SS IN TECHNICOLOR
Se le Waffen-SS perdono il sangue e perdono il suolo
Un giorno, parlando con Himmler, il generale delle SS responsabile del reclutamento, Gottlob Berger, gli ricorda il motto della vecchia aristocrazia ugonotta: «L’anima a Dio, la spada al re, il cuore alle dame». Ma da dietro i suoi occhialetti rotondi, l’insondabile SS-Reichsfuhrer risponde: «Oggi, per l’idea, il nazionalsocialismo esige l’anima, la spada e il cuore».
Quando nascono nel 1925, le SS sono esattamente quel che suggerisce il nome, Schutz Staffeln: «squadre di difesa» a guardia del corpo di Hitler. Sotto la guida del giovane Himmler fin dal 1929, con gli anni della crisi di Weimar e quindi con la crescita esponenziale del partito nazista il numero degli effettivi lievita fino all’ordine delle centinaia di migliaia; le SS si dotano di una struttura interna di stampo militare, mentre la penetrazione nell’alta società tedesca si approfondisce e si articola man mano che la pretesa totale della dittatura nazista si fa più forte sulla Germania; alla vigilia e soprattutto durante il conflitto, ne sono infiltrati tutti i settori chiave. Exempli gratia, Hans Frank, avvocato di Hitler e presidente dell’Accademia tedesca di Giurisprudenza dal 1933 al 1941, è graduato come Obergruppenfuhrer delle SS quando messo a capo del Governatorato Generale, nel 1939; Werner von Braun, il geniale ingegnere ideatore del missile V-2 (e poi anima del progetto Apollo alla NASA), è costretto a prendere i gradi delle SS nel 1940.
Fino a questo momento le SS s’identificano completamente col meglio della società e della popolazione tedesca, rappresentando l’avanguardia del nazionalsocialismo ovunque vadano. Non è un caso che la Prima SS-Panzer-Division Leibstandarte, il nucleo delle Waffen-SS (le SS combattenti), porti dal 1940 come simbolo una chiave, un grimaldello che apre tutte le porte. Naturale quindi che le SS siano connotate soprattutto dal punto di vista razziale. Ma quando la Norvegia è attratta nell’orbita della svastica nel 1940, si comincia a pensare a una divisione SS di volontari nordici, in obbedienza a quei precetti razziali per cui i pronipoti dei normanni erano dello stesso sangue dei tedeschi: nasce così la SS-Panzer-Division Wiking. La propaganda sfrutta l’operazione e nelle città del Reich compaiono manifesti evocativi, col nobile profilo del drakkar a fare da sfondo alla sorridente stretta di mano tra una granitica SS e un biondissimo cittadino norvegese. In basso lampeggia una scritta, contro il bolscevismo! Ecco che si vuol dire fieramente che le SS-combattenti, prima virorum della razza ariana e del nazionalsocialismo, combatteranno sul fronte orientale l’idea nemica, e gli slavi untermenschen che la professano. C’è accordo tra l’aspetto formativo e quello operativo, dato che sarà quasi sempre il fronte orientale ad aver più bisogno di braccia. Ma come accade per molti aspetti dell’epoca nazista, i distinti profili della materia in esame tendono a confondersi col tempo, assumendo un carattere di progressiva e inarrestabile radicalizzazione che facilita la rielaborazione degli schemi originari in forme più adatte alle necessità presenti, con le varie fasi di realizzazione di un’iniziativa piegate ciascuna alle non sempre chiare volontà dei diversi gruppi di potere che le gestiscono. Di qui, nel 1945, un quadro sostanzialmente diverso.
Himmler si è opposto all’ammissione nelle SS dei volontari francesi, spagnoli e valloni che accorrono al reclutamento di Berger, ma il 1942 segna una svolta. Sconvolto dalle impreviste difficoltà sul fronte russo, pare che lo stesso Hitler manifesti la necessità di un secondo Gleichschaltung: un nuovo allineamento, simile a quello politico che ha portato dalla sua i vertici delle forze armate nel 1933. Adesso, nella grave necessità di una guerra già incerta, ne serve uno ideologico che dia al nazismo quel soldato politico che tanti frutti dà a Stalin. Il motore di questo processo dovrebbero essere le Waffen-SS: in un momento in cui la Whermacht e i suoi generali vanno perdendo la fiducia di Hitler, l’organizzazione di Himmler è riconfermata come l’avanguardia del nazionalsocialismo. Così, se i cosiddetti Volksdeutsches (gli stranieri di etnia tedesca) sono stati ammessi nei ranghi delle SS fin dal 1940, inquadrati in raggruppamenti che ne ricordavano fin dal nome l’origine – come già per la divisione Wiking – a metà del conflitto le Waffen-SS cominciano ad accogliere chiunque metta a disposizione se stesso per la lotta simultanea al bolscevismo e al capitalismo. Ora le solenni parole di Himmler acquistano un senso: le nuove variopinte reclute delle SS devono dare anima e corpo all’idea, sacrificarsi per essa a prescindere da quale regione provengano. L’importante è che combattano, e non più solo contro il nemico ideale del nazionalsocialismo – il bolscevismo russo – ma anche contro il capitalismo angloamericano e i suoi emissari: ed ecco che vediamo le Waffen-SS impiegate su tutti i fronti, spedite a tappare i buchi dove si formano e a reprimere la guerra partigiana dovunque fermenti.
Corpi quantomeno singolari cominciano ad apparire nell’universo in espansione delle Waffen-SS, che prendono a deviare dall’ideale ariano cui sono state finora vincolate. Per l’Europa basterà ricordare unità come la Lettische nr.1, composta da volontari lettoni, oppure la Ellinika Tagmata Asphaleia, ribollente gruppo di greci inquadrati nelle SS combattenti; ma è la Indische Freiwillingen Legion der Waffen-SS uno dei gruppi che meglio si prestano a mettere in evidenza la pluralità e la natura opportunistica delle motivazioni all’origine di simili reparti. È Chandra Bose, capo di Stato del Governo dell’India Libera, a stimolarne la formazione in accordo con Hitler e Himmler, traendone gli effettivi dagli indiani disertori dall’esercito britannico. Vestiti della divisa delle SS e identificati dalla mostrina coi colori e la tigre dell’India libera, Azad Hind, gli uomini della Indische servono in Francia: Chandra Bose infatti chiede e ottiene da Hitler che la sua divisione combatta solo contro alcuni nemici, in particolare non contro i russi: regole d’ingaggio invertite rispetto alla gran parte delle altre formazioni di SS straniere. Ma cosa spinge Bose a quest’impresa e cosa Hitler ad avallarla? Sicuramente pesa il bisogno disperato di truppe; sicuramente hanno una parte quelle idee che vogliono il popolo germanico e certi gruppi di quello indiano provenire dall’unico ceppo ariano; ma senz’altro è decisivo il nemico comune. Un sikh può aderire alle Waffen-SS perché convinto della supremazia di una razza di cui si suppone lontano parente? Perché si trova in sintonia con Hitler sulla necessità di sgomberare spazio edificabile a est dai suoi inutili inquilini? Ingenuo crederlo; la spinta viene dal desiderio e dall’opportunità di combattere contro l’occupatore britannico. La stessa struttura motivazionale si può rintracciare in chi serve nella divisione Handschar, composta perlopiù da croati di religione musulmana spediti a combattere i partigiani – cristiani – di Tito; non diversamente per le innumerevoli, magmatiche formazioni disseminate tra Waffen-SS e Whermacht che raccolgono volontari dai paesi dell’Europa orientale e ne sfruttano la secolare avversione per i russi.
Il concetto di sangue e suolo, tra i pilastri del nazismo, voleva la razza culturalmente legata al territorio abitato. Anche in questa politica di ripiego delle Waffen-SS si cercava uno scontro tra gruppi contrapposti di sangue e suolo, ma che uno dei due fosse tedesco non aveva più importanza. Se la guerra era stata in parte decisa dal furore ideologico del Fuhrer, in extremis l’ideologia veniva rimodellata sulle esigenze di una guerra in via di fallimento. La riduzione del conflitto su scala locale, che di quell’applicazione era l’inevitabile corollario, poteva rientrare soltanto in quella strategia di resistenza ad oltranza che segnò il declino delle armate dell’Asse. Ma ci fu chi si sottrasse a questa guerra di territori ed etnie in lotta tra loro, chi combatté spinto solo dall’idea: il francese, il vallone, lo spagnolo, l’italiano che entrarono nelle rispettive formazioni di Waffen-SS. I francesi della divisione Charlemagne non stavano difendendo le proprie case quando ingaggiarono duramente i russi durante la battaglia di Berlino. Alla fine della guerra poco più del 40% delle Waffen-SS era cittadino tedesco: quando qualcuno chiede all’Europa di oggi se fu questa variopinta armata internazionale il primo esercito europeo, dovrebbe sorgerci un dubbio inquietante: l’idea che i nazisti avevano dell’Europa poteva riscuotere consenso anche tra chi non ne avrebbe tratto alcun profitto immediato?
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