Per un'Europa diversa
Renzi, Merkel e Hollande nell'isola in cui nacque il sogno europeo, cosa aspettarci dal vertice di Ventotene?
Potremmo spendere fiumi d’inchiostro sul vertice che lunedì 22 agosto ha visto riuniti a Ventotene i tre leader di Francia, Germania e Italia nel trentennio della scomparsa di Altiero Spinelli, ma credo sia opportuno concentrarsi innanzitutto su alcuni dati certi. Senza dubbio negli ultimi giorni Ventotene e il Manifesto Per un'Europa libera e unita, che ha lanciato la battaglia del federalismo europeo, hanno ricevuto una copertura mediatica come non accadeva da diversi decenni. È vero, negli altri paesi europei la risonanza non è stata la stessa raggiunta in Italia, ma è passato comunque un grande segnale. Basti guardare alla potenza evocativa che emana questa foto e la maestosità dell’organizzazione della giornata in sé. Tutto questo ha contribuito ad alimentare senz’altro un processo già in corso, per cui le parole d’ordine federaliste collegate a Spinelli sono ormai diventate un simbolo per tutti coloro che sognano e si impegnano per un’Unione europea diversa da quella esistente: un’immagine che rievoca la realizzazione di una democrazia federale sovranazionale. Se utilizziamo questa chiave di lettura per guardare al vertice, dobbiamo credere che Renzi, Merkel e Hollande avessero ben chiaro il pesante significato simbolico del luogo dove hanno deciso di riunirsi per preparare il Consiglio di Bratislava dopo la Brexit.
Di fronte ai giornalisti però, si sono prese delle posizioni piuttosto generiche, senza esprimere la possibilità di una dichiarazione congiunta. Ovviamente da un singolo incontro non potevamo aspettarci risultati immediati. Nelle stesse dichiarazioni del governo italiano, il vertice di Ventotene doveva essere il primo passo per portare sulla via delle riforme istituzionali europee gli altri due paesi fondatori. Detto questo, dobbiamo ora ricordare che sull’isola di Ventotene non è nata l’Europa intergovernativa, del disperato mantenimento delle sovranità nazionali e dei rispettivi egoismi, delle cooperazioni di facciata o dei palliativi. A Ventotene è nata, nel momento di più grande crisi del continente occidentale, dove l’occupazione nazifascista dell’Europa aveva raggiunto la massima estensione, un’idea rivoluzionaria e carica di coraggio: dire mai più alle guerre attraverso la costruzione di una democrazia su scala europea. Credo che i tre governi, in questo momento di forte crisi istituzionale dell’Unione, se davvero prenderanno atto di questa visita a Ventotene, per non distruggere e dare in pasto ai populisti neonazionalisti il sogno che l’isola rappresenta, debbano immediatamente cercare di far seguire a questa celebrazione degli atti concreti che incarnino e si ispirino allo stesso coraggio intellettuale ed ideale che ebbero i confinati. Occorre che agiscano subito per salvare l’Europa e il suo futuro dal baratro in cui le prossime scadenze elettorali, tra la fine del 2016 e il 2017, rischiano di trascinarla. È il loro interesse e sarebbe utopico e miope cercare una disperata difesa dello status quo.
Come possono questi tre stati fondatori riavvicinare un’opinione pubblica sempre più distante dalle istituzioni nazionali ed europee? Semplice a dirsi, occorre tornare a dare fiducia al progetto europeo, e spiegare ai cittadini che viviamo nella stessa comunità di destino. Bisogna finirla con le menzogne verso un’Europa che non può difendersi e che nei decenni è divenuta il capro espiatorio perfetto per una classe politica inetta. Inoltre, visto che i tempi per le riforme istituzionali sono stretti, occorre impegnarsi da subito con tutto ciò che può dare dei risultati immediati per uscire dall’impasse in cui ci troviamo: i programmi europei per i giovani e per il rilancio dell’occupazione, il rafforzamento del piano Juncker per gli investimenti, l’accelerazione del lancio della guardia costiera e di frontiera europea, l’avvio a forme di cooperazione avanzate nel settore della difesa. Queste affermazioni condivise anche durante la conferenza stampa sulla nave “Garibaldi” non devono restare flatus vocis, bensì misure immediate da presentare al vertice di Bratislava con la consapevolezza che potranno farci guadagnare tempo ma non risolveranno la crisi istituzionale. Per questo occorre che i governi appoggino il lavoro che proprio a settembre vedrà di nuovo attivo il Parlamento europeo sui settori chiave di riforma dell’Unione a trattati esistenti (rapporto Bresso-Brock) e che ne prevedono una loro futura modifica (rapporto Verhofstadt).
Dovremmo arrivare alle celebrazioni dei sessant’anni dei Trattati di Roma, a marzo 2017, con all’attivo dei seri progressi e l’idea di rilanciare davvero il sogno di Spinelli. Deve essere chiaro che Merkel, Hollande e Renzi non saranno soli se decideranno di seguire questa via e di impegnarsi concretamente nell’ultimo grande ideale rimasto nel deserto post-ideologico in cui ci troviamo a vivere. Già il 27 agosto a Ventotene si riuniranno centinaia di giovani da tutta Europa in occasione dell’apertura del XXXV seminario organizzato dai federalisti europei con una marcia in rappresentanza del popolo europeo con la presenza di ben cinque presidenti delle Camere: Laura Boldrini (Italia), Claude Bartolone (Francia), Pio Garcia-Escudero Marquez (Spagna), Mars di Bartolomeo (Lussemburgo), Milan Brglez (Slovenia). Inoltre, il 25 marzo del prossimo anno, verrà organizzata una manifestazione a Roma in concomitanza con le celebrazioni del 60° dei Trattati che chiama la partecipazione di tutti i cittadini europei, per chiedere il conto ai governi del cammino che avranno deciso di intraprendere. Perché utilizzare le parole d’ordine di Spinelli deve avere un prezzo: la concretezza dell’azione per un’Europa democratica e federale.
Giulio Saputo
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