Perché i bambini ci fanno così tanta paura?

Kubrick e Dickens, Márquez e King. La dimensione horror delle figure infantili tra cinema e letteratura

Diciamocelo. I bambini sono un po’ inquietanti. Se hai dei figli, probabilmente non mi sto riferendo ai tuoi. Probabilmente. Ma molti dei bambini là fuori che provano a far paura ci riescono benissimo. Dopotutto, quanti romanzi, film e serie TV in cerca di un facile spavento si affidano a una ragazzina pallida dai capelli lunghi che si aggira per una vecchia casa, oppure a un ragazzino acquattato in una stanza buia che intona una lenta filastrocca in chiave minore? L’industria dell’horror sa come sfruttare fino in fondo un prodotto che terrorizza. E, in fin dei conti, se non hai figli, c’è qualcosa di più inquietante che svegliarsi nel bel mezzo della notte al suono della risata di un bambino?

Da adolescente non sopportavo questo tòpos. Dopo aver visto The Ring (inquietante bambina fantasma), mi ritrovavo paralizzato a guardare le televendite fino all’alba, convinto che se avessi spento la televisione la ragazza mi avrebbe aggredito dopo essere strisciata fuori dallo schermo. Dopo aver letto Pet Sematary (inquietante bambino risuscitato), ho capito che era necessario controllare sempre sotto il letto prima di dormire. Infine arrivò Shining (inquietanti gemelle fantasma, santo cielo) che per mesi mi costrinse a scattare lungo il corridoio buio dei miei genitori alla ricerca dell’interruttore della luce. A quei tempi, se sentivo uno scricchiolio nella notte, immaginavo sempre fosse causato da un bambino inquietante. Non che avessi una chiara idea di quello che mi avrebbero fatto. Cosa avrebbero potuto farmi? In fondo si tratta pur sempre di bambini. Ma questo non mi impediva di irritarmi, o persino arrabbiarmi, quando leggendo una storia incontravo ancora un altro bambino inquietante. Sapevo che ancora una volta quella notte non avrei dormito, convinto che, dalla bocchetta di ventilazione sul soffitto, un paio di occhi mi fissasse senza sbattere le palpebre. 

Ci tengo a sottolineare che i bambini mi piacciono. Ho sempre lavorato con loro. Facevo da sorvegliante al doposcuola e ai campi estivi, e davo lezioni di scacchi ai bambini lungodegenti in ospedale. Si prova una gioia unica nell’aiutarli, anche se poco, soprattutto nei casi in cui non hanno solide reti di sostegno. Per questo è strano che, da adulto, sia ancora suscettibile a questo tòpos ed è ancora più strano quando penso ai diversi modi in cui i bambini spettrali sono stati resi in letteratura e al cinema, col loro pallore e le venature nerofumo, le unghie non tagliate e i capelli appiccicati alla fronte come se avessero sudato per la febbre. Quasi sicuramente alla luce del sole questi bambini orrorifici sembrerebbero malati, affamati e trascurati, e non demoniaci.
 

Col loro pallore e le venature nerofumo, le unghie non tagliate e i capelli appiccicati alla fronte, quasi sicuramente alla luce del sole questi bambini orrorifici sembrerebbero malati, affamati e trascurati


Non è strana questa paura per ciò che ci sembra aver bisogno d’aiuto? È uno schema che si applica alla gran parte dei mostri, i tradizionali spiriti maligni gotici che pervadono cinema e letteratura. I vampiri, quantomeno nella loro forma tradizionale alla Nosferatu, sembrano infermi e deperiti, come se si stessero riprendendo da una lunga malattia. Gli zombi sono pieni di ferite, zoppicano e sul volto hanno espressioni traumatizzate. I fantasmi gemono e si lamentano dai confini dell’aldilà, come se noi li potessimo liberare. E il mostro di Frankenstein è tenuto insieme da una serie di cuciture, ha dei chiodi piantati nel collo e i suoi movimenti pesanti esprimono sofferenza. Certo, queste creature ci fanno trasalire con lo sferragliare delle catene e il digrignare dei denti. Ma spesso sono i loro corpi, creati per spaventare il pubblico, ad apparire come le vere vittime.

Tutto questo vale in particolare per i bambini “spaventosi”. Loro, che al di fuori dei racconti dell’orrore sono ovviamente i più vulnerabili, terrorizzano i mondi di L’esorcistaGrano rosso sangueIl presagio e persino di storie fantasy come nei primi inquietanti e misteriosi momenti della serie HBO Il trono di spade. Il tòpos non si limita certo alla narrativa speculativa e ai generi del fantastico. Classici della letteratura come Abbiamo sempre vissuto nel castello di Shirley Jackson o Il giro di vite di Henry James, esplorano i sentimenti inquietanti di paura e compassione che i bambini ci provocano.
 

I bambini di Dickens sono simili a bambole, le giovani Nell e i piccoli Tim, fanno trapelare una maturità e una preveggenza bizzarre quando parlano, unite a una purezza che pare quasi inumana


Cent’anni di solitudine, di Gabriel García Márquez, racconta di Rebecca, una bambina che mangia la terra e fissa in maniera sinistra gli adulti. Mi spingo persino a dire che si possono trovare degli antecedenti nei romanzi di Dickens, a prescindere dalle sue intenzioni. I suoi bambini simili a bambole, le giovani Nell e i piccoli Tim, fanno trapelare una maturità e una preveggenza bizzarre quando parlano, unite a una purezza che pare quasi inumana. Tutto questo li rende meno amabili e crea disagio in alcuni lettori (come me, ad esempio), sebbene non fosse questa l’intenzione di Dickens. Nonostante il mio amore per i suoi libri, ho sempre saltato le pagine coi bambini (e non gli perdonerò mai Canto di Natale: che shock quando i due bambini rachitici spuntano – orrore! – da sotto l’abito del Fantasma del Natale Presente).

Ignoranza e Miseria, i bambini che spuntano da sotto l’abito del Fantasma del Natale Presente in  Lo schiavo dell’oro (1951) di Brian Desmond Hurst, adattamento cinematografico di Canto di Natale



Quindi immaginate lo stupore quando ho notato che nel mio primo romanzo io stesso stavo raccontando una storia con dei bambini inquietanti. Eppure, per variare sul tema, Girl in the Walls non è un horror ed Elise, l’orfana che infesta la sua vecchia casa strisciando attraverso le pareti, non è un fantasma né un’entità malvagia. Si nasconde in soffitta e da lassù ascolta la famiglia al piano di sotto. Quando durante il giorno la casa rimane vuota, lei sgattaiola fuori e racimola quello di cui ha bisogno per sopravvivere, cereali e alimenti di cui la famiglia non sentirà la mancanza. Le piace leggere i libri sulla mitologia e qualsiasi altra cosa trovi tra gli scaffali, ed è una fan dei Black Eyed Peas. Elise è voyeuristica, invadente e, di sicuro, un po’ inquietante; ma ha solo undici anni. Soffre. Le mancano i genitori. Non sa dove altro andare.
 

Elise, l’orfana che infesta la sua vecchia casa strisciando attraverso le pareti, non è un fantasma né un’entità malvagia. Girl in the Walls si domanda: come ci si sente a essere lo scricchiolio nella notte?


Essendo una ragazzina completamente sola, Elise è il personaggio più vulnerabile. Tuttavia, a volte, la famiglia che condivide inconsapevolmente la casa con lei la scambia per una forza sovrannaturale, la cui inconsapevolezza assume le forme della malignità. I due figli adolescenti si rendono conto che le loro cose vengono spostate, sentono dei rumori nel mezzo della notte e si chiedono se l’ombra che hanno intravisto muoversi in fondo al corridoio sia reale. Per loro Elise è terrificante e la loro paura si tramuta presto in rabbia. Girl in the Walls si domanda: come ci si sente a essere lo scricchiolio nella notte? È un libro sulla stranezza delle nostre reazioni istintive, quegli impulsi che ci governano a livello primordiale. Esplora quello che rimane quando grattiamo via dalla superficie la narrazione stereotipata – la minaccia dei “mostri” e dei bambini “malvagi” – e ci concentriamo su quello che si cela al di sotto. Cos’è che ci spaventava così tanto?

Probabilmente il fatto che, nei film di paura, quando i bambini entrano in scena per la prima volta rivelano un volto emaciato, illuminato da una luce fioca. Noi spettatori restiamo sbigottiti. Siamo sopraffatti perché in quel momento proviamo a esaminare le cose sbagliate tutte insieme. C’è dolore dove non lo vorremmo e una parte istintiva di noi viene colta dal panico. Come possiamo essere d’aiuto? Da dove cominciare? Le storie che ci spaventano ci insegnano delle cose su noi stessi. Forse non sempre questa lezione è edificante, ma penso che in questo caso lo sia. Penso che, a volte, proviamo paura per le cose che ci stanno a cuore. 
 


A.J. Gnuse è uno scrittore statunitense autore del romanzo Girls in the Walls (Ecco, 2021). Questo articolo è stato pubblicato su Literary Hub il 14/05/2021 ► Why Are Creepy Children So Compelling?  | Traduzione di Francesco Cristaudo


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