Qualche giorno fuori dal mondo | Intervista a Céline Sciamma
La regista di Ritratto della giovane in fiamme su Petite Maman, i suoi film e l’industria cinematografica francese
Le opere di Céline Sciamma mettono in scena piccoli attimi rubati, identità segrete ed emarginate che si sono costruite una vita nell’ombra. I suoi soggetti sono i rifiutati e gli esclusi della nostra società, che si tratti di una gang di ragazzine nere nella banlieue parigina o di due amanti lesbiche spazzate via dal vento nella Bretagna del XVIII secolo. In un modo o nell’altro, queste persone sono alla ricerca di rifugio e di emancipazione. Probabilmente i fan di Sciamma hanno trovato entrambe le cose nei suoi film. «In tutti i miei film è presente la stessa idea», dice Sciamma. «Mostro sempre qualche giorno fuori dal mondo, in cui è possibile incontrarsi e amarsi. Si tratta sempre di personaggi femminili, perché le donne possono essere se stesse solo in un luogo privato dove sono in grado di condividere la loro solitudine, i loro sogni, il loro modo di essere e le loro idee». Le sue pellicole sono una sorta di spazio sicuro per le protagoniste, ma speriamo anche per il pubblico.
Alla vigilia del suo 43° compleanno, Sciamma è passata da regista di pellicole d’essai a fenomeno di massa con il pluripremiato film in costume Ritratto della giovane in fiamme
Ho seguito la carriera di Sciamma per più di un decennio e credevo di essere parte di una ristretta cerchia di ammiratori, fino a che non mi sono reso conto che il suo pubblico è molto vasto e cresce di anno in anno. Alla vigilia del suo 43° compleanno, è passata dalle pellicole d’essai Naissance des pieuvres e Tomboy al grande successo di Diamante Nero, fino a diventare nel 2019 un fenomeno di massa con il pluripremiato film in costume Ritratto della giovane in fiamme. Sul palco del London Film Festival di quest’anno, la regista è stata accolta come un’eroina, la creatrice di drammi umani e intimi ha fatto sentire la sua voce davanti al mondo. «Sono vittima del mio stesso successo», sbuffa. «Beh, sì, forse ci sono problemi peggiori».
Ci incontriamo un grigio sabato mattina nella suite isolata di un hotel che si affaccia sulla strada. Si è appena alzata e si sta ancora preparando per la battaglia. Ha la polvere del sonno negli occhi, una mascherina agganciata alla manica del bomber e un pacchetto di Marlboro Gold sul tavolo al suo fianco. Non appena avremo finito, ammette, farà un salto fuori a fumare.
Sciamma è diventata un grande nome. Per fortuna, i film sono rimasti piccoli. La sua ultima opera, Petite Maman, è una splendida miniatura, una sorta di fiaba, con tanto di casa infestata, foresta magica e una primitiva casa sull’albero che fa anche da macchina del tempo. In 72 minuti, Sciamma racconta la storia di Nelly, otto anni, scossa dalla morte di sua nonna, che fa amicizia con una bambina nel bosco dietro la casa di famiglia abbandonata. Un film più convenzionale avrebbe potuto scegliere di svelare lentamente il legame tra queste due compagne di gioco. Petite Maman ha il merito di andare dritto al punto. «Sono tua figlia», dice Nelly a Marion. «Vengo dal sentiero dietro di te».Il problema del dramma, dice Sciamma, è che è inevitabilmente costruito intorno all’idea di conflitto. Si parla di rivali, di nemici, di risoluzione attraverso la violenza. Ma la regista voleva fare qualcosa di diverso: costruire un dramma ricco di tensione, in cui i soggetti si aprono all’altro e sono sulla stessa lunghezza d’onda. «Se si inizia una scena in cui i personaggi discutono e si trovano d'accordo, improvvisamente l’attenzione si risveglia. Ora cosa succederà? Le possibilità sono illimitate. Gli sviluppi di una scena del genere sono del tutto imprevedibili».
In particolare, Petite Maman si addentra nel rapporto tra una madre inaffidabile e la sua bambina, ferita e piena di angosce. L’atmosfera magico-realista serve ad abbattere la barriera del tempo e a mettere le due protagoniste faccia a faccia. La più grande tragedia di ogni famiglia, spiega Sciamma, è che siamo in sintonia con i nostri genitori solo quando raggiungiamo l’età che hanno loro, ma a quel punto ovviamente sono già andati avanti. «Possiamo comprendere a livello politico le nostre madri solo quando siamo cresciute. Capiamo le decisioni che hanno preso e le pressioni che hanno subito. Il sistema politico. Il sistema riproduttivo. A un certo punto leggiamo il mondo come lo leggevano loro. Ma attraverso la finzione, attraverso il viaggio nel tempo, siamo in grado di avvicinarci al loro punto di vista da pari».
In Petite Maman l’atmosfera magico-realista serve ad abbattere la barriera del tempo e a mettere le due protagoniste faccia a faccia
Guardando Petite Maman, con la sua foresta spettrale e i suoi bambini inquietanti (perfettamente interpretati dalle gemelle Joséphine e Gabrielle Sanz), mi sono ritrovato a pensare ai racconti di Angela Carter, o a qualche misterioso dipinto di Paula Rego. Sciamma cita Hayao Miyazaki e Ritorno al futuro come altri riferimenti, ma inevitabilmente la sua vera ispirazione è di natura molto più intima. «Ho progettato questo film come una sorta di strumento terapeutico», dice. «Mi sono posta una domanda personale: se avessi incontrato mia madre quando avevamo entrambe otto anni, quale sarebbe stato il nostro rapporto? Sarebbe stata mia sorella? Saremmo diventate amiche? Avremmo condiviso lo stesso padre? Mi sono posta queste domande». Deve essere stato strano, per sua madre, vedere rappresentate sullo schermo tutte queste domande. «Sì, non lo so». Scuote la testa; i suoi orecchini danzano. «Ha visto il film. So che lo ha visto, non ha commentato». Non glielo ha chiesto? Scuote di nuovo la testa, quasi in modo frenetico. «Oh», dice «no». Finalmente capisco. Oh, dico io. Non ha un buon rapporto con sua madre. «No». Sciamma sospira. «Cioè, non è un tema di cui parlare. Non è il caso di approfondire il discorso, ma non voglio prenderti per il culo. È vero, non abbiamo un buon rapporto».
Céline Sciamma al Parlamento Europeo per Diamante nero, che entrò nella short-list del premio LUX
© European Union 2014 - European Parliament
Sciamma è stata cresciuta a Cergy-Pontoise, a nord-ovest di Parigi, materialmente dai suoi genitori, spiritualmente dai film. Sua nonna paterna, ricorda, era una fan della Hollywood classica: Fred Astaire, Cary Grant e James Stewart. Poi, da adolescente, ha scoperto l’Utopia, un cinema d’essai a Cergy che frequentava anche tre volte alla settimana. Fu all’interno dell’Utopia che maturò l’idea di lavorare nel cinema, anche se il suo primo lavoro dopo l’università fu nell’ufficio marketing di una startup online. «Erano i primi anni 2000, il momento delle prime startup. In nove mesi abbiamo visto l’azienda nascere e morire. Era come stare in un simulatore di volo: Siamo in aria, stiamo volando. Aaah, ci siamo schiantati». Ride. «Dopo di che mi sono iscritta alla scuola di cinema».
Sciamma voleva diventare una sceneggiatrice, e possibilmente una critica cinematografica. La regia le sembrava una professione troppo precaria, riservata ai soli uomini. Alla fine è approdata dietro la macchina da presa, girando la sceneggiatura che aveva scritto come progetto dell’ultimo anno. Era, ricorda, la sua prima volta come regista, la sua prima volta come leader. Trasalisce di nuovo quando dice la parola con la L. «Sì, leader, suona così arrogante e patriarcale, ma il cinema ha una gerarchia molto forte. E come regista devi saper rispondere a tutte le domande. Se qualcuno accende una sigaretta in scena ti mostrano 10 scatole di fiammiferi e tu devi scegliere quella da usare. Fondamentalmente il lavoro è questo. Che tipo di interruttore della luce vuoi sul muro? Di che colore vuoi la vernice? Quindi sì, tu sei il capo, ma il tuo ruolo consiste nel rispondere a 50 o 60 o 100 domande al giorno».
Naissance des pieuvres, con la sua carica sessuale, è una classica opera prima, una dichiarazione d’intenti. Sciamma lo girò nella sua città natale, Cergy, affidando alla sua compagna, Adèle Haenel, il ruolo di star di una squadra di nuoto sincronizzato. Voleva raccontare la confusione e i desideri dell’adolescenza, facendo sì che ogni spettatore vedesse il mondo attraverso gli occhi di una teenager. Ma lo shock della novità accecò alcuni critici. «Guardare [Naissance des pieuvres]», scrisse all’epoca Philip French dell'Observer, «fa sentire gli spettatori maschi dei voyeur». «Ah!» commenta Sciamma quando le leggo il passo del critico ad alta voce. «È assurdo. Non è quello che intendevo. Ma è sempre interessante la percezione che la gente ha del film, perché cambia ogni volta».
È questo il problema dei film: sono diversi quando li rivediamo, perché siamo cambiati noi o è cambiata la cultura. La cineasta spiega che in Naissance des pieuvres c’è una scena in cui una delle nuotatrici viene spinta a fare sesso con il suo ragazzo. Sciamma ci stava ripensando l’altro giorno e si è resa conto che quello che aveva filmato era a tutti gli effetti uno stupro. «Ma non l’avrei mai chiamato così, era solo una prima volta infelice. In un secondo momento il ragazzo tornava, cercava di baciarla e lei gli sputava in bocca. All’epoca, nel 2007, tutti nel pubblico facevano “Puah”, disgustati da questo gesto. Ora è diverso. Poco prima della pandemia Adèle ha proiettato il film in una scuola superiore e mi ha chiamato subito dopo per dirmi che la reazione era cambiata. Tutti applaudivano e gridavano entusiasti. Pensavano che avesse fatto la cosa giusta». A questo punto un attacco di tosse la interrompe. Si china in avanti; i suoi orecchini tintinnano. Dice: «Tutto ok, ho fatto il tampone», e indica il pacchetto sul tavolo. Sono le sigarette, non il virus, che le stanno rovinando i polmoni.
Ancora una volta si tratta di un film con un punto di vista femminile, una storia sul fissare la bellezza e poi dipingerla sullo schermo
La relazione tra Haenel e Sciamma si è esaurita dopo qualche anno, ma la loro collaborazione artistica continua ancora oggi. In Ritratto della giovane in fiamme, Haenel interpreta Héloïse, un’aristocratica promessa in sposa a un nobile milanese, che intraprende una relazione passionale con l’artista (interpretata da Noémie Merlant) mandata a ritrarla. Ancora una volta si tratta di un film con un punto di vista femminile, una storia sul fissare la bellezza e poi dipingerla sullo schermo. Sciamma ha paragonato il processo di realizzazione a una serie di matrioske: lei che guarda la telecamera, la Merlant che guarda la Haenel. Il film, inoltre, esplora le complessità del rapporto tra Sciamma e Haenel, che a tratti si intreccia con una tradizione più antica e sessista. Non è, in fondo, un film sulla grande artista e la sua musa? Sciamma si riprende a stento da un attacco di tosse. Ora rischio di provocarne un altro. «No, no», balbetta. «È proprio il contrario. Sì, certo, si parla di me e di Adèle e ovviamente anche dell’idea della musa, che però viene sovvertita e superata. Ritratto ci sta dicendo che non esiste nessuna musa, ci sono solo persone che si ispirano a vicenda».
Sostenuto da recensioni entusiastiche, Ritratto della giovane in fiamme ha ricevuto nove nomination ai premi César (l’equivalente francese degli Oscar). Ne ha portati a casa solo uno (per la luminosa fotografia di Claire Mathon). Quando Roman Polański (che fu arrestato per aver drogato e aggredito sessualmente la tredicenne Samantha Geimer nel 1977, trascorrendo 42 giorni in prigione prima di fuggire dagli Stati Uniti) fu nominato vincitore tra le polemiche del premio per la miglior regia, Sciamma e Haenel lasciarono la cerimonia per protesta. Filmati dell’evento mostrano Haenel che applaude ironica e grida: «Viva la pedofilia!».
Sciamma fa una smorfia. È un argomento di cui preferisce non parlare; lasciare la cerimonia è stata una dichiarazione sufficiente. «È una cosa che è successa», dice. «È successo, tutto qui». Una protesta pubblica ai César non avviene per caso. «No, ok». Fa una smorfia. «Ma non c’era un piano, è stato tutto molto spontaneo. Si tratta solo di alzarsi in piedi, una cosa apparentemente facile. Ma in realtà è difficile alzarsi, è difficile sollevarsi dalla poltrona. Capisco che molti non lo facciano, ma a volte è necessario». In ogni caso, il problema non era tanto Polanski quanto la cultura. L’establishment cinematografico francese, secondo Sciamma, è un’istituzione sessista e notoriamente retrograda. L’industria è gestita da vecchi uomini bianchi terrorizzati dal cambiamento. Ecco perché Sciamma ha dovuto ritagliarsi uno spazio ai margini, celebrando le sue ragazze ribelli e le loro vite segrete. Se la sua patria non ascolta, forse lo farà il resto del mondo.
Vedo che il Leone d’oro a Venezia e la Palma d’oro a Cannes vengono consegnati a donne francesi da giurie internazionali e questo mi rende felice
A luglio il sanguinoso body horror Titane di Julia Ducournau ha vinto la Palma d’Oro a Cannes. A settembre l’impegnato dramma sull’aborto La scelta di Anne – L’Événement di Audrey Diwan ha vinto il Leone d’oro come miglior film. Nello stesso mese Petite Maman ha completato la tripletta di vittorie francesi aggiudicandosi il premio del pubblico al festival di San Sebastián. «Quindi, vede, penso che le cose stiano finalmente cambiando», dice Sciamma. «Le cineaste francesi stanno diventando più presenti, perché raggiungono un pubblico internazionale, ottenendo maggiori finanziamenti e riconoscimenti a livello globale. Vedo che il Leone d’oro a Venezia e la Palma d’oro a Cannes vengono consegnati a donne francesi da giurie internazionali e questo mi rende felice. È un buon segno, un grande cambiamento. Significa che non dobbiamo più dipendere dalla nostra industria nazionale per sopravvivere». Sciamma cerca di vedere il bicchiere mezzo pieno. Sta dicendo che il cinema francese sprofonda nella melma, ma per fortuna il mondo gli ha lanciato un’ancora di salvezza. «Beh, sì», ride. «Ma è meglio che essere ancora ad annaspare nel fango».
Abbiamo parlato per più di un’ora e quelle sigarette non si fumeranno da sole. Scendiamo in strada, dove ora ha iniziato a piovere. «Ne vuoi una?» dice lei, ma credo di averla trattenuta abbastanza a lungo. È sotto un tendone, il colletto alzato, e si sta frugando nelle tasche in cerca dell’accendino. Si è finalmente guadagnata un momento tutto suo.
Xan Brooks è un autore freelance e un presentatore specializzato in cinema. Questo articolo è stato pubblicato sul Guardian il 14/11/2021 ► Céline Sciamma: ‘My films are always about a few days out of the world’ | Traduzione di Serena Mannucci
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