Pio V
Bosco Marengo, 17 gennaio 1504 – Roma, 1 maggio 1572
Ribattezzatosi Michele fra i domenicani, Antonio Ghislieri fonda sull’indefesso servizio al Sant’Uffizio un’ascesa che accelera sotto l’intransigente Carafa, quand’è Grande Inquisitore, per compiersi dopo Pio IV – più morbido, meno gradito pontefice. Portando nel governo della Chiesa l’estrema rigidità morale che rivolge a sé e mantenendo l’umiltà delle origini fino a giustificare la santificazione, il durissimo Pio V muove all’applicazione integrale dei decreti tridentini, in Italia e fuori, come alla riforma generale della Chiesa: con editti e Visitatori vigila sulla severità di costumi del clero romano e non, bandisce il nepotismo, costringe i vescovi alla residenza in sede (d’altissimo esempio è Carlo Borromeo), prescrive sinodi regolari, rivede il Catechismo romano per uniformare l’insegnamento religioso e alla Congregazione dell’Indice (1571) affida il controllo ecclesiastico sulla circolazione delle idee; ugualmente duro sarà in politica estera. Nel clima d’universalismo preteso ma negato, nei fatti, dal consolidamento delle monarchie europee, in cui più tardi Bellarmino maturerà la sua potestas indirecta, Pio V vorrebbe piegare l’autorità civile ai bisogni della cattolicità: se lavora invano ad una Lega continentale che estirpi l’eresia e danneggia i papisti d'Inghilterra brigando per Mary Stuart contro Elisabetta Tudor, che scomunica, coglie infine un (effimero) successo varando la Lega santa vittoriosa a Lepanto.
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