Spirito di adattamento

Un viaggio tra il cinema di Charlie Kaufman e le parole di Anna Kavan


Questo articolo contiene spoiler di Sto pensando di finirla qui, per quanto sia possibile trattandosi di un film fondamentalmente astratto e contorto.                                                                                                                                                                                                                                                                   

Guardando Sto pensando di finirla qui di Charlie Kaufman, mi è bastato arrivare a metà del film perché il nerd della letteratura che è in me gridasse di gioia. (Non giudicatemi per questo: ero da solo). In una scena in cui la narratrice senza nome del film si aggira nella cameretta d’infanzia del suo ragazzo Jake, la macchina da presa inquadra brevemente una copia di Ghiaccio, romanzo allucinatorio di Anna Kavan. Successivamente, attraversando in macchina un paesaggio invernale, surreale e all’apparenza interminabile, Jake parla del romanzo inserendolo in una conversazione caotica e allusiva.
La copia di Ghiaccio immortalata nel film è quella edita da Peter Owen e non quella pubblicata da Penguin Classics nel 2017 in occasione del cinquantesimo anniversario. Quest’ultimo volume, corredato da un’introduzione di Jonathan Lethem e una postfazione di Kate Zambreno, descrive la Kavan come una scrittrice di talento ma sottovalutata. Lethem delinea il romanzo in modo conciso e afferma che il narratore, all’apparenza rispettabile, «converge lentamente con la personalità e con le ragioni del sadico e autoritario ‘guardiano’, che è l’antagonista del romanzo e il doppio dell’io-narrante». Lethem fa poi un’osservazione che può applicarsi quasi altrettanto bene al recente film che rievoca il romanzo:
 

Sebbene Ghiaccio sia sempre nitido e diretto, in esso non vi è nulla di semplice e presenta le caratteristiche tanto di un labirinto quanto di uno specchio.


La descrizione «tanto di un labirinto quanto di uno specchio» potrebbe riferirsi allo stesso modo al paesaggio presente nel film di Kaufman. In particolare, nella scena clou del film ambientata in un liceo, in cui la ricerca frenetica di un personaggio si trasforma in una riflessione sulla natura dell’identità. È quasi come se Kaufman stesse adattando il romanzo della Kavan di nascosto. Questa affermazione farà riflettere alcuni dei lettori, considerando che il film è già un adattamento più o meno fedele di un romanzo di Iain Reid, da cui prende il nome.

Sto pensando di finirla qui è una narrazione in conflitto con sé stessa, le cui contraddizioni appaiono più come una peculiarità piuttosto che come un difetto. Anche la scena in cui la narratrice e Jake discutono di libri e di film, e la ragazza cita gli scritti di Pauline Kael, è un richiamo a Ghiaccio. Non si tratta, però, di vuoto citazionismo: Ghiaccio plasma il film di Kaufman in vari modi. Al livello più elementare, alle descrizioni che la Kavan fa dei paesaggi invernali si potrebbe altrettanto facilmente accostare la neve onnipresente nel film di Kaufman. «Nevicava forte. Riuscivo a malapena a distinguere le rovine circostanti, ombre bianche e immobili al di là della coltre candida e oscillante», riflette l’io-narrante di Ghiaccio. «Fiocchi di neve diventati gialli come sciami di api attorno alle finestre illuminate».
Più addentro nel romanzo, la Kavan propone altri paesaggi invernali suggestivi: quelli in cui burrasche di neve hanno poco a che fare con le condizioni metereologiche e più con una fondamentale interruzione della realtà. «Uscimmo insieme nella bufera, scappammo attraverso il turbinio bianco come fantasmi in fuga», osserva l’io-narrante di Ghiaccio.
 

Nel romanzo della Kavan, le burrasche di neve rappresentano una fondamentale interruzione della realtà


Questi inverni insoliti non sono le uniche somiglianze tra Ghiaccio e Sto pensando di finirla qui. C’è anche la mutevolezza dell’identità, che è presente nel romanzo di Reid ma viene enfatizzata nel film di Kaufman. Ci si riferisce alla narratrice usando nomi differenti, mentre i genitori di Jake appaiono in condizioni diverse, a volte in salute ed entusiasti, altre prossimi alla morte e in preda a malattie croniche. Ghiaccio è un racconto in cui i nomi sono sporadici e in cui certi corpi presentano una malleabilità agghiacciante. Nella seconda metà del romanzo, l’io-narrante intraprende un viaggio insieme alla donna che ha cercato per gran parte del libro, scoprendo così che il corpo di lei si trasforma in sua presenza:
 

Diventò emaciata, la carne sembrava sciogliersi dalle ossa. I suoi capelli persero lucentezza, si fecero troppo pesanti, le appesantivano la testa. Teneva il capo piegato, cercando di non guardarmi. Fiacca, si nascondeva negli angoli della nave oppure barcollava per evitarmi incespicando sulle gambe deboli, non in grado di mantenere l’equilibrio.


Il film di Kaufman è pieno di trasformazioni simili: è una serie di viaggi la cui destinazione non è quasi mai quella che ci si aspettava. Verso la fine del romanzo, l’io-narrante osserva che «l’identificazione non è altro che un’illusione», un sentimento che si adegua fin troppo bene agli uomini impassibili protagonisti del film.

Ghiaccio è uno dei parecchi punti di riferimento culturali che la sceneggiatura di Kaufman apporta alla storia e che non si trovano nel romanzo di Reid. (Questo è in linea con lo spirito del romanzo che racchiude, tra le altre cose, riflessioni sull’opera di Thomas Bernhard il cui lavoro in materia di uomini solitari incattiviti non può non ricordarci il protagonista del film). Nonostante adattare un romanzo mentre se ne sta adattando un altro sembri proprio qualcosa che l’autore di Adaptation – Il ladro di orchidee nella versione italiana – farebbe, la presenza della narrativa della Kavan all’interno di una narrativa più ampia serve come pretesto per evidenziare le problematiche di genere presenti nella narrativa dominante.
Nel film di Kaufman, la narratrice – a quanto pare la ragazza di Jake – si rivela essere una sorta di costrutto della mente di lui, la versione idealizzata di qualcuno incontrato tempo prima, che si è pentito di non aver conosciuto meglio. Ho letto varie recensioni che la vedono come un insieme composito di diverse donne conosciute da Jake e presenti nella sua testa. Questo ci porta alla seguente domanda: cosa significa quando il narratore di un’opera particolare riconosciuto come affidabile all’interno della narrazione è privo del libero arbitrio a causa della realtà in cui è inserito?
 

Il film di Kaufman è pieno di trasformazioni: è una serie di viaggi la cui destinazione non è quasi mai quella che ci si aspettava


Tutto questo pone il film sotto una strana luce per quanto riguarda la gestione dell’identità di genere. Nella sua recensione del film per Polygon, Karen Han scrive che, in alcuni punti, Jake ha «l’abitudine di fare mansplaining», mentre in altri ha un approccio di vedute più aperte rispetto al lavoro della sua amata. Su IndieWire, anche David Ehrlich accenna alle tendenze di mansplaining. Non sembra affatto una coincidenza che Jake richiami il lavoro di David Foster Wallace, la cui scrittura ne è stata così tante volte esempio che si è perso il conto. Pensando a come il lavoro di Anna Kavan abbia ispirato il film di Kaufman, vale anche la pena ricordarne la biografia. Come scrive Kate Zambreno nella postfazione di Ghiaccio, la Kavan nacque Helen Woods e solo più tardi iniziò a scrivere sotto lo pseudonimo di Anna Kavan, non prima però di aver usato il nome per uno dei personaggi dei suoi racconti. Se non fosse realmente accaduto, un autore che sviluppa un’identità immaginaria e scopre che gli si adatta perfettamente potrebbe essere interpretato come un concetto postmoderno ed è un ulteriore dettaglio che suggerisce come il rimando a Ghiaccio dei paesaggi innevati di Sto pensando di finirla qui sia un elemento che si presta a diversi livelli di lettura.

 

 

Tobias Carroll è scrittore, saggista e caporedattore di Vol. 1 Brooklyn. Questo articolo è stato pubblicato su Literary Hub il 30/10/2020 Adaptations Within Adaptations: How the Writer Anna Kavan Ends Up in Charlie Kaufman's Latest Film | Traduzione di Giulia Patanè


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