San Patrignano è una storia di tutti
La nascita della serie Netflix raccontata dall’interno nelle pagine di Una storia comune di Carlo Gabardini
Quando parliamo di memoria collettiva, cosa intendiamo? Come funziona, e da cosa è composta? Secondo l’enciclopedia Treccani, si parla di memoria collettiva «per indicare i valori che, derivanti dalla conoscenza della propria storia e dalla tradizione, costituiscono il patrimonio spirituale di un popolo [...] e gli danno coscienza della propria identità». Questo legame a doppio filo tra storia e memoria, così fondante e determinante per capire – o decidere – chi siamo, è alla base di Una storia comune. Sanpa: io, noi, tutti di Carlo Gabardini, pubblicato da HarperCollins a febbraio 2022. L’autore, già drammaturgo e sceneggiatore televisivo, racconta in questo testo il lungo lavoro di realizzazione della docuserie Netflix SanPa - Luci e Tenebre di San Patrignano (2020), storia della comunità di recupero per tossicodipendenti più discussa e famosa d’Italia e del suo fondatore Vincenzo Muccioli, e ne fa la base per una riflessione più ampia, coinvolgendo sia tematiche personali e interiori sia generazionali che sociali.
Questo legame a doppio filo tra storia e memoria, così fondante e determinante per capire – o decidere – chi siamo, è alla base di Una storia comune. Sanpa: io, noi, tutti di Carlo Gabardini
Una delle caratteristiche fondamentali di questo testo è proprio la varietà: di contenuti, di registri, di ambientazioni delle vicende riportate, quasi come se più testi, differenti e autonomi tra loro, fossero stati tagliati e mescolati insieme per crearne uno nuovo. Nel passare da un capitolo all’altro, il lettore è a volte accompagnato in piccoli spostamenti nello spazio o nel tempo, altre volte catapultato avanti o indietro di decenni, e da una nuova e diversa voce narrante. Una prima e importante componente del libro è la narrazione approfondita della produzione di SanPa: un prodotto così curato ha numerose e impegnative fasi di lavorazione, e attraversandole una dopo l’altra Gabardini ci permette di osservare come funziona il lavoro dello sceneggiatore, come funzionano i set cinematografici e televisivi, di quali e quanti mattoni è composto un prodotto che siamo abituati a pensare già bello che finito. Il tema della memoria collettiva si presenta qui come strumento necessario alla produzione, nella forma dei 51 archivi audiovisivi che gli autori hanno consultato, e da cui hanno attinto, per realizzare la docuserie: se la nostra memoria collettiva è un patrimonio spirituale, archivi e biblioteche sono templi, luoghi dove è mantenuta viva e celebrata.
Oltre alle descrizioni tecniche c’è spazio per la comicità – è ricorrente nel testo l’incontro-scontro tra il mondo di Gabardini, ricco di appunti su bloc-notes, fogli volanti e quaderni rilegati, e quello dell’ideatore della docuserie Gianluca Neri, fatto di cartelle in condivisione sul cloud e riunioni registrate su Google Calendar – ma anche e soprattutto per raccontare le implicazioni più intime ed emotive di questo lavoro.
Quando studi tanto una vicenda e cerchi – nonostante l’assurdità dell’intento – di esaurirla in qualche modo, si arriva a un momento che a forza di scavare e chiedere e premere e approfondire e diradare è come se le maglie della storia si allentassero e ti accogliessero facendoti sprofondare nelle proprie viscere. Non è come comparire all’interno della narrazione, per nulla: è come se la pagina scritta diventasse così spessa da poterci affondare e poi abitarla in piedi. È un limbo di latte e parole, un bosco di lettere nere e immagini; vedi senza essere visto.
Cosa succede, infatti, quando l’epoca storica in cui devi immergerti per ragioni di ricerca coincide con il periodo della tua adoscelenza e dei tuoi vent’anni? Le finestre che si aprono sono tante e non è scontato saper gestire tutto ciò che ci si appresta a scoperchiare. Realizzare SanPa è stata anche una questione personale per gli autori, cresciuti negli stessi anni che sono stati chiamati a raccontare; e tuttavia non poteva rimanere tale, sia per salvaguardare l’accuratezza e l’esaustività dell’indagine, sia per ottenere un prodotto mediatico da destinare a tutto il mondo, e a tutte le generazioni. Sfruttare il proprio vissuto per raccontare un contesto storico in modo più coinvolgente, ma senza che prendesse il sopravvento sulla storia, si è rivelato (o confermato) un metodo vincente e ha fatto sì che SanPa potesse parlare a chiunque e avesse qualcosa di utile e interessante da raccontare a chiunque: a partire da chi era già adulto all’epoca dei fatti fino ad arrivare a chi è nato dopo la morte di Vincenzo Muccioli, e magari aveva soltanto, o neanche, sentito nominare San Patrignano. Come sintetizza bene Gabardini in un dialogo da lui riportato, mentre difende l’inclusione nel montaggio di un certo filmato: «Racconta l’epoca, contestualizza, fa capire chi eravamo».
Prendendo avvio dal rapporto con i genitori e il loro punto di vista sulle sostanze, Gabardini ci guida nell’esplorazione di ciò che sono stati gli anni Ottanta e Novanta in Italia, in particolare nella sua Milano. La ricchezza e lo sfarzo, lo spreco e l’ostentazione facevano il paio con le scene di tossicodipendenti accasciati per strada o nei parchi, mentre prendeva piede l’epidemia di AIDS: non è semplice trattare questi temi tenendosi distanti da toni tragici o moralistici. L’autore si serve spesso, quindi, di ironia e autoironia, registri che conosce bene e padroneggia, per esorcizzare argomenti complessi che spesso diventano spauracchi o tabù nelle narrazioni destinate al grande pubblico: la droga e le dipendenze, ovviamente, ma anche le difficoltà di chi vive segretamente la propria omosessualità. Proprio per questo sono una boccata d’aria fresca la semplicità e la trasparenza con cui Gabardini racconta e discute il suo rapporto con le sostanze, come una parte della sua vita con le sue spiegazioni e valutazioni: è il miglior modo per rappresentare che le droghe non sono qualcosa di indicibile e lontano, non fanno parte di una dimensione parallela, ma riguardano da vicino le persone che ci stanno intorno e spesso anche noi. Tutto questo fa parte di noi, nel senso di comunità, e ignorarlo o rimuoverlo può soltanto portare ad amplificare i problemi e allontanare le soluzioni.
Perché l’hai fatto? Perché è una storia comune, di tutti, di ognuno, della comunità, e parlo di quella italiana, quindi inclusa anche quella di San Patrignano. Tutti abbiamo avuto un tossico in casa oppure ci siamo chiesti se il tossico eravamo noi. Era doveroso raccontarla. Far finta di dimenticare è sempre un piano fallimentare. Le storie fanno parte di un humus collettivo, spuntano come funghi quando meno te lo aspetti; pensi che sia finalmente finita e sepolta, poi invece basta una pioggia e una spora o un rimorso e risalta fuori tutto.
Arriviamo così a capire quanto SanPa e la vicenda della comunità abbiano a che fare con molto più che con l’eroina: ripercorrendola, insieme all’autore, capiamo qualcosa in più su di noi. Su quanto la polarizzazione che spesso si crea intorno a certi temi faccia male, e renda più ostico individuare la strada giusta da prendere. Su quanto siamo capaci di far calare il silenzio su ciò che non capiamo o ci fa paura, ignorando le voci di chi reclama giustizia e approfittando del tempo che passa per lasciare cadere nell’oblio colpe e responsabilità. Uno degli obiettivi dichiarati della docuserie – formato particolarmente adatto, per via della sua durata e della scansione in episodi – era proprio, difatti, tentare di ricomporre la cesura tra i pro e i contro, rimettere sul tavolo i fatti, le testimonianze, le analisi. Attraverso l’esperienza particolare di Una storia comune, capiamo come la visione di SanPa si svolga negli intenti degli autori come un rituale collettivo, in cui rievocando fatti e personaggi del passato possiamo cercare di restituire attenzione e giustizia a chi non l’ha avuta, di dare una conclusione a una storia rimasta a metà, di mandare, insomma, a dormire alcuni dei nostri demoni.
Stefano Pierri presenterà Una storia comune. Sanpa: io, noi, tutti insieme a Carlo Gabardini mercoledì 27 aprile a Firenze, alla libreria Libraccio in Piazza Duomo, alle ore 18.00
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