Parlare di Amleto e di solitudine su GTA

Come si mette in scena Shakespeare in un videogioco raccontando la pandemia e il bisogno di comunità

Gennaio 2021, il Covid-19 è stato dichiarato da quasi un anno ‘pandemia’ dall’Oms e la Gran Bretagna è al terzo lockdown consecutivo. Sam Crane e Mark Oosterveen, due attori di teatro inglesi con alle spalle qualche comparsata di secondo livello nel cinema, si ritrovano chiusi in casa senza possibilità lavorative o grandi prospettive. Il primo, in particolare, è abbastanza giù di corda perché lo spettacolo a cui stava lavorando, Harry Potter and the Cursed Child, è stato sospeso a causa delle chiusure. Quindi i due decidono di ingannare il tempo su Grand Theft Auto, facendo le cose che si fanno normalmente nel videogioco targato Rockstar: sparano ai passanti, perdono soldi virtuali alle slot machine, rubano golf buggy per scappare dalla polizia, commentano le scorribande attraverso i microfoni. In uno degli inseguimenti si imbattono per caso nel Vinewood Bowl, la versione di GTA dell’Hollywood Bowl, il celebre teatro di Los Angeles. A quel punto a Sam viene l’idea: «Chissà se si può, tipo… allestire qualcosa qui», e Mark lo segue. 
 

Grand Theft Hamlet segna la prima volta nella storia che qualcuno mette in scena un’opera teatrale in un videogioco 


È così che ha inizio Grand Theft Hamlet, il pluripremiato documentario uscito il 21 febbraio su Mubi che racconta la rappresentazione dell’Amleto di Shakespeare su GTA, messa in piedi da Crane, Oosterveen e un manipolo di sconosciuti incontrati online. A dirigere il documentario (insieme a Crane) è la regista Pinny Grylls, che si prende carico dell’idea abbastanza folle dall’inizio alla fine, calandosi dentro il videogioco fino a creare un avatar di se stessa. Un’idea talmente folle da segnare due prime volte assolute: la prima volta nella storia che qualcuno mette in scena un’opera teatrale in un videogioco, e la prima che qualcuno gira un documentario interamente online.


In Grand Theft Hamlet sono due i temi che reggono l’intelaiatura generale: il senso di solitudine e il suo rimedio, ovvero la comunità. Una volta scelta la pièce – l’Amleto è abbastanza violento per «un mondo violento e bellissimo in cui quasi tutto è possibile», come è scritto nei titoli di testa – il documentario ci introduce subito ai motivi dominanti: per recitare l’opera di Shakespeare, Mark e Sam hanno bisogno di altri attori. Dopo qualche provino abbastanza inconcludente – incontrano uno degli improbabili interpreti durante una sparatoria, lo invitano a casa, quello entra diffidente chiarendo «No porno, no porno», e dopo che Mark recita un monologo l’aspirante attore sparisce nel nulla – decidono di girare un breve video sulla spiaggia virtuale di Los Angeles (nel gioco Los Santos) e postarlo online per richiamare l’attenzione sull’iniziativa. Mentre registrano arriva la polizia, e Mark e Sam ingaggiano uno scontro a fuoco.
 

Per la prima volta, allestiremo uno spettacolo dell’Amleto qui su Next-Gen GTA Online, a Los Santos. Cerchiamo attori. Se hai sempre voluto pavoneggiarti recitando Shakespeare su un palco virtuale, vieni per un provino. I dettagli sono qui sotto. Cazzo, la polizia. [Iniziano a sparare] Non potete fermare l’arte, stronzi.  


I due poi ritornano al Vinewood Bowl e, pieni di speranze, aspettano di capire se l’appello ha dato i suoi frutti. Mentre Sam esce momentaneamente di scena, la regista Pinny Grylls intavola un dialogo con Mark, che le confessa che sua zia, l’ultima parente stretta rimastagli in vita, è morta. Questo è un dettaglio importante, su due livelli: apre uno spaccato sulla condizione di solitudine di Mark – che, rispetto a Pinny e Sam, che sono una coppia e hanno dei figli, non ha una famiglia, non può vedere gli amici, non può lavorare a teatro – e ci fa ritornare alla vita fuori dal gioco, uno slittamento che diventa, scena dopo scena, un’altra cifra del documentario, che integra mondo reale e videoludico come se fossero parte della stessa storia. 
 

Scena dopo scena, la vita fuori dal gioco diviene un’altra cifra del documentario, che integra mondo reale e videoludico come se fossero parte della stessa storia


C’è quindi la solitudine – di Mark, ma anche di Sam e Pinny, pur se differente – e c’è il suo rimedio, che si prende la scena con l’arrivo degli attori che hanno risposto all’audizione. Nora è un’addetta alle vendite che odia il suo lavoro; Nemo-164 non ha mai fatto un provino e men che meno recitato Shakespeare in vita sua; TillySeal viene dalla Cumbria, una contea nel nord-ovest dell’Inghilterra; HairySammoth è papà a tempo pieno; Turkomas è un gamer, nerd e fan accanito di Shakespeare; MisteryFedora ha fatto il cuoco nel palazzo reale di Hampton Court; ProNessNess è un’altra gamer, esperta di Overwatch; Woffdawg è attrice e doppiatrice; ParTebMosMir è un tizio travestito da alieno, metà tunisino e metà finlandese, che invece di recitare un estratto dell’Amleto sceglie una parte del Corano; Dollah101 è un amico di Mark, che gioca a calcio con lui tutti i lunedì. Tutti vengono provinati e tutti passano. A quel punto la squadra è fatta e l’allestimento dell’Amleto può cominciare.

Ma formare un gruppo non vuol dire far durare un gruppo, specialmente se c’è di mezzo un progetto artistico. E Sam, Mark e Pinny dimostrano di saperlo bene. Grand Theft Hamlet riesce infatti a raccontare, riprendendole in diretta, le difficoltà che si incontrano quando si dà vita a un’operazione collettiva, descrivendo lo spettro di stati d’animo che questi tentativi portano sempre con sé: euforia, senso di appartenenza, tensione, frustrazione, dubbi sulla validità del risultato. Dubbi che ricadono tanto sul gruppo quanto sui singoli.
 

Grand Theft Hamlet riesce a raccontare, riprendendole in diretta, le difficoltà che si incontrano quando si dà vita a un’operazione collettiva


C’è una sequenza del film che entra bene nelle maglie di questo groviglio emotivo. Dollah101, scelto per la parte di Amleto, a un certo punto molla la compagnia perché ha trovato un lavoro vero, nella vita vera. Mark e Sam rimangono abbastanza spiazzati, non solo per la defezione improvvisa, ma anche perché Dollah101, con il suo gesto, li ha messi davanti a due domande complesse, che sono in fondo la stessa. La prima è se proseguire o meno con la rappresentazione. La seconda, fuor di GTA, è se il lavoro di attore sia un lavoro vero, e se abbia senso seguire le proprie aspirazioni quando al mondo, tanto nel videogioco quanto nella realtà, sembra non fregare nulla. Sam è il più pessimista dei due, su entrambi i fronti. Mentre Mark, che non ha altro se non quel progetto (di nuovo la solitudine), lo tira per la giacca, gli dice che non può abbandonarlo, perché per lui chiuso quel mondo si chiude anche il resto. E tutto questo è Shakespeare.

L’Amleto è un’opera sull’indecisione, sul dubbio, sulle domande esistenziali. Rifuggendo dal noioso citazionismo, Sam, Mark e Pinny utilizzano questi interrogativi per leggere la loro realtà, una lente per ingrandire se stessi e gli altri. «Essere, o non essere», in fondo, è questo: sopportare i dardi del destino – abbandonare la rappresentazione dell’Amleto su GTA, preferire alla vita da attori un’esistenza meno precaria – oppure combattere e, combattendo, probabilmente soccombere. Lo stesso discorso vale per il monologo «Che capolavoro è l’uomo». In questa scena Amleto riflette sull’ambivalenza del mondo: una «sporca e pestilenziale congrega di vapori» e, allo stesso tempo, un luogo pieno di meraviglie tra cui l’essere umano, «nobile nella ragione», «infinito nelle sue facoltà», «simile a un angelo nell’azione». Eppure Amleto queste meraviglie non riesce più a vederle: cos’è, si chiede nell’Atto II Scena II, questa «quintessenza di polvere»? Una domanda che ritorna anche per Sam. I teatri sono chiusi, le persone non possono uscire di casa, il mondo sta collassando, eppure esistono degli sconosciuti che hanno deciso di credere in un’idea delirante e di metterla in pratica, trovandoci una bellezza sbilenca. Una bellezza che però è scomparsa dalla vita di Sam.  
 

È quello che penso io del mondo. Anch’io mi sono sentito così, come… come tante altre persone in alcuni momenti, sai… da un po’ non so perché ho perso tutto il mio buonumore. Perché sto così? E guarda questo mondo, non è straordinario? Non è bellissimo? E allo stesso tempo, fa anche schifo. E guarda gli esseri umani. Sono incredibili, straordinari. Creature straordinarie. Eppure sono anche patetiche, quintessenze di polvere. Ed è di questo… che il mondo sembra essere così pieno, queste contraddizioni che Amleto descrive così… bene e al contempo in modo così umano e inarticolato. Ed è rappresentato benissimo in questo mondo, questa combinazione di bellezza straordinaria e assoluta e… di violenza… grottesca e terribile.


Sullo sfondo si susseguono, accompagnate dal bel motivo musicale del compositore Jamie Perera, scene di vita digitale che raccontano questa contraddizione: una pioggia incessante, nuotate in un mare limpido, macchine rubate, pestaggi, corse sulla scogliera, piccoli market, tutto il mondo. Montare queste scene, e girare il documentario, deve essere stata una sfida dentro la sfida. Le sessioni di gioco sono state tutte registrate, a volte in soggettiva, a volte in isometrica (terza persona). Pinny Grylls, anche montatrice del film, ha dovuto assemblare centinaia e centinaia di ore di video, dettando il ritmo della storia e seguendo il flusso nei momenti di situazionismo puro. Tra le tante inquadrature, le più belle sono forse quelle dedicate ai PNG, i personaggi non giocanti, l’umanità incastrata nei gesti ciclici che popola ogni videogioco. Queste figure irreali, recuperate dal fondo dell’azione e portate in primo piano, sembrano da vicino una specie di materia umana triste, quella di chi è condannato al ruolo di coro e non sarà mai il protagonista di una storia. Una scelta, quella di soffermarsi su questi personaggi di secondo piano, che sembra voler dire che ogni persona, e ogni cosa, è importante, e che anche lo sfondo, in un videogioco che può ospitare le infinite sfaccettature dell’esperienza umana e artistica, può unire le persone tra loro.
Grand Theft Hamlet è tutto questo: un documentario, un esperimento, un dialogo intimo con Shakespeare. E un racconto: quello di chi ha provato a fare qualcosa che nessuno ha fatto, in un momento, quello della pandemia, in cui non si poteva fare nulla. E di come, provandoci, ha combattuto la solitudine, trovando una comunità.

 

Traduzioni dell’Amleto da Agostino Lombardo, Feltrinelli, 2015 (prima edizione 1995)


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