Per cambiare le cose
A 30 anni da Thelma & Louise la battaglia di Geena Davis per il riconoscimento delle donne e delle minoranze a Hollywood
«Sei anche tu a letto?», mi chiede Geena Davis. È tarda notte e stiamo parlando su Zoom: io nel mio letto a Londra, lei nel suo a Los Angeles. Le dico che mi sono trattenuta dal mettermi in pigiama per questa intervista. «Ah ah! Io ho messo una tuta!», dice e in effetti indossa una tuta interamente bianca. Nonostante l’abbigliamento sportivo, ricorda una bellezza hollywoodiana dell’età d’oro. Davis ha fatto il proprio debutto nel 1982 nel film Tootsie e nella sua prima apparizione sullo schermo indossava soltanto reggiseno e slip, nell’indimenticabile scena in cui manda in confusione Dustin Hoffman. È sempre stato facile, però, immaginarsela in un film degli anni ’40, con un vestito lungo di satin e un bicchiere di martini in mano, intenta a scambiare battute pungenti con Cary Grant. Non so perché lei sia a letto giacché a Los Angeles è metà pomeriggio, ma è talmente affettuosa e gradevole che mi sembra quasi una chiacchierata intima tra amiche prima di dormire. Le chiedo come sta vivendo il lockdown, che ha passato con la figlia diciottenne e i due figli gemelli di sedici anni. «Io in fondo sono un po’ pantofolaia, so come tenermi occupata nel tempo libero», dice abbracciando il cuscino. «Disinfetto tutto con l’alcol, pulisco le banane con il bicarbonato...».
Nel 2019, dei cento film campioni di incassi negli Stati Uniti solo il 12% dei registi era donna
Dopo avere eliminato tutti i germi dalle banane, Davis, ora sessantaquattrenne, si è dedicata all’organizzazione del Bentonville Film Festival, che quest’estate – si parla dell’edizione 2020 tenutasi in agosto – ovviamente si terrà online. Davis è cofondatrice del festival, nato nel 2015 per promuovere le donne e le minoranze nell’industria del cinema: quest’anno più dell’80% dei film presentati sono stati diretti da donne, il 65% da persone di diverse etnie e il 40% da persone LGBTQ. Sebbene costituiscano il 35% della popolazione americana, le persone di colore hanno diretto solo il 12.6% dei 200 film di Hollywood di maggior successo del 2017. Allo stesso modo, nel 2019, dei cento film campioni di incassi negli Stati Uniti solo il 12% dei registi era donna. Davis crede davvero di riuscire a cambiare la rappresentazione delle donne e delle diversità nei film di Hollywood grazie al suo festival? «Oh, sì! Noi vogliamo cambiare il mondo!», dice sfoderando un grande sorriso. «Il nostro scopo è molto semplice. Le diversità di genere e di etnia dovrebbero essere rispecchiate anche nell’industria a partire dai narratori e dai personaggi che compaiono sullo schermo. Non è affatto un’idea inverosimile! Ha perfettamente senso».
Davis sa meglio di tanti altri quanto questo sia difficile da realizzare. La questione della rappresentazione fa ormai parte del dibattito pubblico: Patricia Arquette, Mindy Kaling e Lupita Nyong’o ne hanno parlato molto negli ultimi anni. Lei, però, ne parla da due decenni e negli ultimi tredici anni ha gestito il Geena Davis Institute che si occupa di Studi di genere nei media e la cui ricerca è focalizzata a migliorare la rappresentazione femminile nei programmi destinati ai bambini. L’idea dell’istituto è nata dopo aver guardato alcuni di questi programmi quando la figlia era piccola. Davis rimase «a bocca aperta» nel vedere come anche nelle scene corali, i personaggi maschili erano più di quelli femminili e come quest’ultimi raramente ricoprivano ruoli prestigiosi.
«Ho capito che un buon modo per iniziare a risolvere il problema della diseguaglianza di genere sarebbe quello di smettere di insegnare ai bambini di due anni ad avere pregiudizi al riguardo», spiega. Ogni volta che affrontava l’argomento con qualche rappresentante dell’industria si sentiva dare la stessa risposta, «Oh, ma lo abbiamo già risolto», seguita dalla citazione del titolo di un programma con un solo personaggio femminile. «Era il problema di Biancaneve e i sette nani», dice lei. Davis ha passato due anni con dei ricercatori, raccogliendo dati per provare le sue teorie, e quando li ha presentati alle case produttrici di programmi per bambini tutti ne sono rimasti inorriditi: «Mi hanno detto, “Facciamo programmi per bambini e non ci abbiamo mai pensato! Dobbiamo fare meglio di così”. E continuano a dirlo da allora».
Non c’è dubbio che l’istituto abbia avuto un impatto positivo. Nel 2019, Geena Davis ha vinto l’Oscar Jean Hersholt per il suo impegno umanitario – il secondo dopo quello del 1988 per il suo ruolo in Turista per caso, in foto – e stando alle ultime ricerche condotte dall’istituto, oggi c’è maggiore parità di genere e diversità etnica nei programmi per bambini più visti. Davis riconosce quanto sia più facile trattare con i produttori e i registi di questi programmi «perché hanno a cuore i bambini e credono nei dati raccolti». A proposito dell’industria del cinema, invece, afferma: «Si sa da decenni che ci sono poche registe donne, ma questo non basta perché si cerchi di migliorare la situazione». L’istituto della Davis ha dimostrato che i film con delle donne in ruoli di spicco incassano di più. Eppure, nei film campioni d’incasso del 2019, le donne hanno rappresentato il 37% dei personaggi principali e il 34% dei personaggi dialoganti. Hollywood è spesso misogina, ma ciò a cui tiene più di ogni altra cosa è il profitto. Allora se le protagoniste femminili incassano di più, perché non sono la norma o addirittura la maggioranza? «Be’, questo rimane un mistero», risponde Davis. «Da anni sappiamo che le aziende gestite da donne fanno più profitti, quindi perché non cambiare? Si tratta forse di pigrizia? O di devozione allo status quo? È davvero avvilente».
Nonostante i dibattiti degli ultimi anni, soprattutto all’indomani del #MeToo, sembra improbabile che le cose possano migliorare nel breve periodo. In questo momento, nessuno sa per certo quando potremo tornare a fare e a guardare film in modo normale. Le chiedo se si preoccupa che Hollywood, nel tentativo di ridurre le spese, possa spazzare via tutti i suoi guadagni. «Ho visto titoli in prima pagina annunciare che i guadagni per le persone di colore e per le donne diminuiranno, non so perché questo dovrebbe accadere. Dovrò approfondire», afferma col coraggio di chi crede ciecamente di poter cambiare il mondo.
Si sa da decenni che ci sono poche registe donne, ma questo non basta perché si cerchi di migliorare la situazione
L’ottimismo di Davis è straordinario se si considera quante volte l’industria cinematografica l’abbia delusa. La sua fantastica interpretazione di Muriel, la stravagante addestratrice di cani nel film Turista per caso del 1988, le è valsa un Oscar: «Quello è stato il momento più divertente. Era la prima volta che ricevevo una nomination e ho pensato: “Be’, non dovrò più chiedermi se vincerò mai un Oscar... perché l’ho già vinto!”». Ma il film che ha stravolto la sua carriera è stato Thelma & Louise, nel 1991. «Prima, la gente mi riconosceva per strada per La mosca o per Beetlejuice», racconta citando due dei suoi successi degli anni ’80. «Ma dopo Thelma & Louise tutti volevano raccontarmi come il film avesse cambiato le loro vite, oppure dirmi quante volte lo avessero visto. La mia considerazione sui ruoli da interpretare cambiò definitivamente. Pensavo a quello che avrebbero detto le spettatrici dopo aver visto il film». Nel 1992, recitò in un altro film cult femminista, Ragazze vincenti, interpretando Dottie, casalinga e fenomeno del baseball. Entrambi i film ebbero un successo commerciale enorme. «Tutti erano convinti che sarebbero usciti un sacco di film interpretati da donne e io mi dicevo: “Wow! Faccio parte del cambiamento”. Poi dopo Ragazze vincenti tutti erano convinti che sarebbero usciti un sacco di film sportivi con protagoniste femminili!”. Poi passarono cinque anni... Fu uno shock vedere che non era cambiato assolutamente nulla».
Da attrice, Davis ha subito delle molestie sessuali: un regista le ha chiesto di sedersi sulle sue ginocchia durante un provino e ha visto colleghi venire molestati da altri registi sui set cinematografici. «C’era questa mentalità che non se ne potesse parlare, altrimenti si correva il rischio di distruggere la propria carriera». Il movimento #MeToo ha cambiato tutto: «La gente adesso può davvero affrontare il discorso. È stato un cambiamento epocale, una cosa fantastica». Eppure, non tutto è cambiato. Davis è una delle attrici di più successo della sua generazione, ma non appena «il numero quattro si è messo davanti ai miei anni, sono precipitata nel dimenticatoio. Sono precipitata davvero. All’inizio della mia carriera ero spensierata, vedevo attrici come Meryl Streep, Jessica Lange e Sally Field in ruoli da protagonista in film sulle donne, io stessa stavo interpretando parti grandiose, davvero eccellenti. Pensavo quindi che le cose stessero migliorando. Poi all’improvviso questi grandi ruoli iniziarono a scarseggiare e tutto cambiò».
Non appena il numero quattro si è messo davanti ai miei anni, sono precipitata nel dimenticatoio. Sono precipitata davvero
Davis ha continuato a lavorare, seppure non allo stesso livello di prima. È stata meravigliosa nel ruolo della prima presidentessa donna nella breve serie televisiva Una donna alla Casa Bianca e mi è piaciuto molto il suo cameo nel film di Lake Bell In a world... - Ascolta la mia voce del 2013, sul sessismo nell’industria dei trailer cinematografici. Di recente, ha avuto un ruolo ricorrente nella serie Netflix Glow, in cui ha fatto un’indimenticabile apparizione coperta a malapena da un costume da showgirl di Las Vegas fatto di diamanti finti. Stava benissimo, ma le ho dovuto chiedere come recitare la parte di una showgirl seminuda sostenga la sua tesi secondo cui c’è bisogno di vedere più donne di potere sullo schermo. «Volevi dire “recitare la parte di una direttrice d’albergo”», mi corregge sorridendo, ma con tono risoluto, riferendosi al mestiere del suo personaggio, per poi spiegarmi che è stata sua la decisione di indossare quel costume. Le chiedo se si sia sentita più in controllo nei panni della showgirl rispetto a quando, ancora all’inizio della sua carriera, ha dovuto indossare la lingerie in Tootsie. Elude di nuovo la mia domanda: «Sai, non mi era pesato neanche in Tootsie. Il primo giorno delle riprese, Sydney Pollack mi disse: “Come mai non sei nervosa? È il tuo primo giorno su un set, sei in mutande e c’è Dustin Hoffman. Mi sarei aspettato che fossi nervosa!”. Ma allora pensavo che dovesse andare così. Volevo fare l’attrice da tutta la vita e finalmente ero in un film. Aveva senso».
Susan Sarandon e Geena Davis in Thelma & Louise (1991) di Ridley Scott
Davis è nata in Massachusetts, la secondogenita di un’assistente universitaria e di un ingegnere civile. Ha studiato teatro all’Università di Boston e ha lavorato brevemente come modella prima del suo ruolo in Tootsie. È stata sposata quattro volte, compreso il matrimonio con Jeff Goldblum con cui ha recitato negli anni ’80 nei film La mosca, Una notte in Transilvania e Le ragazze della terra sono facili, e successivamente con il regista Renny Harlin con cui ha fatto il film Corsari nel 1995, un fiasco raro nel suo curriculum. Il matrimonio più recente con il chirurgo Reza Jarrahy è finito nel 2017. Si sposerebbe di nuovo? «Mmh... non credo proprio. Ma visti i miei precedenti la gente potrebbe anche non crederci. Cerco sempre di non commettere errori». Da Jarrahy ha avuto una figlia a 46 anni e due gemelli a 48. Le dico quanto mi avesse sfinita avere due gemelli a 38 anni, mi chiedo come abbia fatto lei a 48. «Ho sempre pensato che diventare mamma in tarda età sia stata una fortuna perché sento di essere cambiata molto nel tempo. Ho sempre saputo di volere dei figli, non so perché ho aspettato così a lungo. Non ci ho mai provato prima, ecco. Ma è stato fantastico e i gemelli sono uno spasso!». Le arriva un messaggio sul telefono, uno dei gemelli ha ordinato la cena d’asporto. «Starà morendo di fame!», sbuffa in tono colpevole. «Mamma è di nuovo impegnata a parlare di sé stessa».
Davis non ricorda quando per la prima volta si è resa conto di essere una femminista. Nei primi anni ’90, parlando con un giornalista, ha ripetutamente descritto Ragazze vincenti come un film femminista. «Possiamo scriverlo?», le chiese il reporter confuso. «È incredibile quanto al tempo il mondo fosse pieno di pudore. Poi c’era anche chi diceva “Non sono una femminista MA...”. È una cosa che odio». In ogni caso, dice di ricordarsi di quando si è resa conto di voler fare l’attrice. «Avevo tre anni, non so come facessi a sapere che fosse un mestiere perché ci era permesso guardare solo cartoni animati della Disney». Il lavoro è stato all’altezza delle sue aspettative? «Eccome!», dice con un gran sorriso. Le chiedo se in fondo questo mondo non l’abbia delusa. Il sorriso si spenge, poi svanisce: «Eccome. Mi ha delusa davvero».
Hadley Freeman è una giornalista americana di base a Londra. Editorialista per il Guardian e per Vogue. Questo articolo è stato pubblicato sul Guardian il 09/08/2020 ► Geena Davis 'As soon as I hit 40, I fell off the cliff. I really did' | Traduzione di Giulia Patanè
Commenta