Quando la polizia è la vera epidemia
Negli Stati Uniti ci sono due piaghe che stanno devastando il Paese: una è il Covid, l’altra è la polizia
Qualche mese fa, il padre di mio figlio viene fermato in macchina.
“Cos’ho fatto?” chiede.
Nessuna risposta. Forse il rumore del vento è troppo forte.
“Cos’ho fatto?”
“Ha una pistola?” dice il poliziotto.
“Perché mai dovrei avere una pistola?”
Il poliziotto ispeziona la macchina in cerca di una pistola. Fa scendere il padre di mio figlio dalla macchina, mani sul cofano, e lo perquisisce. Gli chiede dove sta andando, dove vive.
“Posso prendere la mascherina?” chiede il padre di mio figlio.
Il poliziotto non risponde. Il suo respiro condensa nell’aria fredda.
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Un agente di polizia, che chiameremo Dan, è attaccato al ventilatore da quattro settimane. Sua moglie organizza continue veglie su Facebook. Pregate guerrieri, pregate come non avete mai fatto!
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La pandemia è iniziata esattamente un anno fa.
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Viviamo in una città del Sud di medie dimensioni, in un quartiere di case popolari inserito in una zona ricca. Le scuole sono ben finanziate e con allievi di ogni razza ed estrazione sociale. È un posto sicuro. Ma i poliziotti sono ovunque e osservano in silenzio dalle loro macchine.
Una settimana fa, un bel pomeriggio di sole, hanno seguito i nostri vicini, che chiameremo Kirk e Bria, fino a casa loro. Abbiamo visto tutto dalla nostra veranda.
“Che cosa abbiamo fatto?” chiede Kirk.
“Patente e libretto”
“Che cosa abbiamo fatto?”
Il poliziotto gli controlla i documenti tanto per fare qualcosa e salta fuori che non hanno registrato la macchina. Lo guardiamo infilare la testa nel finestrino e rimanere lì dentro, senza mascherina, per cinque, dieci minuti.
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Dan aveva mandato un messaggio a sua moglie prima di finire in terapia intensiva. Lei condivide quasi tutto su Facebook e quindi ha condiviso anche il suo ultimo messaggio: Devo farcela. DEVO riuscire a tornare a casa da te. Di solito i poliziotti non mi piacciono ma quando ho letto quella frase ho pensato OK Dan. Forza, torna a casa.
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Kirk e Bria chiedono al poliziotto, che era ancora mezzo infilato nella loro macchina, di poter parlare con il suo capitano.
“Perché?”
“È illegale controllare i documenti di una persona senza un motivo valido”
“La macchina non è registrata”
“È comunque illegale”
Il poliziotto torna alla volante. Il figlio adolescente di Kirk e Bria si affaccia sul portico e loro, dal parabrezza, gli fanno segno di tornare dentro.
Dopo parecchio tempo accosta un’altra volante. Il capitano infila la testa nel loro finestrino e mostra la sua rasatura perfetta, con la mascherina sgualcita sotto il mento.
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Sul profilo Facebook della moglie di Dan viene postato un video della veglia notturna in onore del marito. Il video è filmato con un drone o da un elicottero: un mare di macchine della polizia, camioncini dei pompieri e ambulanze che sfilano. Luci blu e rosse lampeggianti, canti di chiesa inframmezzati da alleluia. Un’intera città fa il tifo per Dan. La grandezza del gesto mi fa venire un nodo alla gola, per un momento la quantità eclissa il significato. Poi mi chiedo:
Chi altro è finito attaccato al ventilatore in questa città di kudzu, musica reggae e treni tristi e striduli? Abbiamo illuminato il cielo anche per loro?
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I poliziotti hanno perquisito la casa di un altro nostro vicino un paio di mesi fa. È un tossicodipendente ma l’unica cosa che vende sono i ricambi di olio nel parcheggio. Avevano un mandato. Non hanno trovato niente. Lui è rimasto seduto sul portico mentre loro frugavano in ogni stanza. Senza mascherina.
“Che cazzata” ha detto mentre andavano via.
Lo hanno salutato e si sono rimessi in viaggio nella notte.
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“È illegale” insistono Bria e Kirk dalla macchina. Il capitano chiama i rinforzi. Quattro uomini in divisa si consultano. Secondo il loro computer, Bria non si è presentata in tribunale. “No,” risponde, “ci sono andata ieri. Evidentemente non l’hanno ancora inserito nel sistema”. La portano via in manette, con le sirene spiegate.
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La moglie di Dan scrive su Facebook: Lo vogliono staccare dalle macchine, ma gli ho fatto promettere di aspettare fino a lunedì. Credo nei miracoli. Dio lo guarirà e lo farà tornare a casa.
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Se il padre di mio figlio si fosse ammalato ci sarebbe stata una veglia? Cinquecentocinquanta mi piace sotto ai post di aggiornamento sulla sua salute condivisi sulla pagina del dipartimento di polizia? Se Bria si prende il Covid in galera ci sarà un ventilatore per lei?
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L’immagine di copertina del profilo Facebook di Dan è una bandiera americana in bianco e nero con una striscia blu. Ci si potrebbe scrivere un intero saggio senza far riferimento alla razza, ma prima o poi sguscia fuori dalla pagina.
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Ho passato dodici mesi senza mai scrivere un post su Facebook sui poliziotti che non indossano le mascherine. Sentivo che prima avrei dovuto trovare dei dati che confermassero le mie supposizioni. Tutte le morti causate dal Covid sono una tragedia ma ogni giorno volevo commentare sotto uno dei post della moglie di Dan: Aveva la mascherina? Quanto spesso si degnava di mettersi quella cazzo di mascherina? Quanti mesi ci sono voluti per convincerlo a indossare quella cazzo di mascherina? Lo so che non va bene.
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La moglie di Dan è convinta che i dottori del reparto di terapia intensiva abbiano perso la fede. Non conoscono le parole di Dio. Dicono che la situazione è brutta ma io mi rifiuto di accettare le loro scuse!
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Alla fine ho cercato i dati. Non ci sono dati.
Il sergente Chris Knox, dal dipartimento della Carolina del Nord, ha detto che “i nostri agenti là fuori, che lavorano sul campo, quando si trovano a un metro di distanza da una persona devono indossare la mascherina, anche se all’aperto”. La dichiarazione è stata fatta in risposta alle tante foto che ritraggono i poliziotti nei posti di blocco senza la mascherina.
Eugene O’Donnell, un ex poliziotto del dipartimento di New York, si è espresso così sul problema mascherina: “il governo ha portato al limite il dipartimento… non è un buon momento per chiedere qualcosa alla polizia”.
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Mi sento una senza dio mentre scrivo. Dan è in rianimazione, dio santo. Magari non era come gli altri. Magari la mascherina l’ha sempre portata.
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“Bria ha detto ai poliziotti la verità, cazzo”, mi dice Kirk. “In tribunale c’è andata ieri. Ma non le hanno creduto”. Cammina nel parcheggio con la testa fra le mani. Più tardi i poliziotti lo chiamano e gli dicono che aveva ragione lei. Ora riescono a vederlo nel sistema. Prestiamo la nostra macchina a Kirk per andarla a prendere.
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Sta morendo. Ogni giorno su Facebook la moglie di Dan ci racconta che sta morendo. Non sono sicura che lei si renda conto di quello che dice. È più facile chiedere preghiere che condoglianze.
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Quando hai qualcosa da dire e ti ritrovi cinque sei settecento persone che ti ascoltano –
Quando racconti una tragedia personale e il dipartimento dello sceriffo ti fa da portavoce –
Quando puoi esprimere le condoglianze con fasci di luce blu e rossa, con cori di alleluia che risuonano in tribunale, in autostrada, nelle foreste selvagge –
Ecco, è davvero qualcosa.
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Kirk e Bria non si possono permettere di registrare la macchina. Ci salutano ogni mattina quando rientrano a casa. “Non durerà molto” dice il padre di mio figlio. Ma che cosa possono fare?
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La moglie di Dan scrive:
Dicono che è il momento di staccare la spina.
Ma loro non conoscono il mio Dio.
LUI VERRÀ GUARITO E TORNERÀ A CASA DA ME.
E tutti commentano: Preghiamo. Preghiamo.
Sara Heise Graybeal è una scrittrice statunitense, docente all’Università della Carolina del Nord. Questo brano è stato pubblicato su Hobart Pulp il 02/07/2021 ► None of This Is Okay | Traduzione di Erica Francia
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