Rivoluzioni, frantumi e pretese d’unità

Vite autentiche

Intorno alla metà del XX secolo, alcuni uomini di buon cuore e di elevato intelletto hanno cominciato a chiedersi, da prospettive differenti, il come ed il perché della Scienza. Trovare questo perché, sarebbe servito a capire meglio l’Uomo, la sua esistenza, il suo scopo nell’universo. Perché questa ricerca?
Qualche centinaio di anni prima s’era verificata una Rivoluzione, che vide nel suo autore il precursore della nostra scienza moderna, e nei suoi successori gli adepti, più o meno consapevoli, di quelle dottrine che avrebbero alimentato e gradualmente separato il mondo della conoscenza e del conoscente, dal mondo dell’oggetto conosciuto. Il soggetto e l’oggetto: elucubrazioni scientifico-mentalistiche da un lato, verità oggettive dall’altro. Il rivoluzionario in questione era Cartesio, il più schietto, probabilmente, tra i tanti filosofi che già prima di lui sussurrarono, senza ottenere la sua stessa fama, più o meno le stesse ragioni; la Rivoluzione da questi attuata venne detta ‘cartesiana’, in onore del suo eroe. Più tardi ancora, uno degli adepti più intraprendenti, Immanuel Kant, avrebbe edificato la sua intera dottrina sulla distinzione suddetta, e avventurandosi ancora più in là di Cartesio, avrebbe realizzato una capriola teorica quantomeno radicale: la battezzò Rivoluzione Copernicana, e con essa stabilì la definitiva assimilazione dell’oggetto al soggetto, e così rese manifesto l’ineludibile cambio di prospettiva che è necessario adottare per ‘conoscere’: non siamo noi umani ad adattarci all’oggetto, bensì è questo che ha da prostrarsi alla nostra Ragione. 

Il cuore del problema non è stato, in effetti, accettare la distinzione proposta. Il problema è sorto quando uno dei due pesi della bilancia veniva fatto ingrassare a dismisura, lasciando l’altro sospeso nel vuoto: insomma, quando una dottrina scientifico-filosofica privilegiava il Soggetto e i suoi meccanismi piuttosto che l’oggetto, o viceversa. E quasi sempre, il peso maggiore sulla bilancia risultava il Soggetto. Ogni approccio allo scibile, cioè all’oggetto della conoscenza, s’originava, dopo Cartesio, da un ‘Chi sono io?’, anzi, meglio ancora, ‘Cosa so io? E come lo so?’, piuttosto che da un ‘Che cos’è (l’oggetto)?’. L’oggetto diveniva l’aleatorio, seppur necessario nonostante tutto, punto di riferimento affinché il soggetto potesse parlare di se stesso, o descrivere, amare, odiare, elogiare, teorizzare sempre se stesso.
Cosa restava dell’oggetto? Esso si trasformava, al massimo, in ciò che Sua Altezza il Soggetto decideva per lui di volta in volta: poteva diventare un oggetto fisico, oppure un’idea, un’immagine, un postulato, un significato senza riferimento ecc. Ecco quel che accadde: la primigenia e originaria (forse solo sognata) unità di Io e Mondo, si frantumava in mille pezzetti, e così nascevano le svariate forme di conoscenza scientifica, tutte finalizzate alla ricerca del Vero. Già, ma quale ‘Vero’? Ognuna delle tante branche, infatti, pretendeva per se stessa più autorità delle altre. Se dell’oggetto, ad esempio, vogliono vedersi solo quelle connotazioni adatte ad una spiegazione chimica piuttosto che metafisica, o quelle fisiche piuttosto che linguistiche, non può che nascere una nuova Torre di Babele, quella delle discipline scientifiche. L’oggetto si spezzetta come si spezzetta la scienza, e non è detto che i tanti piani della Torre sappiano comunicare tra loro. Scriveva Heidegger in Lettera sull’Umanismo: “Non si pensa più, ma ci si occupa di ‘filosofia’. Tali occupazioni, in concorrenza fra loro, si offrono poi pubblicamente come ‘ismi’ [umanismo, logicismo, moralismo ecc.] e tentano di superarsi”.

Certo, si obietterà, che sempre ci sono state e sempre ci saranno differenti discipline, ed è giusto che ci siano, cosicché possano trovarsi le tante qualità della Natura e del Mondo. Il problema è, infatti, l’applicazione talvolta delirante della molteplicità delle discipline all’“oggetto Uomo”, a cui siamo affezionati più d’ogni altra cosa. Ed è per questo che nel XX secolo, risorse l’esigenza di ritrovare unità e autenticità, a fronte della miriade caotica di ricerche e indagini, che dell’Uomo davano solo una visione parziale.
L’autenticità morale ed epistemologica è divenuta quasi un’ossessione per alcuni filosofi, tra cui potremmo facilmente indicare il già citato Heidegger, il suo allievo Patočka, o un debitore intellettuale quale Foucault. La loro esigenza potrebbe riassumersi nel presente proposito: quello di rinvigorire e poi riallacciare l’etica e la metafisica, senza dimenticare gli apporti teorici delle altre discipline. Forse per essi non era un’ossessione, ma ai nostri occhi potrebbe apparire tale, da un lato per l’insistenza espressiva dei loro contributi; ma dall’altro perché, in fin dei conti, non sembra che le loro proposte siano divenute una risposta rasserenante all’esigenza ideale di unità.
Allora è qui, lungo lo ‘strappo nel cielo di carta’ di pirandelliana memoria, che s’instaura la ricerca del ‘Senso dell’Essere’ di Heidegger, o del ‘Senso della Storia’ di Patočka, o la caccia al ‘Soggetto’ e i suoi fondamenti di Foucault. Perché quando dietro il cielo squarciato del teatrino, Amleto vede il Vuoto con chiarezza, è ora di ricolmarlo con verità non soltanto scenografiche.


Parte della serie Vite autentiche

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