Questione di consenso
I confini del sesso nelle serie I May Destroy You, Normal People e The Morning Show
Sono passati esattamente tre anni da quando il New York Times e il New Yorker pubblicarono le prime inchieste su Harvey Weinstein, accusato di aver molestato e abusato sessualmente oltre un centinaio di donne. In questi tre anni, l’ormai ex produttore è stato licenziato dalla sua stessa casa di produzione, condannato (lo scorso marzo) a 23 anni di carcere e al momento incriminato per altri sei capi d’accusa per violenza sessuale. Il movimento #MeToo (in Italia #QuellaVoltaChe), nato a seguito delle accuse al produttore statunitense, ha creato una frattura, aprendo un varco su questioni prima di allora tenute ai margini del dibattito pubblico, come molestie, dinamiche di potere, misoginia sistemica e consenso.
Quest’ultimo, in particolar modo, è diventato oggetto di grande discussione – su che cosa sia, se e come sia possibile rispettarlo – nonché punto fondamentale per ripensare le nostre relazioni, i ruoli di genere e ovviamente il sesso, da sempre visto come una conquista e non come momento di scambio paritario e reciproco. Era inevitabile dunque che la questione del consenso trovasse un’eco anche nella stessa industria dell’intrattenimento, tanto da farne oggetto di rappresentazione e analisi specie nella serialità televisiva, il medium che più di tutti in questi anni ha dimostrato di saper raccontare lo spirito del nostro tempo e tenere aperto il dialogo su questioni scomode, difficili ma attuali.
Stabilire i confini
Già a partire dal 2018 una serie di titoli come Glow, Unbreakable Kimmy Schmidt, Dietland hanno iniziato a raccontare storie di sopraffazione, abusi e violazione del consenso, spesso ideate da showrunner donne. La testata Vulture parlò di “Summer of #MeToo tv”. È del 2019 però il primo prodotto seriale che prende di petto il movimento basato sulla “rottura del silenzio”. Ambientata negli studi televisivi di un programma tv, The Morning Show (su Apple Tv+) parte dal licenziamento di Mitch Kessler (Steve Carell), popolare conduttore televisivo accusato di molestie e comportamenti inappropriati, per raccontare un ambiente di lavoro tossico nel quale abuso, omertà, complicità e corruzione sono legati a doppio filo. Se da un lato la serie si concentra fin troppo sull’accusato e su cosa comporta subire la damnatio memoriae nel pieno dell’era #MeToo, dall’altra rappresenta molto bene in che modo un’icona amata e di successo, proprio perché tale, riesca a perpetrare atteggiamenti predatori, puntualmente condonati e insabbiati. Ma non solo. The Morning Show mostra anche come non sia necessaria la violenza fisica – ancora troppo spesso considerata una condizione essenziale quando si parla di costrizione e abuso sessuale – per impedire una chiara e consapevole espressione del consenso.
In questo senso, è emblematico l’episodio Lonely at the Top: per la prima volta vediamo Mitch sfruttare il proprio privilegio e potere mentre violenta Hannah Shoenfeld (Gugu Mbatha-Raw), una giovane talent booker che colta di sorpresa dall’approccio sessuale dell’uomo rimane paralizzata, annichilita, in una posizione in cui dire “no” diventa impossibile per paura delle eventuali ritorsioni o di essere additata come “provocatrice”. Proprio ciò che Mitch afferma quando viene messo di fronte alla realtà dei fatti. Come ha spiegato la showrunner Kerry Ehrin, l’episodio vuole «mostrare che qualcuno come Mitch può definire le sue azioni involontarie o addirittura dire che erano consensuali, ma c’è anche una parte di lui che sceglie di non vedere la persona con cui si trova, perché non è conveniente al suo scopo».
Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro, le donne hanno paura che gli uomini le uccidano
Da quando è scoppiato il #MeToo si è parlato molto della cosiddetta “zona grigia”: ovvero dell’impossibilità di stabilire i confini tra corteggiamento e molestie e quindi di capire se una donna è interessata e consenziente. Ma è solo esaminando gli squilibri di potere esistenti e la cultura che normalizza la mascolinità tossica – la famosa “libertà di importunare” – che si può individuare quel confine. Un confine che risiede per l’appunto nel consenso, esplicito e mai dato per scontato. «Gli uomini hanno paura che le donne ridano di loro, le donne hanno paura che gli uomini le uccidano»: è una famosa frase della scrittrice Margaret Atwood che sintetizza molto bene perché a volte è difficile manifestare il proprio disagio e dire “no”. È una questione di autodifesa ma anche di educazione, abitudine. Il racconto Cat Person di Kristen Roupenian, uscito a dicembre 2017 sul New Yorker e diventato virale in poche ore, parlava esattamente di questo, cioè «del modo in cui molte donne, soprattutto giovani donne, si muovono nel mondo», ha spiegato l’autrice, «non far arrabbiare le persone, assumersi la responsabilità per i sentimenti altrui, mettersi d’impegno per rendere tutti felici». Proprio quello che fa Hannah in The Morning Show, seppellendo le emozioni e facendosi carico di tutto, incluso il senso di colpa.
Dissolvere i ruoli di genere
Nel 2011 Lena Dunham aveva fatto scalpore con Girls, che raccontava una sessualità umiliante e raramente piacevole per le donne, in cui il confine del consenso viene più volte forzato se non ampiamente valicato – su tutti, il celebre e controverso episodio On All Fours. Ma il sesso come spazio di conflitto, perdita della dignità e violazione è al centro anche di I May Destroy You – targata HBO-BBC One, è ancora inedita in Italia – il “consent drama” che finora ha esplorato meglio i temi legati al #MeToo nell’epoca della hookup culture. Creata, diretta e interpretata da Michaela Coel, la serie segue le vicende di Arabella Essiedu, scrittrice millennial londinese e star di Twitter che una sera viene drogata e stuprata in un bar (la vicenda è ispirata alla violenza sessuale subita dalla stessa Coel). Nel corso degli episodi l’autrice propone un punto di vista intersezionale sul trauma, la rape culture, il sessismo interiorizzato. Tutti temi che si intrecciano a razzismo, omofobia e classismo in modo assolutamente inedito. «Prima di essere stuprata non avevo mai pensato al mio essere donna. Ero troppo occupata a essere povera e nera», afferma la protagonista, riflettendo sul “pericolo” di nascere femmine.
La serie racconta il suo percorso di ricostruzione del sé – come donna, scrittrice e sopravvissuta –, passando attraverso una presa di coscienza delle asimmetrie di potere nel sesso e dei confini del consenso. Nel quarto episodio, Arabella subisce lo stealthing, ovvero la rimozione non consensuale del preservativo durante un rapporto, e mentre ascolta un podcast scopre che non solo si tratta di una pratica comune ma che viene anche classificata come stupro (il Regno Unito è tra i paesi che aderisce di più al modello consensualistico). Solo allora emerge tutta la rabbia e il risentimento della protagonista, che si sente nuovamente violata. Qualcosa di simile succede anche all’amica Terry (Weruche Opia), ingannata da due uomini con cui ha avuto un rapporto a tre, e all’amico Kwame (Paapa Essiedu), aggredito sessualmente da un uomo. Anche loro si destreggiano tra incontri sessuali spaventosi e traumatici, e iniziano così a riconsiderare la propria idea di consenso.
I May Destroy You è una serie sul diritto di autodeterminarsi e sul controllo: del proprio corpo, della propria mente e della propria vita
Mettendo in scena un’ampia varietà di abusi, Michaela Coel spinge i suoi personaggi a mettere in discussione le relazioni con l’altro sesso e le loro esperienze; allo stesso modo chiama in causa anche chi guarda, che si interroga sul proprio vissuto. Sollecitando una riflessione che aiuta a sentirsi più forti e «avere più controllo in futuro», come ha scritto la rivista Slate. Del resto, I May Destroy You è una serie sul diritto di autodeterminarsi e sul controllo: del proprio corpo, della propria mente e della propria vita. La sequenza finale sul processo creativo di scrittura di Arabella assume infatti un alto valore simbolico, perché scrivere diventa un mezzo attraverso il quale rielaborare il trauma. E un modo per «divorarlo per dominarlo», ha spiegato l’autrice parlando della scelta di introdurre tre diversi epiloghi, che includono una fantasia vendicativa, la cattura dello stupratore David e un rapporto consensuale: «Per qualche ragione, volevo che Arabella penetrasse David. Lo volevo davvero. […] Non penso si tratti di sovvertire i ruoli di genere. Si tratta di dissolverli».
Il sesso come dialogo
I May Destroy You è riuscita a riaccendere e ampliare la conversazione lanciata dal #MeToo, riscuotendo grandi consensi tra critica e pubblico. La stessa cosa è successa quest’anno anche con un’altra serie: Normal People (su StarzPlay), che esplora le relazioni disordinate della generazione millennial e la sessualità femminile, questa volta piacevole e pienamente consensuale. Tratta dall’omonimo romanzo di Sally Rooney, è la storia di due giovani, Marianne (Daisy Edgar-Jones) e Connell (Paul Mescal), provenienti dalla contea irlandese di Sligo, che si frequentano e si amano tra alti e bassi, fraintendimenti, rotture e riappacificazioni. Il loro è un amore intimo, carnale, che pone al centro il consenso, sempre esplicito, ricercato e rispettato.
Uno dei momenti più chiacchierati e apprezzati è proprio quello della loro prima volta: prima e durante il sesso Marianne e Connell parlano, esprimono in modo chiaro i propri desideri e chiedono se “va tutto bene?” o “ti fa male?”, dando vita a una scena realistica, erotica, interamente basata sulla comunicazione e sul piacere reciproco. «Quando sento la frase “scena di sesso”, penso a una scena di dialogo», ha dichiarato in un’intervista Rooney, anche co-sceneggiatrice della serie. «Non voglio scrivere soltanto una scena in cui due personaggi si dicono parole a caso. In modo analogo, le scene di sesso devono avere davvero un ruolo drammatico». Normal People rimane infatti molto fedele al testo, con una rappresentazione della sessualità esplicita ma non pornografica (nonostante le tante scene di nudo), vista di rado al cinema e in tv. Parte del merito va anche alla intimacy coordinator Ita O’Brien (presente anche in I May Destroy You), il cui lavoro consiste nel costruire uno spazio sicuro sul set, e nel supportare e “guidare” il cast durante le scene più intime, pianificando insieme ogni movimento come fosse una coreografia.
Normal People indaga le dinamiche di genere, ma soprattutto è una love story che smonta l’idea che chiedere il consenso sia poco virile
Alla fine anche Normal People è una serie che indaga le dinamiche di genere, legate alla sfera affettiva e sessuale, ma soprattutto è una love story che smonta l’idea che chiedere il consenso sia poco virile e quindi impraticabile. «Penso che sia abbastanza ovvio che non voglio che te ne vada», dice Connell in un episodio. «Per me non è ovvio quello che vuoi», risponde Marianne. Le loro conversazioni evidenziano spesso questa difficoltà nel comunicare, e articolare a parole, i propri sentimenti, ma nell’intimità avviene l’esatto opposto. Perché è nel sesso che i personaggi dialogano meglio e si mettono a nudo – metaforicamente e non –, dichiarando in modo onesto cosa vogliono e non vogliono, spinti unicamente dal desiderio e dall’ascolto reciproco. Proprio ciò che sta alla base del consenso.
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