Quei bravi ragazzi

Storia del declino M5S, tra sondaggi web, insulti, ceffoni e brutti ceffi

Ma dove sono finiti quei bravi ragazzi? Dove sono quei cittadini integerrimi come la gente comune, quei parlamentari incorruttibili ma pronti alla violenza fisica e verbale? Forse sono quelli che Beppe Grillo, con uno slancio di arditezza, chiama «nuova Resistenza». Oppure quelli che si sono resi responsabili delle scene di folle guerriglia a Montecitorio, «roba da squadristi», secondo Matteo Renzi. Più semplicemente, forse, non sono mai esistiti veramente.
Il Movimento cinque stelle non è né di destra né di sinistra, ma fieramente populista, scriveva Beppe Grillo sul suo blog. Eppure, resta il partito delle contraddizioni, dell’incertezza, dello sbando. Il partito in doppiopetto. Senza una vera rotta da seguire. Da una parte ci sono la candidatura di Stefano Rodotà e il reddito di cittadinanza. Dall’altra, l’apertura a Casa Pound e l’ostilità verso l’abolizione del reato di immigrazione clandestina. In un partito senza ideali comuni, dove l’unico collante è la disperazione degli elettori, è difficile trovare unità. Un fattore che, in fondo, è la chiave del successo politico, ora più che mai.

La frustrazione, tra i grillini, è tanta. Soprattutto da quando Matteo Renzi è riuscito a fare in poche settimane ciò che i fedelissimi di Grillo e Casaleggio non sono riusciti a concludere in quasi un anno di opposizione al governo delle larghe intese. L’accordo sulla nuova legge elettorale tra Forza Italia, Nuovo centro destra e Partito democratico ha demolito le ultime speranze di riscossa dei parlamentari a cinque stelle. Sono rimasti esclusi per l’ennesima volta dalle contrattazioni. Gridano all’inciucio, al complotto, alla vecchia politica di privilegiati, ma senza spiegare perché non abbiano scelto di prendere parte alla discussione. Non è servito a molto attendere l’ultimo minuto per lanciare un misero sondaggio-lampo sulla Rete, riservato agli iscritti, per esprimersi circa la legge elettorale più adatta per il Paese. Una votazione estemporanea non è abbastanza per riparare all’improduttività di undici mesi di opposizione, poco credibile e ancor meno efficace.
Le promesse della campagna elettorale non sono state altro che fumo negli occhi. La strategia dell’opposizione e dell’ostruzionismo non ha assolutamente premiato. È bastata la costituzionalissima ghigliottina per tranciare in un momento l’ingenua pretesa di ventinove ore di dichiarazioni di voto che avrebbero impedito l’approvazione del contestato decreto Imu-Bankitalia. Indipendentemente dal comprensibile sdegno sul decreto in favore della Banca d’Italia, lamentavano l’accorpamento dei due provvedimenti. Nonostante le scene plateali, i grillini non avrebbero potuto rinunciare all’abolizione dell’imposta sulla casa – no, quello non era un inciucio con il Cavaliere, secondo loro.

L’isolamento autoindotto si è presto rivelato un suicidio lento e inconsapevole. Le liste di proscrizione contro i giornalisti accusati di distorcere l’informazione non hanno sortito altro effetto che rendere ancora più ostile la stampa nei confronti dei parlamentari del Movimento. L’organizzazione stessa della democrazia orizzontale, priva di trasparenza, ha suscitato le perplessità di molti attivisti. Dinanzi all’ultima clamorosa sconfitta, non resta che propinare agli elettori ancora una volta il mito riciclato della vittoria mutilata.
I pentastellati non hanno capito che la politica, quella incorrotta e incorruttibile cui loro stessi inneggiano, non è solo manifestazioni plateali e vittimismo. Salire sul tetto di Montecitorio è perfettamente inutile, se l’unico obbiettivo è richiamare l’attenzione della stampa. Lo chiedano a Bersani: potrà sicuramente confermare senza esitazioni, lui che a salire sui tetti ci aveva già provato, e poi sappiamo com’è andata. Imbavagliarsi in Aula non serve a nulla, se non a coprirsi di ridicolo, ma è forse il destino più naturale per chi non ha niente di concreto da dire. Sono necessari dei contenuti chiari e condivisi, per fare della buona politica, insieme a cifre, dati e talvolta anche compromessi, e non bastano delle idee gettate alla rinfusa in bocca a parlamentari inesperti, che pure «stanno studiando» per capire come funzionano le istituzioni.
Il mantra ossessivo delle decisioni prese sul web, in onore alla democrazia orizzontale, delinea con crescente chiarezza tutti i suoi limiti. Il partito, ufficialmente coeso, soffre silenziosamente le imposizioni dirigistiche del duo Grillo-Casaleggio, che hanno condotto fino ad oggi a ben magri risultati. Ma chi manifesta dissenso è perduto: l’espulsione è democraticamente immediata.
L’extrema ratio alla frustrazione è la rissa. Un’inusitata bagarre alla Camera è il simbolo della confusione più assoluta interna al partito. La cieca antidemocrazia grillina è suggellata dal tentativo di occupazione delle Commissioni, del tutto inatteso. Il Vaffa-Day ha dato i suoi frutti. Il dialogo lascia spazio all’ingiuria e alla minaccia, per poi stemperarsi tardivamente nella rettifica e nel fraintendimento. Non mi riferivo a loro. Intendevo dire. Si tratta di parole decontestualizzate. Restano inequivocabili, tuttavia, i toni dei giorni appena trascorsi, e danno prova dello spirito belluino di un partito che arranca sempre di più.

Nel mentre, Matteo Renzi ha rotto gli indugi. E, facendo propri molti dei temi cari agli stessi grillini, è riuscito a vincerli con le loro stesse armi. Sia Beppe Grillo che il Sindaco vogliono combattere la vecchia politica. Benché l’obbiettivo sia comune, e siano comuni anche le armi, la tattica è del tutto diversa. Per buona parte, le proposte del Partito democratico di Renzi somigliano alle istanze dei pentastellati, dal reddito di cittadinanza al taglio della burocrazia, al tema delicato della riduzione dei costi della politica. Ma a parità di id quod substat, è la forma che cambia.
Tutto quello di cui il Paese ha bisogno, come ripetono tutti, sono riforme strutturali. Per la prima volta, il Sindaco di Firenze è riuscito a cogliere quell’occasione rimasta troppo a lungo negletta. Si è riservato il favore di un elettorato deluso ma non sconfitto, a differenza del Movimento cinque stelle, che ha preferito sfruttare l’apatia e la sfiducia. Forte di un consenso sempre crescente, con prospettive più solide e chiare, Renzi ha saputo imprimere alla politica una svolta che, per quanto ancora minima, è significativa. E il Movimento cinque stelle non può che prenderne atto, mentre continua ad inseguire falsi spettri.


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