Sex on screen

L'evoluzione del sesso nella serialità contemporanea da Fleabag a Normal People, tra male e female gaze

Ritenuta una delle migliori serie tv del 2020, Normal People è stata oggetto di grande analisi e discussioni perché attraverso una love story, tanto canonica quanto innovativa, ha messo in scena una rappresentazione della sessualità vista di rado nella serialità televisiva o al cinema. La storia di Marianne e Connell è una storia d’amore, di amicizia ma anche e soprattutto di sesso: esplicito, realistico, sexy e mai voyeuristico, finalizzato a servire il racconto e introdotto come momento di conversazione e espressione per i personaggi. Che dialogano e si ascoltano nell’intimità, mettendosi letteralmente a nudo. Il New York Times ha scritto che «Normal People prende il sesso seriamente» mostrando nudi frontali, sia maschili che femminili, con «sorprendente delicatezza e naturalezza». E questo anche grazie al ruolo tanto discusso e apprezzato di Ita O’Brien: l’intimacy coordinator che ha contribuito a creare non solo uno spazio sicuro per il cast ma anche a costruire un ritratto complesso della sessualità femminile, progettando le scene intime come fossero una coreografia.
La figura dell’intimacy coordinator ha iniziato ad avere una certa popolarità a partire dal 2017, a seguito del #MeToo, con lo svelamento del sistema predatorio dell’industria dell’intrattenimento e di certe dinamiche di potere che molto spesso, ancora oggi, sono una pratica comune sui set: tra attrici spinte o costrette a spogliarsi dal regista e scene di sesso gratuite non concordate, che reiterano la mercificazione del corpo femminile. «Quando è partito il caso di Weinstein e il movimento Time’s Up», ha raccontato O’Brien in un’intervista, «l’industria ha iniziato a dire “Okay, dobbiamo fare meglio, non possiamo più tollerare questi comportamenti predatori”». Per questo a Hollywood si è iniziato a mettere in discussione tutta una serie di convenzioni e regole – come le clausole di nudità contrattuali – per crearne di nuove e più efficaci. Non solo per tutelare meglio le attrici e gli attori ma anche per dar vita a nuove narrazioni sul sesso, più bilanciate e vicine al reale. Specialmente per quanto riguarda il desiderio femminile, sempre più centrale nella serialità televisiva contemporanea.

Sotto lo sguardo maschile
Nonostante la rivoluzione sessuale degli anni Sessanta e Settanta e i profondi mutamenti socio-culturali, la sessualità femminile per decenni è stata cancellata, punita o raffigurata come passiva nella cultura pop. Tranne rare eccezioni – pensiamo a Il diario di Bridget Jones o Sex and the City tra i casi più celebri – tradizionalmente c’è sempre stato un forte squilibrio nella rappresentazione del sesso, con personaggi maschili aggressivi e dominanti da un lato e personaggi femminili subordinati e remissivi dall’altro. Esposti a quello che la critica cinematografica Laura Mulvey definì “male gaze”: lo sguardo maschile eterosessuale, da sempre onnipresente nelle arti visive, che raffigura la donna come oggetto sessuale per soddisfare le fantasie dell’uomo. Serie tv come Mad Men, True Detective o Game of Thrones son state spesso criticate per la rappresentazione del sesso e delle donne, in quanto esempi perfetti del trionfo del male gaze e dell’erotismo maschile. Il personaggio di Daenerys Targaryen in Game of Thrones, ad esempio, è tra quelli che hanno subito una maggiore oggettivazione nel corso della serie, tra nudi non necessari e aggressioni sessuali. Sui quali, a distanza di anni, è tornata a parlare l’attrice Emilia Clarke, rivelando le pressioni subite sul set e di come sia stato «terrificante» per lei girare le prime scene di nudo.
 

Tradizionalmente i personaggi femminili sono sempre stati subordinati e remissivi, esposti al “male gaze”: lo sguardo maschile eterosessuale, da sempre onnipresente nelle arti visive


Un caso simile ha coinvolto anche The Affair e l’attrice protagonista Ruth Wilson, che nel 2018 decise di lasciare la serie anche a causa dell’eccessiva nudità richiesta in scena e di un «ambiente molto tossico» come riporta l’Hollywood Reporter. Poco dopo la rete Showtime, su cui andava in onda The Affair, ha assunto una consulente dell’intimità, e così ha fatto da un paio di anni anche la rete su cui andava in onda Game of Thrones, HBO: celebre per l’alto tasso di scene erotiche, esplicite e cruenti che oggi non sono sparite ma anzi vengono girate meglio e in modo più equilibrato. Ribaltando i ruoli di genere, smantellando la mascolinità tossica e introducendo una prospettiva femminile – pensiamo alla serie Euphoria, in cui compaiono per la prima volta quasi trenta falli, o a Gentleman Jack, incentrata sulla relazione amorosa tra due donne nel Settecento. Perché costruire una scena di sesso in modo meticoloso, come fosse una scena d’azione, fornisce maggiore sicurezza a chi recita ma spinge anche verso un rinnovamento delle storie, come spiega il New York Times, grazie alla «presenza di un professionista il cui lavoro consiste nel suggerire rivelazioni più sottili riguardo le esperienze fisiche e psicologiche del sesso».

Giovani e sessualmente libere
Se la presenza di consulenti dell’intimità ha senza dubbio favorito il racconto della soggettività femminile, è vero anche che proprio la serialità televisiva, negli ultimi dieci anni, è diventata uno spazio sempre più aperto alla sperimentazione, facendo largo a una nuova generazione di autrici e showrunner che hanno introdotto nuovi temi, stili e punti di vista. Nel 2012 Lena Dunham con Girls ha creato uno spartiacque, rappresentando il sesso e il corpo femminile con una sovraesposizione senza precedenti: tra fallimenti, umiliazioni e piccoli grandi disastri, l’autrice ha portato in scena una sessualità realistica, spesso imbarazzante e degradante ma, allo stesso tempo, priva di vergogna o pudore, sfidando pregiudizi e stereotipi di genere. Così hanno fatto molte delle millennial sitcom – ma anche dramedy o sadcom – che hanno esplorato il desiderio femminile, il sesso occasionale, le dinamiche di genere e queste relazioni ingarbugliate tipiche della “hookup culture”: come Crazy Ex-Girlfriend, Broad City, Chewing Gum e la pluripremiata Fleabag (leggi il nostro approfondimento qui  Everyday Normalwoman). Scritta e interpretata da Phoebe Waller-Bridge, quest’ultima serie è una delle migliori dramedy degli ultimi anni, capace di mettere in scena una sessualità dirompente, sregolata e senza limiti. Attraverso la storia di una millennial che usa il sesso come distrazione tra autoerotismo e incontri occasionali con sconosciuti, e che agisce prima di tutto per compiacere se stessa, specie nell’intimità.
 

La serie Girls rappresenta il sesso e il corpo femminile con una sovraesposizione senza precedenti: tra fallimenti, umiliazioni e piccoli grandi disastri, una sessualità realistica priva di vergogna o pudore


Secondo la critica Angelica Jade Bastién del Guardian proprio il 2016 è stato un anno «game-changing» per il ritratto della sessualità femminile nella cultura pop: quell’anno oltre a Fleabag, sono usciti diversi film e serie incentrati sull’autonomia sessuale delle donne come Elle, Jane The Virgin, The Girlfriend Experience e Insecure. Quest’ultima in particolar modo, interpretata e scritta da Issa Rae, mostra una femminilità e una sessualità vista di rado nella serialità televisiva: nel corso degli episodi, l’autrice scardina molti degli stereotipi sulle donne nere – raffigurate il più delle volte come ragazze sposate e pudiche o prostitute ipersessualizzate – condannate più duramente per il loro desiderio da parte della società nonché dalla stessa comunità afroamericana. Le protagoniste di Insecure, invece, sono delle trentenni come tante che parlano di sex toys, sesso anale, fellatio; e con ironia e irriverenza esprimono la propria libertà sessuale tra delusioni amorose, relazioni difficili e incontri sessuali soddisfacenti.

L’ascesa del piacere femminile
Come ha scritto Vulture, le millennial sitcom hanno creato nuovi espedienti narrativi, che scardinano tabù e danno spazio a un’ampia varietà di esperienze, tra fluidità sessuale, poliamore, BDSM, masturbazione, pornografia, abbracciando anche le pratiche più “kinky” (pensiamo al celebre episodio sul “pegging” di Broad City in cui Abbi pratica sesso anale con uno strap-on dildo). Senza censura, giudizio o alcun tipo di condanna morale, specie per le donne. Non è un caso, infatti, che la questione del piacere femminile sia diventata negli ultimi tempi così centrale nelle narrazioni seriali. Da Annalise Keating de Le regole del delitto perfetto a Claire Underwood di House of Cards, passando alle numerose protagoniste lesbiche, bisessuali e queer di Orange Is the New Black, la serialità televisiva ha abbracciato una pluralità di soggetti desideranti: personaggi femminili che hanno il pieno controllo della loro sessualità, che chiedono e ottengono ciò che vogliono e godono dei piaceri del sesso. In questo senso, la serie Outlander è un altro esempio interessante: come Game Of Thrones, si tratta di un dramma molto crudo, violento, ambientato in un periodo storico nel quale le donne venivano maltrattate e abusate regolarmente, eppure la serie ha saputo rappresentare anche il desiderio femminile. È diventato celebre settimo episodio della prima stagione, The Wedding, nel quale l’eroina Claire indugia sul corpo nudo del marito Jamie, chiedendogli di spogliarsi affinché possa guardarlo. La critica Maureen Ryan sull’Huffington Post lo ha definito un episodio «a dir poco rivoluzionario nella sua rappresentazione della nudità e dell’intimità».
 

La serialità televisiva ha abbracciato una pluralità di soggetti desideranti: personaggi femminili che hanno il pieno controllo della loro sessualità, che chiedono e ottengono ciò che vogliono e godono dei piaceri del sesso


Nella serialità contemporanea, quello che Mulvey definì “male gaze” viene così decostruito e ribaltato per dare spazio al “female gaze”, un concetto ampiamente esplorato e studiato da Joey Soloway, showrunner di alcune delle serie più innovative e importanti degli ultimi anni come Transparent e I Love Dick. Quest’ultima, ad esempio, è il trionfo del piacere femminile: tratta dal memoir-romanzo epistolare di Chris Kraus, racconta la presa di coscienza di una donna del proprio desiderio sessuale e della propria secolare marginalizzazione. La protagonista è Chris, una regista e moglie frustrata che sviluppa un’autentica ossessione per un uomo appena conosciuto, Dick, tanto da farne oggetto del suo sguardo, delle sue fantasie erotiche, nonché oggetto d’ispirazione per il suo progetto artistico. Con un rovesciamento totale dei tradizionali ruoli di genere. «Voglio fare quel tipo di sesso in cui respirare sembra come scopare», scrive Chris in una delle tante lettere indirizzate a Dick, attraverso le quali esprime se stessa, la sua creatività e la sua sessualità ritrovata.

L’involuzione del sesso in pandemia
Oltre a Normal People, anche quest’anno sono uscite diverse serie che hanno raccontato storie di donne emancipate sessualmente – come I May Destroy You o I Hate Suzie – che reclamano il godimento e la libido per sé, in modo onesto, innovativo e persino sperimentale. Non bisogna dimenticare però che si tratta di serie girate prima dello scoppio della pandemia: il Coronavirus ha cambiato profondamente l’industria dell’intrattenimento e il modo di girare sul set, specie per quanto riguarda le scene di sesso. Attualmente sono proprio le scene intime ad aver subito maggiori limitazioni e modifiche per rispettare le linee guida e i protocolli di sicurezza. Tanto che la rivista The Atlantic si chiede se la nuova figura di intimacy coordinator finirà per scomparire, tra tagli del budget e delle stesse scene di sesso.
Del resto c’è ancora una certa resistenza verso questa figura professionale, il cui lavoro a volte viene sminuito se non ostacolato da alcuni registi per nulla intenzionati a cambiare il loro approccio e metodo che concerne la nudità in scena. Eppure tornare indietro, almeno a Hollywood, sembra ormai impossibile: il #MeToo ha dato avvio a una conversazione senza precedenti su consenso e dinamiche di potere, influenzando radicalmente la produzione di film e serie tv. Inoltre, come afferma l’intimacy coordinator Alicia Rodis (Watchmen, Westworld), anche se si continuerà a girare senza scene di sesso «l’intimità è l’intimità e la connessione fisica fa parte dello storytelling». La sessualità dunque difficilmente sparirà ma anzi continuerà a cambiare ed evolversi, all’insegna, si spera, di una maggiore consapevolezza e inclusione, sia dietro che davanti la macchina da presa.


 

Leggi qui l’approfondimento su sesso e consenso nella serialità televisiva ► Questione di consenso


Commenta