Se l’Europa prova a mettere ordine nel caos del web

Meme, gif, streaming: la direttiva sul copyright tenta di regolare internet e il diritto d'autore

Negli ultimi mesi si è parlato tanto della nuova direttiva europea sul copyright, la cui proposta risale al 2016. Nel corso del 2018 la disposizione ha poi subito alcune modifiche, fino ad arrivare al 26 marzo 2019, giorno in cui è stata approvata dal Parlamento europeo. Il Consiglio ha poi proceduto alla ratifica, che ha tuttavia visto una minoranza di Paesi votare contro: Finlandia, Italia, Lussemburgo, Olanda, Svezia e Polonia. Ora, in un tempo massimo di due anni spetta ai singoli Stati recepire la Direttiva nei propri ordinamenti. Anni di polemiche sono riaffiorati prepotentemente nelle ultime settimane, in un’opinione pubblica divisa tra la necessità di tutelare il diritto d’autore e le accuse di censura della libertà dei contenuti.
La direttiva si pone come obbiettivo principale quello di regolarizzare i rapporti tra due ampi domini della realtà contemporanea: l’editoria e il web. A discapito di quanto possa apparire, il tempo in cui i due campi erano collocati agli antipodi l’uno dall’altro non appartiene ad un passato troppo remoto. Ma la rivoluzione tecnologica, figlia del nuovo millennio, ha conosciuto uno sviluppo incredibile negli ultimi dieci anni. Così, da mezzo di comunicazione, il mondo di internet è arrivato ad inglobare tutte sfere della quotidianità e ad assumere un ruolo totalizzante nella vita dell’uomo comune. Una simile rivoluzione ha, ovviamente, intaccato anche il mondo dell’editoria, del cinema, della musica e, in generale, di tutto ciò che ha a che vedere con la produzione e diffusione di contenuti. Basti pensare all’mp3, ai film in streaming e all’e-book. Ma in casi di trasformazioni di tale portata diventa necessario, e non opzionabile, la stesura di elementi regolatrici, in grado di riorganizzare i settori che più risentono della nuova realtà dei fatti. Tra questi, il discorso sul copyright.

Da un lato, ci sono i nuovi contenuti multimediali, figli dell’era digitale: programmi, canzoni, notizie. Essi, spesso, sono gratuiti e di libera riutilizzazione. Ovvero, non solo la loro consultazione non prevede costi, ma nemmeno la loro eventuale modifica: possono essere copiati, scaricati, condivisi, implementati da chiunque. Si parla, infatti, di “realtà liquida”, perché difficile da controllare. Questo implica, sotto un certo aspetto, la diffusione del materiale su amplissima scala (ad esempio, divulgazione di informazioni a costi zero: utile per noi, fondamentale nelle aree più sfortunate del pianeta). D’altro canto, alimenta la divulgazione di fake news e tende a minimizzare il concetto di autore. Dall’altro lato il campo dell’editoria, la cui tradizione risale ai tempi dell’invenzione della stampa. I capisaldi di questa attività sono autore e editore. Entrambi lavorano sulla carta, cosa che implica dei costi e necessita quindi di entrate. Inoltre, il ruolo dell’autore si fa portavoce di una lunghissima tradizione di intellettuali: antichi profeti, eruditi, padri delle scienze e delle lettere. Ovviamente, in questo caso, il concetto di “libero utilizzo e modifica del contenuto” non trova facile approdo.
 

Un autore pubblica un libro, il cui contenuto viene poi citato sui blog online. Esce un film, escono dei meme. I passi dei romanzi vengono ripubblicati su Instagram


Entrando in contatto, nascono i dissidi: un autore pubblica un libro, il cui contenuto viene poi citato sui blog online. Esce un film, escono dei meme. I passi dei romanzi vengono ripubblicati su Instagram. Gli Youtuber inventano spin-off di quelle avventure. Il mondo dell’internet continua a seguire, dunque, le proprie leggi di fluidità, mentre in questo modo il versante dell’editoria va a perdere introiti e riconoscimenti: se, infatti, il libro di un autore viene preso come spunto da uno Youtuber che ne fa una parodia, all’autore non arrivano compensi. Gli editori accusano, quindi, i motori di ricerca e i social network di sfruttare i propri contenuti, mentre le piattaforme online sostengono di alimentare, attraverso l’aumento di visibilità, gli interessi dei primi.

Giunti a questo punto, la nuova direttiva sul copyright ha lo scopo di risolvere i contrasti tra le due fazioni, specialmente negli articoli 11 e 13. L’articolo 11 sancisce l’obbligo, da parte di piattaforme online (come Facebook, Instagram, Youtube), di pagare una quota al detentore dei diritti dell’opera che si vuole riutilizzare, determinando dunque un compenso reale ad autore ed editore. L’articolo 13, invece, prevede la totale responsabilità delle piattaforme rispetto ai contenuti caricati dai singoli utenti. Motori di ricerca e siti dovranno, infatti, dotarsi di una sorta di filtro preventivo in grado di analizzare il materiale caricato, bloccandolo nel caso in cui fosse protetto da copyright. Le proteste, provenienti dal mondo della rete, non tardano ad arrivare. Secondo alcuni, infatti, i filtri previsti dall’articolo 13, il cui malfunzionamento potrebbe censurare contenuti senza motivo, minerebbero la libertà d’espressione. D’altro canto, le restrizioni dell’articolo 11 diminuirebbero il traffico di notizie, nel caso in cui piattaforme della portata di Google decidessero di non pagare. Tuttavia, l’avanzamento tecnologico dovrebbe garantire un sempre migliore rigore nella progettazione e nell’impiego dei filtri. Per quanto riguarda invece la libertà di espressione, questa non va confusa con il presunto di diritto di utilizzare a proprio piacere contenuti realizzati da terzi, soprattutto in un contesto di visibilità planetaria.
 

E se Google dovesse decidere di non pagare, saranno altri motori di ricerca a farsi largo nel mondo dell’informazione


Ricordiamo, inoltre, che dagli obblighi dell’articolo 11, esulano le piattaforme di piccole dimensioni (che, non possono permettersi una spesa reale), così come anche il mondo di meme e gif. Ma, soprattutto, esso non riguarda i progetti Wiki: Wikipedia, la maggior fonte di informazioni ad accesso gratuito e di dominio pubblico, è salva. E se Google dovesse decidere di non pagare, saranno altri motori di ricerca a farsi largo nel mondo dell’informazione. Ci sarebbero tante altre questioni da analizzare, considerata la portata dell’argomento e dei fattori entrati in causa. Ma ci limitiamo ad un’ultima considerazione. Oramai, facciamo tutto sul web: transazioni bancarie, acquisti, ricerche, prenotazioni. Così, per utilizzare la terminologia di McLuhan, l’era meccanica sta effettivamente cedendo il posto all’era elettrica.

Arriverà il momento in cui forse l’editoria cartacea sarà un parte minoritaria della nostra fruizione culturale. Siamo passati dalle tavolette di argilla al papiro, dalla scrittura a mano degli amanuensi all’invenzione della stampa, dalla stampa a caratteri mobili alla macchina da scrivere, dalla macchina da scrivere a Word. Non succederà fra un anno, nemmeno fra dieci probabilmente ,ma potrà arrivare un momento in cui l’intero universo della produzione di contenuti assumerà connotati virtuali e multimediali. Come dall’argilla al papiro, così sarà dalla carta alla pagina html. E quando succederà, sarà per una decisione unanime: sarà più comodo per tutti, così come ora tutti preferiscono Whatsapp alle lettere cartacee. Così nel prossimo futuro potrà cambiare l’editoria, il libro, il modo di comunicare. Cambierà, probabilmente, il concetto stesso di autore. E dunque dovranno cambiare le regole. Nel frattempo, dobbiamo decidere se lasciare il mondo del web a regolarsi da solo, in tutta la sua vastità e fluidità, oppure intervenire. Internet è uno strumento potente: se fingiamo il contrario, se non siamo interessati a scoprirne i meccanismi, finiremo col diventarne succubi. Altrimenti, possiamo riconoscerne l’influenza e imparare a gestirlo. Gestirlo attraverso un utilizzo corretto e consapevole. Senza caricare online tutto quello che ci passa per la testa, essendo consci che tutto quello che postiamo assume visibilità mondiale. È bene dunque che siano persone preparate, informatici, editori, esperti di copyright, che regolarizzino questo potenziale caos. Regolarizzare non vuol dire limitare la libertà, ma salvaguardare le idee. Salvaguardale affinché non muoiano disperse, affogate nell’oceano di contenuti più incontrollabile che sia mai esistito.

Laura Bartolini


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