Sfidare il lettore
Storie di memoria e di resistenza. È questo il filo conduttore della cinquina del Premio Strega 2018?
Se il premio Strega, quest’anno alla sua LXXII edizione, mantiene ancora una funzione che vada oltre le polemiche precedenti alla kermesse del Ninfeo di Villa Giulia, la si può identificare nella sua potenzialità di rintracciare e definire ciò che più si legge e si pubblica in Italia di anno in anno. Suona allora emblematica questa cinquina: quattro storie di coraggio e resistenza, quattro storie di memoria, e a sparigliare le carte un romanzo dall’emblematico titolo de Il gioco, uscito per Mondadori a firma di Carlo D’Amicis, che invece racconta una storia attualissima e viscerale, l’unica non ispirata a persone realmente esistenti o quantomeno a persone note realmente esistenti.
Se non ci sono grosse novità nella selezione degli editori – escluse come sempre a un passo dal traguardo le proposte dei piccoli –, la preminenza femminile è sicuramente un dato importante, visto che l’ultima vincitrice del premio la si trova nel 2004 (vinse Melania Mazzucco con Vita): sono dunque quattordici anni che il premio viene assegnato a uomini. Una cinquina a prevalenza di donne è di per sé il segnale che indica l’esistenza delle scrittrici, contrariamente a quanto si dice spesso nell’ambiente editoriale – significativo in questo l’articolo di Michela Murgia su Il libraio.it, in cui sfatava via via una serie di falsi miti creatisi intorno all’ambiente editoriale e al lavoro delle donne al suo interno. Significativo: se però si va a guardare i nomi proposti è necessario comunque farsi altre domande. Lia Levi è un’autrice che forse non ha bisogno dello Strega, a meno di non intenderlo come premio alla carriera, e lo stesso si può dire per Sandra Petrignani. Helena Janeczek è forse l’autrice che entra più da ‘outsider’ nella selezione, e lo stesso vale per la casa editrice Guanda che non spesso ha raggiunto le vette della competizione. Per quanto riguarda gli uomini, D’Amicis ha una sua chiara fama nell’ambiente letterario, come scrittore e come conduttore di Fahrenheit (radio3), mentre Balzano ha pubblicato molto con Sellerio prima di passare a Einaudi proprio con il titolo che gli sta valendo la notorietà stregata: sicuramente il nome meno noto in tutta la cinquina, in termini di ricezione da parte di un pubblico di massa. Ma queste informazioni fanno parte del contorno, delle speculazioni che annualmente ronzano intorno al premio più ambito e contestato d’Italia. Quello che conta, come sempre, sono i testi e le storie che vengono raccontate. Prima di addentrarci allora nello specifico con le cinque recensioni ai romanzi, cerchiamo di trarre le somme.
✎ La ragazza con la Leica di Helena Janeczek racconta la storia di Gerda Taro attraverso le voci di chi accanto a Gerda è stato e l’ha amata, dipingendone un ritratto innamorato e sincero quanto la voce di Janeczek e il suo tentativo di restituire agli onori della cronaca anche la figura di questa fotografa eccezionale, spesso ricordata solo per essere stata la compagna di Robert Capa.
✎ La corsara di Sandra Petrignani è un altro ritratto, un’altra grandissima donna che, contrariamente a Taro, non ha bisogno di alcuna riabilitazione storica. La vita di Natalia Ginzburg, scrittrice – o, per sua definizione, scrittore – e grandissima intellettuale, pietra fondante di quel milieu che ruotava intorno a Calvino, Pavese, Pasolini, Fortini e pochi altri grandi, è ancora una volta ripresa da testimonianze e in tale modo tramandata.
✎ Resto qui di Marco Balzano è la storia di un conflitto, quello che tuttora è vivo nei paesi del Sudtirol, delle divisioni tra parlanti tedesco e parlanti italiano, in un periodo in cui il conflitto non esisteva quasi ed era però emblematico: l’ascesa del nazismo in Germania e del fascismo in Italia. Alla resistenza identitaria si vanno dunque ad associare le storie di chi ha resistito a Mussolini, narrate dalla voce di una delle donne che questa resistenza l’ha fatta. Non è una donna esistita realmente come le due precedenti, ma fa parte di uno dei molti numerosi possibili di quel periodo, voci sommerse e ordinarie come le molte che sono andate perdute e di cui la narrativa ha quasi il dovere di farsi carico.
✎ Questa sera è già domani torna sui temi cari a Lia Levi: la sopraffazione fascista, le leggi razziali, i soprusi che rendevano improvvisamente ‘speciali’ le famiglie fino ad allora considerate normali, la necessità di non chiudere gli occhi, di non abbandonarsi all’ignavia. Dedicato al marito, e a lui in parte ispirato, il romanzo è il rinnovato appello a non dimenticare la propria storia, il proprio passato, a ricordare quanto facile sia non vedere il male fino a che non è già con un piede contro lo stipite.
✎ Il gioco è invece un romanzo molto diverso dai precedenti. Candidato da Nicola Lagioia, già a sua volta vincitore del Premio Strega con La ferocia, è un romanzo definibile solo “contemporaneo”. Tre storie, tre personaggi che raccontano la propria vita attraverso i meccanismi sessuali del cuckolding – un romanzo da cui si evince che le solitudini personali, la libertà personale, non sono cose da scardinare con facilità, e che la libertà sessuale a sua volta può essere niente più che l’ennesima gabbia dorata che ci si costruisce intorno.
A ben guardare, dunque, molti tratti accomunano i romanzi. Al di là di alcune somiglianze nella costruzione, che sembra prediligere la polifonia o comunque il racconto di più storie o di più personaggi, è lampante come almeno quattro dei cinque romanzi in lizza per la vittoria del 5 luglio 2018 siano centrati sulla memoria, sulla ricerca di un passato autorevole e forte, quasi di un nume tutelare. E la presenza del romanzo di D’Amicis sembra quasi suggerire che nella dispersione post-postmoderna del presente manchi anche solo la possibilità dell’esistenza di figure così forti e decise. Una forma di analisi del presente in retrospettiva, insomma, una storia in cui le donne tornano a esistere ma solo per tornare verso un’inevitabile dissoluzione.
Queste possono anche essere solo speculazioni di chi vuole a tutti i costi individuare ancora una volta una coscienza collettiva nella comunità espansa dei narratori. Magari la scelta dei titoli è ancora una volta il frutto di favori e negoziazioni, di pesi e contrappesi, di potere maggiore che qualcosa deve prendere e qualcosa deve dare. Ma rimane innegabile un fatto: questi romanzi sono stati pubblicati e, in un modo o nell’altro, qualcosa di noi raccontano. Bisogna forse chiedersi, associandosi alle parole di Gianluigi Simonetti su Il Sole 24 Ore, «se queste narrazioni non rendano esplicito il bisogno di emozionarci col passato, estetizzare l’arte e la cultura, “romanzizzare” ogni tipo di esperienza». Quattro storie su cinque sembrano confermare questa impressione, e forse anche la quinta nel suo esistenzialista raccontare il sesso come riempitivo del vuoto. E però la compattezza del presunto ‘lettore medio’ ambisce ad essere sfidata: cinque storie sono qui raccontate, e sono cinque narrazioni ciascuna diversa dall’altra. Ognuna segnata dalle diverse esperienze di chi l’ha scritta, e ognuna recensita da persone con esperienze ancora diverse. Non esistono storie uguali alle altre: ancora una volta cercheremo di individuarne le singolarità; e se questa cinquina è ancora una volta molto prudente ci sarà chi continuerà ad aspettare, in attesa dell’elemento di disturbo, della narrazione inaspettata, dei tanti deragliamenti possibili e anzi già esistenti.
Silvia Costantino
Prefazione allo Speciale Premio Strega 2018
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