico, quando la Giunta del Senato è chiamata a decidere circa la decadenza del Cavaliere, mentre dal Partito democratico si continua a ripetere la volontà di optare per l’incandidabilità. Sullo sfondo, pesano le parole di Luciano Violante, che dalle pagine del Corriere ipotizzava il ricorso alla Consulta sulla Legge Severino. Nonostante le pronte smentite del Pd, che si conforma alle parole espresse da Epifani, per evitare di vedersi screditato ancora una volta davanti agli occhi dei propri elettori.

Il governo sopravvive, per adesso. Sopravvive ai ricatti del Popolo della libertà, grazie anche ai richiami alla calma e ai tentativi di conciliazione di Letta. E domani? Chissà. Nonostante le puntuali rassicurazioni, non ci sono certezze sulla solidità dell’esecutivo. La frattura che si andava aprendo nella calura estiva sembra ricomporsi. Ciononostante, rimane il sentore che la sorpresa sia già pronta. Il Cavaliere non vuole cedere il passo, e il governo dipende di fatto dal suo umore. In un clima del genere, però, pare impossibile discutere di riforme strutturali, quei tanto agognati interventi che ancora non sono che un sogno, dacché realizzarli comporta necessariamente di trascurare l’interesse delle parti, in favore di quello del Paese. Le istanze così pressanti di una nazione intera, dunque, vengono subordinate all’ineluttabile necessità di mantenere quegli equilibri instabili che sostengono l’esecutivo, esacerbandone i dolori. Per aspera ad astra. Ma quelle richieste che suonano quasi come retoriche, ormai, che riguardano il mercato del lavoro e la burocrazia, non possono essere più trascurate dopo essere state lungamente disattese.

L’abolizione dell’IMU non può che essere un primo passo avanti. La stabilizzazione di centocinquantamila precari della pubblica amministrazione ne può essere un altro. Tutti provvedimenti minimi però, dinanzi a problemi assai più ampi, per nulla superficiali. Interventi secondari, ma che sono tutto quello che il governo può riuscire a fare in queste condizioni, bisogna riconoscerlo. Il rischio dell’immobilità è sempre incombente, quello della crisi della maggioranza anche. È su questo fronte, tuttavia, che si debbono concentrare gli sforzi. Perché non esistono soluzioni semplici per problemi complessi, come quelle che chi adesso si erge a salvatore della Patria ha professato per quasi vent’anni. Non si possono continuare a proporre interventi di facciata, che non risolvono le questioni più delicate alla base, che interessano il Paese in ogni àmbito, ad ogni livello. Nessuno dovrebbe assuefarsi all’idea che non sia possibile migliorare. Questo governo, in fondo, sta provando a imprimere una svolta e, per quanto tempo ancora gli sarà concesso, continuerà a farlo. Quello che manca è il coraggio. Altrimenti, i diktat saranno l’unico indirizzo per le riforme. E soluzioni alternative a questo esecutivo, al momento, con questa legge elettorale, non ce ne sono. Après moi, le déluge.


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