Silvio Pellico
Saluzzo, 25 giugno 1789 – Torino, 31 gennaio 1854
Nella Milano dove va a vivere a vent’anni il Pellico produce una prima tragedia Laudamia che incassa il favore dell’amico Ugo Foscolo, e una seconda Francesca da Rimini che il veneto sdegna e invece il pubblico applaudirà dall’estate 1815 per mezzo secolo. Tra classicisti e romantici Silvio Pellico esita ma sceglie i secondi per collaborare al Conciliatore, che presto sarà chiuso da quelle autorità asburgiche cui lo scrittore vorrà dar battaglia entrando nella carboneria tramite l’amico Pietro Maroncelli; maldestri e sfortunati, i cospiratori saranno travolti dalle persecuzioni che scatena la polizia austriaca, messa in allarme dai moti che dal gennaio spagnolo del 1820 arrivano fino in Piemonte nel manzoniano Marzo 1821. Arrestati e condannati a morte nel febbraio 1822, Pellico e Maroncelli avranno la grazia per essere condotti al carcere duro del famigerato Spielberg, dove il drammaturgo piemontese consuma otto anni e ritrova la fede perduta in gioventù: ad essa vorrà consacrare un commovente e pure lucido libro di memorie, ma Le mie prigioni si trasforma, malgrado le volontà apparentemente contrarie dell’autore, in una formidabile arma politica che «più danno ha fatto all’Austria di una battaglia perduta».
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