Stoker di Park Chan-Wook

con Mia Wasikowska, Nicole Kidman, Matthew Goode

Tra l'Asia e l'America vi è in mezzo l'Europa, ovvero, ciò che accomuna un regista coreano ad una prassi cinematografica hollywoodiana è il talento sempre verde di un certo Shakespeare. Non infastidisce che Park Chan-Wook si sia affidato ad una trama dai toni universali quanto piuttosto che non sia riuscito a conservare l'autenticità della propria visione. Una situazione nota che di recente ha portato esempi come Drive o This must be the place, derivante probabilmente dalle differenti dinamiche di mercato relative ad una distribuzione nazionale e internazionale, orientata a convenzioni globalizzate.
India (M. Wasikowska) subisce la perdita del padre e si ritrova tra le grinfie materne (N. Kidman) quando improvvisamente appare lo zio (M. Goode): raffinato, posato, freddo come il ghiaccio dove conserva la sua natura. Ecco che la famiglia Stoker può iniziare il suo viaggio tra perversione, tradimenti e accettazione.

Solita andare a caccia con il padre, con lo zio completerà la sua iniziazione, liberando la propria natura e sancendo il passaggio all'età adulta. Un film incentrato sui rapporti familiari in un contesto di atomismo individuale, dove la personalità dei personaggi subisce un dispiegamento dei codici di base piuttosto che una crescita interiore verso un altro modo di proiettare se stessi. Estroiezione e compiacimento per gli istinti egoistici di sopraffazione muovono le fila della trama, seppur finalizzati ad una conclusione che apparentemente piega gli stessi verso uno schematismo comportamentale edulcorato dell'umano, ma che in realtà si può intendere come derivante dalla più egoistica delle pulsioni: la salvaguardia della propria madre, quell'essere da cui si trae nutrimento senza necessità di corrispondere.

Il regista coreano continua la sua ricerca sulle tematiche delle relazioni familiari e della vendetta, sviluppa l'attenzione alla psicologia dei personaggi, presentati come dei blocchi monolitici di velata perversione che pur essendo figure scolpite e poco mutevoli risultano credibili. Soprattutto le interpretazioni delle attrici protagoniste – Kidman e Wasikowska – contribuiscono a sfumare dei personaggi granitici, laddove appare invece meno sfaccettato il ghignoso e compiaciuto volto dello zio. Sebbene sia in un certo senso sperimentale una costruzione dei personaggi che fornisce allo stereotipo delle sfumature variegate e non convenzionali, lo sono molto meno le azioni messe in scena per denudare le motivazioni dei vari caratteri, come ad esempio l'eccitazione sessuale di India dopo l'assassinio – compiuto dallo zio – di un ragazzo che la infastidiva.
Influente a tal riguardo la mano dell'attore e sceneggiatore del film, Wentworth Miller, molto attivo nell'ambito seriale, un campo che ha portato molta innovazione riguardo la costruzione dei personaggi, che però risulta un po' stantio se trasposto al cinema per via della diversa lunghezza e per l'appunto delle già esplorate e ripetute dinamiche televisive.

Park Chan-Wook conferma il talento visivo nella messa in scena, anche se sembra di assistere all'ennesima fiction televisiva fatta di saturi interni pastello. Si distingue al contrario la regia, ed è proprio qui che il coreano inietta un tocco personale, cercando spesso di contestualizzare i personaggi nell'ambiente e muovendo la macchina con dolcezza rispetto al perturbante di cui la narrazione cerca di farsi carico, enfatizzata al contempo da un montaggio scenico e sonoro che sfrutta sapientemente le ellissi temporali e l'emotività del momento. Stoker è un film dallo sguardo convincente che pur cedendo alla  convenzione narrativa, riesce grazie alla personalità registica, a non farle prendere del tutto il sopravvento.

 

 

«Proprio come un fiore non sceglie il proprio colore,
noi non siamo responsabili di ciò che diventiamo»


USA-GB 2013 – Horr.-Thrill. 99' **½


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