Raccontare la violenza di genere

Su Esercizi di fiducia di Susan Choi e i rischi di una “Letteratura del #MeToo”

A seguito del caso Weinstein e la nascita del movimento #MeToo si sta sempre più parlando di alcuni controversi argomenti riguardanti il rapporto uomo-donna: consenso sessuale, misoginia, abuso di potere maschile. Il ruolo dell’arte all’interno di questo dibattito ancora in corso è divenuto di rilievo nel momento in cui si è incaricata, come giustamente le compete, di prendere tali temi e tramutarli in oggetti di indagine al fine di sviscerarne le implicazioni sia a livello individuale che collettivo. Nel cinema, un esempio può essere il recente Bombshell – La voce dello scandalo (2019) di Jay Roach, che racconta, facendo nomi e cognomi, il licenziamento per molestie sessuali di Roger Ailes da Fox News attraverso gli occhi delle donne a lui più vicine e che ne hanno subito gli abusi; nella serialità televisiva invece, gli esempi chiave possono essere, come scrive Manuela Stacca in Questione di consenso uscito su L’Eco qualche tempo fa, The Morning Show, Normal People e I May Destroy You
 

Secondo la critica letteraria Parul Sehgal «non sembra essere riduttivo leggere la fiction attraverso questo prisma», quello del #MeToo, poiché ha prodotto storie variegate di sesso e potere, riscatto o afflizione


Ma all’appello manca la letteratura. Messo da parte il famoso Persone Normali (Einaudi, 2018) di Sally Rooney, è possibile citare anche: Cat Person di Kristen Roupenian (Einaudi, 2019), diventato virale dopo la pubblicazione sul New Yorker nel dicembre 2017, quando il #MeToo stava raggiungendo il suo apice; This Is Pleasure di Mary Gaitskill (ancora inedito in Italia), anch’esso pubblicato sul New Yorker nel luglio 2019, e Asimmetria di Lisa Halliday (Feltrinelli, 2018). Affrontando temi cari al movimento, questi e tanti altri libri sono stati inclusi dalla critica statunitense in quell’insieme di testi che ha preso, in breve tempo, il nome di ‘Letteratura del #MeToo’. Secondo la critica letteraria Parul Sehgal, in un articolo apparso sul New York Times, «non sembra essere riduttivo leggere la fiction attraverso questo prisma», poiché ha prodotto storie variegate di sesso e potere, riscatto o afflizione, con voci narranti sincere nell’esprimere sottigliezze, confusione, dubbio; insomma, libri che «esistono per ricordarci delle delicate questioni etiche che il romanzo permette di esplorare». 

Per la Sehgal, sotto questa etichetta rientra anche il romanzo vincitore del National Book Award 2019 Esercizi di fiducia dell’autrice statunitense Susan Choi – nonostante la bozza fosse in realtà già pronta prima dello scandalo Weinstein del 2017 –, pubblicato in Italia a inizio gennaio per Edizioni Sur nella traduzione di Isabella Zani. Il libro si focalizza su questioni di consenso e abuso: sull’uomo predatore e sulla donna che prova a riscrivere se stessa alla luce del suo ruolo di vittima. Nella prima parte su tre del romanzo, la voce narrante in terza persona usa come punto focale Sarah, quindicenne e studentessa in una scuola di arti performative del Sud degli Stati Uniti, innamorata di David, suo compagno di classe. All’istituto si studia Scenotecnica, si legge Shakespeare, si canta e si fanno i cosiddetti “esercizi di fiducia”, che dovrebbero aiutare gli studenti ad allargare i loro orizzonti percettivi. Durante uno di questi tipi di esercizi svolti dal professor Kingsley, in cui i ragazzi strisciano per terra a luci spente, Sarah e David finalmente entrano in contatto, riconoscendosi.
 

Eccola, trovata. Una mano le afferrò il ginocchio sinistro, il palmo le percorse la coscia, le creste ondulate delle cuciture. Ne percepiva il calore attraverso i jeans. Così, come niente, sentì un tuffo alla bocca dello stomaco, una botola che si apriva scattando in silenzio, come se la voce di Kingsley fosse il vento ostinato che aveva inutilmente sbatacchiato il fermo che ora questa mano aveva fatto saltare.


Sarah e David si mettono insieme, ma la loro storia, per quanto intensa, dura poco: per un’incomprensione mai chiarita, i due finiscono per non vedersi più. Scorgendo l’infelicità di Sarah, il professor Kingsley la prende sotto la sua ala, offrendogli dei consigli in privato nel suo studio. Passa del tempo, e a scuola arriva un gruppo d’inglesi tra cui il quarantenne insegnante Martin e il ventiquattrenne Liam. Una sera Sarah si ritrova in macchina con la sua conoscente Karen, Martin e Liam. I quattro raggiungono la casa di Kingsley, dove Martin è ospite, e Liam seduce Sarah in quella che sembra essere un’unione sessuale a cui Sarah non dice di no, ma non è neanche totalmente convinta di quello che sta facendo – siamo, insomma, a metà tra l’incontro consensuale e l’abuso minorile. Sarah finisce infine a casa di Karen, dove la madre la accudisce e la mette a letto. Siamo a pagina centocinquantanove: si chiude un sipario e se ne alza un altro.

La seconda parte si apre, tanti anni dopo, con Karen; ma non la stessa Karen della parte precedente, bensì la “vera Karen”, appropriatasi di questo nome anche se non è davvero il suo, perché la prima parte del libro si scopre essere un romanzo scritto dalla sua vecchia compagna di classe Sarah, e Karen ne è diventata un personaggio secondario. Karen ha appena smesso di leggere a pagina 159, ed è arrabbiata: Sarah, nel suo libro, sembra tacere su quello che veramente è successo in quel periodo. Comincia così a dipanarsi il resoconto di Karen che, tra nuovi ma soprattutto vecchi incontri – incluso quello col suo carnefice –, si ritrova a rielaborare nuovamente il suo passato. Verso la fine il lettore sembra giungere alla realtà dei fatti, ma sarà il nuovo cambio di punto di vista dell’ultima parte a scombinare ulteriormente le carte in tavola, lasciando intendere quanto le storie di Sarah e Karen non siano depositarie di alcuna verità definitiva.
 

Nel finale che sembra giungere alla realtà dei fatti, il nuovo cambio di punto di vista scombina ulteriormente le carte in tavola, lasciando intendere quanto le storie di Sarah e Karen non siano depositarie di alcuna verità


Alla luce di una costruzione narrativa così congegnata (per cui, se si volesse trovare un corrispettivo italiano, lo si potrebbe trovare in Spavento di Domenico Starnone), il titolo del romanzo acquisisce vero significato se si pensa al rapporto che si instaura col testo mentre si legge; in questo senso, è un vero e proprio esercizio di fiducia quello richiesto dall’autrice al lettore, il quale si ritrova ad annaspare per dei punti di appoggio che esistono pur essendo parecchio scivolosi in quanto la seconda parte del libro contesta quanto asserito nella prima, mentre la terza getta ancor più dubbio sulle due precedenti. Cominciando come un coming-of-age novel, all’inizio Esercizi di fiducia parla di adolescenza: l’Io narrante ne individua passioni e timori, indaga il rapporto con l’altro attraverso l’esclusività del sesso, i litigi lasciati appesi per paura del confronto, il tutto all’apparente scopo di preparare il terreno per un futuro salto di consapevolezza e crescita personale.

In questo “romanzo di Sarah”, di cui non si scoprirà mai la fine, la scrittura sembra però lasciarsi fin troppo andare: si assiste a un’alternanza tra il tempo predominante del presente e alcune porzioni di testo in cui si passa al passato senza un motivo evidente; le scene di sesso sono descritte tra frasi più liriche e tante molto più efferate, con innalzamenti di registro («restano ambedue sconvolti nel sorprendersi a copulare in uno spazio comune della loro scuola») e repentini abbassamenti («e adesso ci danno dentro anche di più»). Queste rimostranze non so davvero se debbano esser dirette all’autrice o alle scelte stilistiche e narrative della Sarah-autrice; probabilmente a quest’ultima, visto ciò che afferma Karen dopo la parziale lettura del libro, quando confronta il suo percorso da ballerina con il talento letterario di Sarah.
 

Pagine e pagine e pagine riempiva la Sconsolata Sarah sul suo Serio Taccuino. L’unica differenza è che Sarah ce l’ha fatta, avendo mirato più in basso e abbracciato un talento che chiunque, con gli strumenti adeguati, può fingere di possedere. Provate a fingere di saper ballare: impossibile. La vera arte richiede disciplina, pretende che si scolpisca il muscolo e lo si leghi all’osso.


Nella seconda parte invece, Esercizi di fiducia cambia completamente di forma, e prende tutt’altro passo. Il lettore si confronta con una voce narrante che, ritrovatasi ad affrontare di petto il suo trascorso di abusi, non riesce con serenità ad andare oltre l’accaduto. Al dipanarsi in modo frammentario dei ricordi di quel periodo adolescenziale si sovrappongono le vicende di Karen nel presente, cosicché sono due le dimensioni temporali di cui dover seguire l’intreccio: uno incentrato sulla ricostruzione degli eventi alla luce di ciò che il romanzo di Sarah non dice, e l’altro, conseguenziale, di decostruzione del trauma riaffiorato al fine di superarlo. A ciò si aggiunge anche la diversa percezione che Karen ha di se stessa: ora si sente il soggetto dell’azione e la storia si snoda in prima persona, ora invece sembra sentirsi l’oggetto dell’azione e la storia va avanti in terza persona. Nonostante il punto focale rimanga lo stesso, ossia Karen, la linea tra il giusto effetto e l’eccesso nell’uso di questi frequenti scambi di persone, a cui sporadicamente si aggiunge anche un fantomatico “noi”, è talmente sottile che talvolta viene superata: in certi punti del romanzo la mancanza di concretezza – e dei più banali chi, dove, cosa, quando – è così evidente che lo straniamento rischia di prendere il sopravvento, e riuscire a seguire con attenzione le vicende raccontate può diventare faticoso. Di contro, al netto di qualsiasi eccesso, sviluppare una voce narrante così schizofrenica non può che far sorgere nel lettore una domanda molto chiara: ma chi sta raccontando questa storia? 

In linea con tale quesito, forse lo scopo perseguito da Susan Choi con i suoi esercizi narrativi di rottura potrebbe essere proprio quello di smontare le componenti del romanzo così da farlo esplodere dall’interno in mille pezzi; di mettere in crisi la forma di un testo in termini di voce e struttura – ma anche, dalla prospettiva del lettore, di approccio alla lettura – per rinnovare la concezione tradizionale di storia, e di chi si può arrogare il diritto di raccontarla. Da qui, non può allora stupire il fatto che, come già detto, sebbene Esercizi di fiducia sia stato scritto prima del 2017, la critica lo abbia aggiunto alla ‘Letteratura del #MeToo’ inserendolo di fatto in un dibattito già avviato riguardante lo scardinamento della narrazione “ufficiale” sulle molestie da parte della prospettiva dominante, quella dell’uomo, per dare invece credito alla narrazione collettiva delle tante donne che grazie all’apertura e al sostegno del movimento hanno potuto rompere il silenzio e dire al mondo come sono veramente andate le cose dal loro punto di vista. In quest’ottica, l’intento del romanzo è tanto nobile quanto raggiunto, e si può dare credito alla critica Parul Sehgal quando lo include tra i libri che ci ricordano l’impegno etico della letteratura. 

Mi permetto però di concludere dando voce a qualche perplessità riguardo l’analisi della Sehgal: per quanto sia ben costruita, e a prescindere dall’utilità di tale raggruppamento anche alla luce dell’analisi di Esercizi di fiducia, non si può escludere però che l’uso di un’etichetta così carica di significato come ‘Letteratura del #MeToo’ – chi avrebbe mai detto che un hashtag, nato per identificare una mobilitazione social, arrivasse a identificare anche dei libri? – possa aprirsi, sul lungo periodo, a delle complicazioni di ricezione potenzialmente allarmanti. Sorgerebbe spontaneo chiedere, anche a mo’ di provocazione: al lettore risulta chiaro che i ‘romanzi del #MeToo’ non sono ascrivibili a una trovata di marketing ma sono invece testimoni di un impegno autoriale ben più profondo? Sarà possibile impedire la saturazione di quello che sembra essere trattato alla stregua di una categoria letteraria ben precisa (senza scomodare il termine genere letterario, tutt’oggi dibattuto)? Ultima considerazione: tale definizione sembra porre l’accento più sul cosa quei libri raccontano e non sul come lo raccontano, ponendo inevitabilmente contenuto e forma su due piani d’analisi diversi mentre dovrebbero situarsi nel medesimo spazio, dato che sono inestricabili l’uno dall’altra. Di conseguenza: il lavoro di selezione della critica, o dei gender studies, sarà sufficiente per distinguere, nel tempo, tra le pubblicazioni che cavalcano solo l’onda dell’interesse sull’argomento da quelle effettivamente meritevoli di attenzione in termini di qualità e apporto alla letteratura? Ad oggi con Esercizi di fiducia ci è riuscita ma, in relazione alla fiction che verrà, queste perplessità rimangono.


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