Pieces of a Woman di Kornél Mundruczó

con Vanessa Kirby, Shia LaBeouf, Ellen Burstyn, Molly  Parker, Sarah Snook, Benny Safdie

Boston, 17 settembre. Sean (S. LaBeouf) sta lavorando alla costruzione di un ponte in un cantiere ed esprime ad alta voce un desiderio: vorrebbe che la figlia fosse la prima a passare su questo nuovo ponte. Martha (V. Kirby) si trova invece in ufficio e ha appena preso il congedo di maternità. Poco dopo i due andranno a ritirare un’auto famigliare pagata da Elisabeth (E. Burstyn), la madre di lei. Nella scena seguente ci troviamo in casa della coppia, Martha comincia ad avere le prime doglie: in accordo col compagno ha deciso di partorire in casa, per questo chiamano l’ostetrica, che però non è disponibile; al suo posto, viene mandata Eva (M. Parker).
 

La neonata ha assunto un colorito bluastro, e tenta così di rianimarla. L’ambulanza arriva. La scena dei soccorsi è interrotta dallo schermo nero sul quale compare, in bianco, il titolo del film


Il travaglio inizia nel migliore dei modi, ma poco più tardi le cose si complicano: Eva trova che il battito della bambina non sia regolare e consiglia quindi di recarsi in ospedale. Ciononostante, Martha preferisce rimanere a casa. Al sopraggiungere di nuovi allarmi, però, Sean si precipita a chiamare l’ambulanza; nel mentre, la sua compagna dà alla luce la figlia. Il parto pare andato per il meglio, ma Eva si accorge immediatamente che qualcosa non va: la neonata ha assunto un colorito bluastro, e tenta così di rianimarla. L’ambulanza arriva.
La scena dei soccorsi è interrotta dallo schermo nero sul quale compare, in bianco, il titolo del film. Ritroviamo Martha per strada, il giorno 9 ottobre, intenta a tornare al lavoro. E dallo sguardo di lei, dalle reazioni e dai bisbigli dei colleghi, lo spettatore ha la conferma di quanto aveva già intuito: per la bambina non c’è stato nulla da fare. 

È qui, dopo un prologo di circa mezz’ora, che entriamo nella complessa elaborazione del lutto che costituisce il nucleo di Pieces of a Woman. Al suo primo lungometraggio statunitense, Kornél Mundruczó sceglie indubbiamente una strada difficile: il regista ungherese mette in scena una sceneggiatura della ex-moglie Kata Wéber, ispirata a un’esperienza analoga a quella qui raccontata. Ciò conferisce al film un peso emotivo assai forte che si ripercuote in tutti i suoi 128 minuti. Ventitré di questi sono occupati dalla scena del parto, che ha richiesto due giorni di riprese: si tratta di un piano-sequenza venato di crudo realismo, dove i movimenti di macchina a mano seguono i volti e i corpi dei personaggi, sottolineando il dolore, le paure e le incertezze della partoriente. Il taglio sembrerebbe in questo caso ai limiti del documentaristico, ma il film decide di virare in altre direzioni.
Dopo la morte della figlia, mai veramente nata, Martha deve affrontare un ritorno a una normalità sulla carta impossibile da ristabilire. In un arco temporale che va dal 17 settembre al 3 aprile, in cui vediamo la neve comparire e scomparire sulle strade di Boston, nella vita della protagonista emergono i conflitti con il compagno, col quale nei minuti iniziali il rapporto ci era apparso affiatato. A causa di questa incomunicabilità, in Sean si riaffacciano i demoni dell’alcolismo e delle droghe, e un quesito crea ulteriore distanza nella coppia: che fine farà il corpo della bambina? Se Martha vorrebbe donarlo alla ricerca scientifica, sua madre e Sean vorrebbero invece seppellirlo con tanto di funerale religioso. È struggente la scena in cui, sulla lapide appena fabbricata, Martha nota un errore nella trascrizione del nome della piccola. Non ha importanza, dice lei, perché non ci sarà alcuna cerimonia funebre.

I corpi femminili, sia quello della neonata sia quello di Martha, occupano quasi interamente una narrazione costruita per macro-sequenze dove vediamo farsi strada non solo il lutto, ma anche il tema del senso di colpa. Elisabeth, una donna ricca, colta e dal passato traumatico, in quanto sfuggita ai campi di concentramento, biasima la figlia per aver scelto di partorire a casa, dandole implicitamente la colpa per la morte della bambina. Non manca poi anche una sotto-trama giudiziaria: Eva, l’ostetrica, è accusata di omicidio colposo in un processo al quale Martha non sembra al principio interessata. Al contrario, Elisabeth e Sean premono affinché la donna venga condannata, portando il secondo ad affidarsi a Suzanne, avvocato e cugina di Martha. La scena del processo, con l’ostetrica che viene perdonata attraverso la testimonianza di Martha, è una delle meno riuscite del film, perché il tema avrebbe forse meritato un maggiore sviluppo; ed è da risvolti come questo che si denotano i difetti di un film nel suo insieme meritevole di una visione, ma che tende a mettere troppa carne al fuoco.
 

Con dei debiti nei confronti di Una moglie di John Cassavetes, in Pieces of a Woman l’essenzialità dello sguardo di certo cinema indipendente va incontro al melodramma


Se da un lato Pieces of a Woman ha dei debiti con Una moglie di John Cassavetes, sia per quanto concerne la messa in scena connotata dalla macchina a mano sia per il disperato realismo di alcuni episodi, dall’altro il film sceglie di giocarsi altre carte: per esempio la poetica essenziale tipica di un certo cinema indipendente va incontro al melodramma, elemento che in questo caso non stona, specialmente perché sviluppato attraverso una sapiente direzione degli attori. Vanessa Kirby, premiata con merito a Venezia con la Coppa Volpi, è chiaramente la punta di diamante del cast: la sua, a partire dalla straziante sequenza iniziale, è una prova tanto intensa quanto efficace nel dare corpo e voce a una madre che ha subìto la peggiore delle perdite; il picco della sua forza drammatica è nel litigio casalingo con Elisabeth, una Ellen Burstyn forse un po’ troppo anziana per il ruolo eppure al tempo stesso credibilissima. Anche Shia LaBeouf, cresciuto molto rispetto agli esordi, dà un’ottima interpretazione nel ruolo del compagno: un personaggio alieno al mondo familiare borghese di Martha, non amato dalla suocera che avrebbe voluto accanto alla figlia un uomo di un’alta estrazione sociale, tormentato dal proprio passato e da un desiderio di fuga infine espresso.

La pellicola di Mundruczó, che tende a indugiare in virtuosismi registici talvolta gratuiti, con le musiche sobrie e mai invasive di Howard Shore e la fotografia di Benjamin Loeb (Mandy, Hello Destroyer) che sfrutta bene la luce naturale e valorizza le riprese in interni, è una sorta d’incrocio tra il film di Cassavetes, La stanza del figlio di Nanni Moretti e un dramma hollywoodiano vecchio stampo: Emanuela Martini, nella sua recensione su Cineforum ha fatto per esempio il nome di Douglas Sirk.

Sirk era una specie di matematico, un cesellatore di inquadrature e movimenti di macchina; anche se i suoi film erano sfarzosi e le sue storie deliranti, centellinava ogni singolo momento con precisione millimetrica. Sapeva torcerti l’anima con un riflesso, un fiore, un colore, un attacco musicale al momento giusto. Ma era anche uno di quei registi che, per quanto virtuosi, “non si vedono”, i grandi classici al servizio del falso, che ti aiuta a scoprire il vero. Due approcci storici e cinematografici diversi, quelli di Sirk e Cassavetes, ma altrettanto morali. Mundruczó, invece […] esibisce il proprio virtuosismo, passando dal realismo esasperato, al mélo, al processuale, tutto concentrato nel giro di pochi mesi, senza riuscire mai a muovere una corda passionale, senza commuoverci. Mai.


Se è vero quanto dice Martini riguardo all’indecisione del regista e della sceneggiatrice, non possiamo concordare sul risultato finale. Il connubio tra melodramma e realismo rende Pieces of a Woman un film convincente sul piano emotivo e filmico, anche se qualche minuto in meno avrebbe probabilmente giovato. Il risultato è un’opera imperfetta, ma i cui temi difficilmente non smuovono le corde dello spettatore, e nonostante i difetti ha il sapore di una scommessa vinta. Anche perché, bisogna dirlo, la sfida era tutt’altro che facile.

 

«Perché cerchi di far sparire mia figlia?»
«Perché non abbiamo una figlia»

USA-GB 2020 – Dramm. 128’ ★★★★★


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