Referendum? Sono una testa di cazzo
Perché il dibattito non può essere civile
A giudicare da ciò che ho letto sulle bacheche dei social network, io sono una testa di cazzo (eccomi qui a fianco in tutto il mio fallico orrore). Un fallito. Un corrotto. Un colluso. Un amico dei poteri forti. Un servo dei petrolieri. Un paraculo. Uno senza futuro. Un poveretto senza senso. Un pecorone. Un ignorante. Uno a cui non frega niente della cultura e dell’ambiente. Un menefreghista. Uno stronzo. Un venduto. Un mafioso. Un demente. Un deficiente. Un coglione. Uno che pensa solo al calcio e guarda Barbara D’Urso. Un accidioso e ignavo, meritevole dell’Inferno dantesco (ah, giusto: non poteva mancare la «serva Italia di dolore ostello / nave senza nocchiero in gran tempesta»: peccato che si dica sanza nocchiere, cari miei filologi danteschi). Uno lobotomizzato dal Grande Fratello. Un rappresentante del popolo bue. Un nemico della democrazia. Un incosciente. Uno che va solo ai centri commerciali.
Sì, avete ragione: chi, come me, ha scelto consapevolmente di non votare per questo referendum è tutto questo e anche di più. Non contano niente gli anni che ho trascorso in una associazione per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali della mia terra. Non significano nulla tutti gli articoli, le conferenze, gli incontri pubblici che abbiamo organizzato per salvare quanto ci resta di storico. Non ha alcuna importanza il mio percorso di studi, le idee che professo da quindici anni, le cose che ho cercato di fare (e che ho fatto) per la mia città. Per questa sola decisione mi avete incasellato in «quella certa Italia» (non ho mai capito questa espressione) che pensa solo ai cazzi suoi. La mia storia personale è annientata, le ragioni dell’altro non esistono: o sei con me o sei contro di me. Non vi passa neanche per l’anticamera del cervello che mi sia studiato tutta la questione relativa al referendum e abbia deciso, per questo, di restare a casa, giudicando l’intera faccenda una farsa. Non ho condiviso link impegnati su Facebook, dunque guardavo Barbara D’Urso: è chiaro.
Se c’è una cosa di cui ha bisogno questo Paese, prima di qualsiasi energia rinnovabile, è un serio esercizio al rispetto delle opinioni altrui. Da un lato questa scarsa attitudine al dialogo è comprensibile: la nostra è una democrazia giovane, siamo una Repubblica da soli 70 anni (anniversario che tutti voi festeggerete conversando sull’ultimo articolo di Stefano Rodotà, immagino). Dall’altro è sconcertante osservare come quello che ritenevamo morto e sepolto, ossia lo scontro ideologico da Guerra Fredda, non sia affatto scomparso: ha solo cambiato etichette e ha assunto i volti dei guru che sputtanano vite e carriere sui giornali, riferendo indizi e non prove, nonché di coloro che urlano «vaffanculo» nelle piazze, che non sanno articolare un discorso se non hanno visto il solito video su «ciò che nessuno ti racconterà», che hanno sempre una soluzione facile per problemi difficili. Tutti ingegneri, tutti premier, tutti allenatori della Nazionale: una nazione di fenomeni, eppure ancora impantanata in una crisi che definire solo ‘economica’ è riduttivo.
Ciò che più mi ferisce negli sproloqui postreferendari è l’accusa di menefreghismo nei confronti dell’Italia e di ignoranza asinina. Ma se nomino Peteano, quanti di voi sanno a cosa mi riferisco? Se pronuncio il termine Italicus, cosa mi rispondete? Aggettivo latino della prima classe? Se mi riferisco al Piano Solo, quanti di voi non pensano alla marca di un pianoforte? Quanto all’ambiente, dove siete quando nel Centro e nel Sud Italia devastano il paesaggio piantando pale eoliche per produrre energia risibile, sfregiando siti archeologici di straordinaria bellezza, talvolta con lo zampino della mafia, come hanno messo in luce alcune inchieste in Sicilia? Silenzio, assordante silenzio.
Dopo le 23 di ieri è iniziata la rincorsa per appuntarsi al petto la medaglietta con la scritta ‘coscienza civile’. Vi partecipano tutti, come alle Olimpiadi della Bocciofila. Stamattina, ad esempio, ho letto un post di Gianluigi Paragone, quello che a La Gabbia ci informa sul complotto demoplutocraticogiudaico:
Penso che sia giusto così: ai seggi non c'è la coda.
Ad Arese chiudono l'uscita autostradale di Lainate per l'eccesso di traffico direzione nuovo centro commerciale.
Davanti alla tv la gente guarda Ciao Darwin.
In parlamento siedono Carbone (#ciaone) e alcuni come lui. Tutto torna.
Carbone, per la cronaca, è il parlamentare renziano che ieri sera ha twittato #ciaone per salutare a suo modo il pessimo risultato dell’affluenza, ma che il linguaggio degli accoliti di Renzi sia imbarazzante lo sapevo da prima dell’oracolare intervento di Paragone. Il quale, vorrei ricordarlo, è entrato in RAI – come egli stesso ha sempre ammesso – per nomina politica, in quota Lega Nord. Oggi fa l’avversario della Casta sulla 7, ma è quello il suo mondo di provenienza: le lezioni di Società Civile, dunque, le rispedisco al mittente.
In questa visione del mondo ferma al Manicheismo, dove si è bianchi o neri, le sfumature – che per me sono il senso dell’intera vita umana sulla terra – sono cancellate. Così Sabina Guzzanti, di cui non potevamo che sentire la mancanza:
Quando si permette che l'informazione sia sotto il controllo del governo, passa qualsiasi abominio. Ricordiamoci che durante la resistenza i partigiani saranno stati un 200mila. Gli altri erano tutti schierati dalla parte delle torture e dei genocidi, della retorica più ridicola e dell'ipocrisia più bieca. E si sentivano pure moderni e scaltrissimi. Erano dei mostri e guardavano agli oppositori come a degli sfigati.
Da stamattina sono anche un repubblichino di Salò. Eppure vi do una notizia: è nelle gradazioni di colore che si nasconde la verità delle cose. Non si può predicare la tolleranza nei confronti dello straniero se poi non si è in grado di parlare civilmente al proprio vicino di casa, che magari ha idee diverse dalle tue. Non si può gridare alla libertà di ricerca scientifica, scagliandosi contro una generica «Chiesa» di cui si ignora il profondo dibattito interno, e al contempo bruciare i campi di mais OGM: la ricerca o è libera sempre o non lo è mai. Non si può urlare in piazza «sveglia Italia!» e poi paragonare gli avversari a dei nazisti: lo dico da convinto sostenitore dei matrimoni fra persone dello stesso sesso, tema su cui vorrei davvero un referendum, altro che questa farsa pensata male, scritta peggio e guarda caso disertata dai più. Chi pensa davvero che l’Italia sia popolata per il 70% da imbecilli ha capito ben poco di questo Paese, maledettamente complesso e pieno di sfaccettature.
Lo so: voi, come Gramsci che citate ogni tre secondi perché l’avete visto sulla pagina Informare per resistere, odiate gli indifferenti. Odiatemi, dunque, se pensate che io lo sia. E ditemelo a viso aperto, quando mi incontrate per strada. Per la cronaca: oggi trovate la stessa citazione gramsciana anche sulla bacheca di Matteo Salvini, da sempre formidabile esempio di virtù civiche. Come vi sentite ora?
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