(Pop)filosofia e (tele)visioni
La filosofia è per tutti? Limiti e prospettive della filosofia pop
Uno spettro si aggira per l’Europa (no, non quello spettro). La pop-filosofia – Pop Philosophy nel Regno Unito, Fresh Théorie in Francia, Pop-philosophie in Germania – sembra trovare ovunque terreno fertile e oppositori feroci. Se da un lato è pop-filosofia usare la cultura pop per strutturare delle riflessioni filosofiche rigorose, canoniche alla storia della filosofia occidentale (parlare del bene e del male usando Harry Potter o il porno), la pop-filosofia aspira a qualcosa di più: creare una nuova filosofia ibrida, contaminata, adatta alla nostra società di massa, in cui il comunicare e il farsi “virali” diventano parte integrante del fare filosofia. Insomma: filosofia per tempi radicalmente nuovi.[1]
Non ci stupisce, quindi, che i nuovi media e in particolare le nuove forme narrative tipicamente televisive, quale le serie, siano state negli ultimi quindici anni un punto di partenza per le riflessioni di tanti “pop-filosofi”. Da La filosofia del Dr. House del 2007, passando per la Filosofia delle serie Tv: dalla scena del crimine al trono di spade di Luca Bandirali del 2013, fino a La filosofia spiegata con le serie TV di Tommaso Ariemma del 2017, l’immagine in movimento è sempre stata un’occasione irrinunciabile per parlare di – e fare – filosofia.
Tommaso Ariemma è convinto che non sia solo colpa dei filosofi: sono le serie che hanno invaso il campo[2]. Sempre più sceneggiature grondano filosofia da ogni inquadratura: come gli antichi miti greci, raccontati a puntate da aedi girovaghi nel corso di mesi, le serie sono uno specchio delle inquietudini contemporanee e parlano di tutti noi. E allora Black Mirror racconta delle ombre della caverna di Platone quando ci fa vedere quanto sia facile scambiare una copia del mondo per il mondo stesso (o una copia sintetica per l’amore, vero Martha?). Oppure Walter White di Breaking Bad ci fa scoprire come il cambiamento, la sintesi hegeliana, siano dolorose e ci portino lontano dalla sicurezza di ciò che credevamo di essere. O, quanto di più attuale, Sartre de L’essere e il nulla ci spiega perché passiamo ore a spiare gli altri sui social network sentendoci completamente liberi, simili a divinità (digitali).
Da bravo pop-filosofo, ad Ariemma non basta spiegare la filosofia con le serie tv. Nel suo lavoro di insegnante, spinge i ragazzi a creare contenuti nuovi e originali che partono dalla filosofia per farla propria e attuale
Ma, da bravo pop-filosofo, ad Ariemma non basta spiegare la filosofia con le serie tv. Nel suo lavoro di insegnante, spinge i ragazzi a creare contenuti nuovi e originali che partono dalla filosofia per farla propria e attuale: brevi video da caricare su Youtube e Facebook, meme che costruiscono conoscenza piuttosto che deriderla soltanto. E, come ci si potrebbe aspettare, non ci sono argomenti troppo in alto o troppo in basso: si può parlare di post-verità attraverso Maradona o dell’arte contemporanea di Damien Hirst attraverso dei velocissimi ed esilaranti meme.
Se in Italia ancora manca un pop-filosofo che abbia raggiunto la fama da popstar che in Germania ha Richard David Precht (osannato autore da milioni di copie e conduttore di un programma tv in prima serata intitolato soltanto Precht), esiste a Macerata un festival dedicato proprio a questo nuovo modo di fare filosofia, Popsophia, giunto ormai alla settima edizione e dal quale è sorta anche la variante visiva Cinesophia. Sebbene i festival ci abbiano abituato a pubblici da concerto rock, fa ancora ben sperare vedere platee stracolme che ascoltano i mostri sacri della filosofia trascinati quaggiù con noi.
Non tutti festeggiano: una delle critiche che viene comunemente rivolta alla pop-filosofia (in tutte le sue declinazioni italiane ed europee) è che in realtà sia solo la versione for dummies della “filosofia vera”
Certo, non tutti festeggiano: una delle critiche che viene comunemente rivolta alla pop-filosofia (in tutte le sue declinazioni italiane ed europee) è che in realtà sia solo la versione for dummies della “filosofia vera”. E che, a lungo andare, finisca per disperdere un patrimonio di conoscenze che devono restare specialistiche. Per quel che vale, non credo che sia questo il problema. Sono le stesse critiche che negli anni ’60 si rivolgevano ad Umberto Eco quando, fondando da solo e a mani nude la semiotica italiana, iniziava ad analizzare la cultura di massa. Più inquietante è invece la critica che alcuni filosofi tedeschi muovono ai loro colleghi: la filosofia non deve essere attuale, non deve parlare del contemporaneo. Esattamente l’opposto. In caso contrario rischia di diventare un altro strumento del consumo, dell’ideologia dominante, per finire poi assimilata al capitalismo e alle logiche di profitto.[3]
Come sempre, parlando di filosofia, si finisce per essere meno sicuri di quello in cui crediamo e ovunque si guardi nascono nuove domande. Le cose più familiari (una serie tv, un meme) si rivelano multiformi e complesse, inserite in una rete praticamente infinita di rimandi, significati e senso. Tutto il mondo diventa più profondo e vasto di com’era dieci minuti prima. E, proprio per questo, la filosofia è forse essenziale e inevitabile, in ogni sua forma.
Carlo Benedetti
[1] Lucrezia Ercoli, On the wild side. L’amore perverso per la cultura di massa. Intervista a Simone Regazzoni in “Lo Sguardo – Rivista di Filosofia”, n. 16, 2014 (III), Alberto Gaffi Editore, Roma
[2] Le riflessioni di Tommaso Ariemma sono state raccolte il 12 gennaio 2019 alla Biblioteca Lazzerini di Prato durante la presentazione del volume La filosofia spiegata con le serie TV. Chiara Mannocci, professoressa del Convitto Nazionale Cicognini e organizzatrice dell’evento, merita un ringraziamento per la sua competenza, tenacia e gentilezza.
[3] Per un breve riassunto della questione: Stuart Jeffries, German Philosophy Has Finally Gone Viral. Will That Be Its Undoing? In “FP Magazine”, July/August 2017
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