Sì, l'occasione è adesso

Perché il referendum costituzionale è l’ultima occasione che il Paese ha di cambiare

Un Paese arrugginito, un Paese impantanato. Nel suo discorso per chiedere la fiducia al Senato, prima del suo insediamento nel Febbraio 2014, Matteo Renzi parlava con le mani in tasca. Parlava ad un Senato che era già intenzionato a riformare. Ad un Paese «incatenato da una burocrazia asfissiante, da norme, regole e codicilli» contrapponeva l’idea di una visione «audace e innovativa» che fosse in grado di imporre una svolta. La terminologia, in fondo, è sempre stata quella: rottamare, svoltare, cambiare, innovare. Questo è quello che davvero serve ad un’Italia gravata dai retaggi del passato. L’occasione di cambiare è adesso.
La Costituzione venne alla luce in un clima ancora incerto. Le recenti memorie delle guerre e della dittatura pesarono su ogni singola parola che venne stesa. Il risultato fu la più ampia frammentazione dei poteri, perché il rischio di una deriva totalitaria non si presentasse mai più. Se anche la Costituzione «più bella del mondo», come ci raccontano alcuni, è riuscita nell’intento di impedire una nuova dittatura, non è riuscita allo stesso modo a garantire che il Paese progredisse, si innovasse, guardasse al futuro. Lo ha reso ingovernabile, lento, perennemente impegnato a districarsi maldestramente in un qualche impasse politico o istituzionale. La frammentazione dei poteri non ha solo rallentato il futuro, ha favorito gli accordi sopra e sotto banco. Ha reso necessaria la contrattazione, sempre e comunque. La riforma del Titolo V del 2001, che ambiziosamente intendeva promuovere la sussidiarietà verticale e, in un certo senso, anche l’accountability, ha ancora di più sfumato il confine delle competenze e, di conseguenza, quello delle responsabilità. Ancora una volta si sono disperse le aree di intervento, anziché accentrarle per sfruttare le economie di scala. Così capita quello che il ministro dei Trasporti Graziano Delrio cita in un’intervista al Corriere: che la via Flaminia è di competenza regionale nel Lazio, statale in Umbria, e provinciale nelle Marche. Senza dimenticare che l’offuscarsi delle responsabilità e la frammentazione hanno rappresentato un terreno fertile per la corruzione, soprattutto ai livelli più prossimi al cittadino.

Dal Dopoguerra ad oggi, si sono susseguiti 65 governi nella storia d’Italia. Un numero impressionante, soprattutto se si considera che le legislature sarebbero potute essere 14

Dal Dopoguerra ad oggi, si sono susseguiti 65 governi nella storia d’Italia. Un numero impressionante, soprattutto se si considera che le legislature sarebbero potute essere appena 14. La storia conserva persino l’ironia dei governi balneari: quesitone di pochi mesi, giusto per mettere una toppa assai precaria alla persistente voragine istituzionale, e approvare qualche fantasiosa legge di bilancio. È intuibile che l’instabilità istituzionale e l’imprevedibilità politica non hanno giovato al Paese. Non hanno permesso di avere governi lungimiranti, che non dovessero barcamenarsi tra alleanze instabili, mentre si assisteva al proliferare di partiti. Intanto il bicameralismo perfetto ha rallentato il processo decisionale, lo ha reso più costoso, e talvolta lo ha reso praticamente impossibile. Un governo ha bisogno della certezza di poter governare e il parlamento, invece, deve costantemente verificare l’attività del governo. Entrambi debbono essere trasparenti. La riforma costituzionale definisce queste responsabilità.

Bisogna scegliere se vogliamo che la maggioranza vinca, o che vinca la maggioranza che vogliamo

Con la riforma costituzionale non c’è nessun rischio di deriva autoritaria. Ma se il timore è che, grazie anche all’apporto dell’Italicum, il Movimento Cinque Stelle vinca, questa non è una deriva autoritaria: è democrazia, per quanto lo scenario possa essere tragico. Bisogna scegliere cosa si intende per democrazia, allora. Bisogna scegliere se vogliamo che la maggioranza vinca, o che vinca la maggioranza che vogliamo. Il miglior antidoto al dilagante populismo non è altro che dimostrare che la politica può fare, e può produrre risultati in tempi brevi e certi. La riforma costituzionale consente di semplificare l’iter legislativo, pur mantenendo il processo aggravato per le materie costituzionali.
L’errore di Renzi, tuttavia, è stato la personalizzazione del referendum. Legare il proprio incarico all’esito delle urne è stata una mossa dettata da un livello di gradimento dei sondaggi che è lentamente declinato. Se in un primo momento la mossa avrebbe garantito una vittoria di margine, ora potrebbe essere il contrario, e anziché esprimersi nel merito, molti potrebbero votare per ideologia, sia da una parte che dall’altra. Questa non è la ratio del referendum, ma lo è diventata. Da una parte chi vuole il cambiamento a tutti i costi, dall’altra una vera e propria "accozzaglia": Renzi non avrebbe potuto adoperare parole migliori. Da Forza Italia alla CGIL piovono critiche imprecise e grossolane: tutti in teoria sarebbero d’accordo con la riforma, ma solo se l’avessero scritta loro.

Da Forza Italia alla CGIL piovono critiche imprecise e grossolane: tutti in teoria sarebbero d’accordo con la riforma, ma solo se l’avessero scritta loro

Il 4 dicembre prossimo, l’Italia ha l’occasione di cambiare. Di innovarsi, di portarsi al passo con il resto d’Europa. L’Italia ha l’occasione di cominciare a guardare al futuro con più concretezza e meno incertezze. La riforma costituzionale è il primo passo per tutte le altre riforme di cui il Paese ha bisogno. Ma è anzitutto una condizione necessaria. Per poter riformare strutturalmente la giustizia o il sistema fiscale serve prima una riforma strutturale dell’assetto istituzionale, che consenta di poter fare progetti per il futuro con maggiore serenità. Ridurre la burocrazia, equilibrare la tassazione, investire in tecnologia e ricerca, in infrastrutture e in servizi sono aspetti essenziali per favorire di nuovo la crescita, ma c’è bisogno di stabilità. Questa è l’occasione, forse l’ultima, che il Paese ha per progredire. Ma non «basta un sì»: ne serve la maggioranza.


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