Primo Carnera

Sequals, 25 ottobre 1906 – Ivi, 29 giugno 1967

Da lavori di fatica levano l’immenso friulano Carnera, emigrato in Francia, l’ex-pugile Journée e Léon Sée, il giornalista che scegliendo rivali morbidi e lavorando sottobanco gli dà vittorie e sicurezza e tempo di far progressi tecnici finché l’incontro con Stribling (1929) lo introduce sulla scena statunitense: tuttavia, delle vittorie innumerevoli e fin troppo eclatanti poco si dovrà – tolti l’ardimento e la prestanza fisica indiscussi – al boxeur Primo Carnera, e molto alle manovre d’un syndacate che da Bill Duffy sembra risalire fino ad Al Capone e che del pugile italiano fa rapidamente cosa sua guidandolo tra i match fino al conseguimento, contro Jack Sharkey, del titolo mondiale (1932). Se l’immagine del gigante buono, la coscienza che rimorde quando in ospedale lo Schaaf appena battuto muore dei pugni già ricevuti da Max Baer, serve al pugilato professionistico americano a nascondere la propria corruzione, e al fascismo, per riconoscersi eroico, quella d’invincibile campione d’una fantomatica razza italiana, né l’una né l’altra conservano il titolo a Carnera (1934), che sconfitto, emarginato, paralizzato si riavrà solo col dopoguerra nella lotta libera, ma ancora (inconsapevole?) marionetta di cui, raccontando l’universo degli incontri truccati, Il colosso d’argilla (The harder they fall, 1956) snuda i fili.


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