Stelle cadenti
Ingloriosa défaillance dei paladini della Gente comune. Vittoria dei Poteri forti e dell’Apparato.
L’ancestrale convinzione che tutto accada per una ragione ben definita è radicata. Nonostante Galileo Galilei e il suo concetto di inerzia, formulato ormai quattrocento anni fa. Ogni accadimento, nel pensare comune, ha una ragione o, meglio, una causa, un qualcuno che lo ha determinato. Così, nel Movimento cinque stelle, ci si affretta a trovare una giustificazione plausibile alla clamorosa débâcle elettorale delle amministrative dello scorso finesettimana. Consultazioni in cui trionfa l’astensionismo, mentre il grande sconfitto è Grillo e il suo ensemblement, inaspettatamente. Nel Movimento urge trovare un capro espiatorio, per alleviare almeno un po’ la delusione, che si mescola con l’amarezza e l’incredulità, malcelate dietro patetici tentativi di dissimulazione. Ma di governi precedenti a cui attribuire gli errori non ce n’è. Faber est suae quisque fortunae.
Come di consueto, nessuna autocritica dall’interno, almeno ufficialmente. I volti impassibili, austeri, dopo la sorpresa. Si ostenta normalità e compostezza, come se fosse una défaillance calcolata. Come se rientrasse in un programma più ampio, quasi un giusto prezzo per mirare con più decisione ad un unico obbiettivo: “cambiare il Sistema”, con la maiuscola, in grassetto, enfatico, come scrive Grillo sul suo blog. Invece, la delusione si fa sentire. C’è bisogno di una giustificazione, e che sia plausibile, e magari innovativa. Allora la sconfitta non è più una trama dei cospiratori, il risultato del complotto dei più subdoli pennivendoli, quei giornalisti perfidi che non esitano a denunciare le innumerevoli contraddizioni del partito del tutto e del niente. Ben altro, questa volta. Loro, i cinquestelle, la pretesa immagine della gente comune, sono sempre i vessati, le vittime innocenti, poveri ed indifesi. Incapaci di difendersi dai colpi a tradimento inferti dai poteri forti, che questa volta, però, hanno un alleato in più: gli elettori.
Gli irriducibili della libertà di coscienza, gli idealisti, i passionari della democrazia: sono loro il male, gli elettori. Chi vota il Movimento, si salva. Questi fanno parte dell’Italia B, come la definisce Grillo. L’Italia della disperazione, dell’esasperazione. L’Italia stremata dalle angherie e dai soprusi, che stenta e soffre. Il resto dell’elettorato – tutti quelli che non si allineano al grillopensiero – sono conniventi con i poteri forti, pertanto correi della rovina del Paese, adagiati nella loro sicurezza, insensibili alle asperità dei tempi. Questi fanno parte dell’Italia A, deprecabile e oziosa, egoista e classista, stando all’ex-comico. Che, con invidiabile fantasia, si figura orde di pensionati sanguinari e combattivi impiegati statali che si adoperano nel segreto dell’urna per garantirsi i propri privilegi, e minare le sorti dei disperati dalle cinque stelle.
Nella sconfitta, il presunto paladino degli ultimi grida più forte, con la sua ferocia da tastiera e la sua ironia elettronica, e tenta di aizzare i suoi fedeli alla rivolta. Scegliendo di non fare autocritica. Nessun commento sulle vere cause del crollo inatteso, che ha tradito ogni aspettativa di gloria, e ha scalfito l’immagine di solidità che il Movimento si era guadagnato. Appare manifesto, però, che le chiacchiere sono valse a poco. Che gli scontrini – ah, i famosi scontrini, smarriti insieme al portafogli – non sono un tema così sentito dalla gente. E gli insulti, l’oltranzismo, lo sdegnato rifiuto e l’altezzoso dissociarsi che hanno connotato la breve esperienza parlamentare dei pentastellati non hanno convinto. L’elettorato di Grillo è un elettorato occasionale, guidato dalla disperazione, e non dalla fiducia. Influenzato dai risultati degli altri partiti politici. Privo di riferimenti ideali e convinzioni solide, pronto a dare il proprio placet al miglior offerente. E, soprattutto, attento ai pràgma, alla concretezza. Per questo, la sconfitta. Con le dovute precauzioni, però, l’esito delle elezioni amministrative delinea un quadro politico inequivocabile, nonostante dall’alto del blog si minimizzi. “Abbiamo tenuto”, ci si consola.
I fatti contano, e non solo le promesse. Il Partito democratico riesce a imporsi, dopo lunghi senti, come garante del connubio. Propone riforme di comune accordo con gli altri partiti di maggioranza. Segue una linea morigerata, graduale. Di conseguenza, l’immagine del Movimento cinque stelle sbiadisce inevitabilmente. Persino l’abbrivio dell’abolizione del finanziamento pubblico ai partiti, sotto forma di rimborsi elettorali, è, in qualche modo, frutto della collaborazione costruttiva di Pd e Pdl. Un segnale evidente di cambiamento, che Grillo si è lasciato sfuggire. Per il resto, non si annovera alcuna conquista rilevante dei grillini, ingarbugliati nei propri dilemmi esistenziali, persi nella vaghezza e nell’inconcludenza. E tutelati da un ricercato oscurantismo, dovuto all’insindacabile imposizione di rifuggire ogni contatto con la televisione. Adesso, però, il controllo assoluto della coppia Grillo-Casaleggio vacilla sensibilmente, forse per la prima volta. Mostra con evidenza i limiti di un progetto privo di fondamenta e di unitarietà. Il malumore è tangibile.
La base, la base, sempre la base. È questo, il maggior pericolo, per il Movimento. Che anche i più fidati elettori si sentano delusi nelle proprie aspettative. Gli umori, difatti, sono contrastanti. Qualcuno si allinea ai dettami del capo, ma molti altri, anche dal Parlamento, non rifuggono le ammissioni di colpa. Al contempo, nei Palazzi, gli occhi empirici dei grillini vengono ammaliati dal fascino della concretezza altrui. Così c’è già chi si dice pronto ad andarsene dal gruppo parlamentare. Lo dice sottovoce, però, per non infastidire il capo.
Nelle amministrative, Siena, che ancora patisce della vicenda del Monte dei Paschi, osteggia Grillo, che non raggiunge il dieci percento. Roma, benché vessata da amministrazioni prima di centrosinistra, poi di centrodestra, delude i grillini. Nemmeno un pentastellato ai ballottaggi. Checché se ne dica, si compone un quadro che è riflesso della situazione della politica nazionale. E che si traduce in una condanna senza appello. Per adesso, sottovalutata.
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