Promised Land di Gus Van Sant

con Matt Damon, John Krasinski, Frances McDormand, Rosemarie DeWitt

I due volti di Gus Van Sant, moderno giano del cinema a stelle e strisce, sono noti. In continua altalena tra film d’autore e classici hollywoodiani, si è guadagnato ad un tempo il rispetto dei produttori e della critica, che l’ha definitivamente consacrato con la Trilogia della morte. Ad un anno e mezzo dall’uscita del delicato Restless, torna nelle sale con un film su commissione. Sceneggiato da John Krasinski e Matt Damon – da una storia di Dave Eggers, scrittore con due sceneggiature già all’attivo: Nel paese delle creature selvagge di S. Jonze e American Life di S. Mendes, con lo stesso Krasinski protagonista – , doveva essere girato da Damon che, impossibilitato a dirigerlo, lo ha affidato al fidato compagno di tante avventure.

Steve Butler (M. Damon) compra terreni da trivellare per conto della Global, compagnia che opera nel campo del gas naturale. Arrivato in una piccola cittadina in un punto cardine della sua carriera e alle prese con un’importante promozione, si trova a dover lottare con il professor Yates (H. Holbrook) e con Dustin Noble (J. Krasinski), coraggioso ambientalista che denuncia le contaminazioni della Global.

Memori del premio Oscar al primo tentativo, dispiace che i principali ed evidenti difetti del film stiano soprattutto nella scrittura, retorica e convenzionale tanto da risultare fastidiosa. Scontate e irritanti le sequenze al bar (uno dei pochi, incomprensibili esempi di doppiaggio di segmenti cantati), mentre il capovolgimento finale – con tanto di classico discorso redentivo e richiamo alla vita semplice – vanifica sterile la prima parte della pellicola, chiudendo il film con una canonica esaltazione della provincia, sede dei veri e intramontabili valori della società americana, sedotta e viziata dal profitto. Può fare poco la regia, se pur non priva di idee eleganti, di fronte ad una sceneggiatura in cui la bandiera americana campeggia fin troppo frequente, sulle case e nelle battute dei protagonisti.
Quindicesima opera del regista del Kentucky, Promised Land trae la sua linfa dal grande mestiere di Damon (impalpabile Krasinski; un plauso alla comprimaria McDormand e al sempreverde Holbrook) e dello stesso Van Sant, i cui guizzi autoriali – il lavaggio del volto di Steve; il racconto della provincia – sono lampi di luce limpida in un cielo opaco, al cui magniloquente narrato non giova la colonna sonora fin troppo zuccherata del fedele Danny Elfman (Da morire, Will Hunting – Genio ribelle, Milk, L’amore che resta).

Il testo di Damon e Krasinski vorrebbe, in tempi di crisi e smarrimento morale e spirituale, auspicare ad una purificazione, ad una rinascita nel ritorno alle radici, ma con una sceneggiatura debole e scontata la sensibilità e lo sguardo di Van Sant prendono il sopravvento. Non è un caso che il tema portante – il rapporto dell’uomo con la terra promessa, da dove partire e da cui ricominciare – divenga tipicamente vansantiano, e che il momento più felice sia l’elegia della campagna, raccontata in stupendi quadri in cui si sente il respiro dei grandi spazi.
 

«Assurdo, ti allontani di due passi dalla città e sembra il Kentucky»
«Allontanati di due passi dalla città e sembra sempre il Kentucky»


USA 2012 - Dramm. 106' **½


Commenta