Orazio
Venosa, 8 dicembre 65 a.C. – Roma, 27 novembre 8 a.C.
«Nato da padre liberto» deciso a procurargli educazione aristocratica, ad Atene Quinto Orazio Flacco crede al repubblicanesimo anticesariano che lo vorrà con Bruto a Filippi, quindi sconfitto e invecchiato d’un tratto; rassegnato a Roma, trova in Virgilio chi l’introduce a quel Mecenate, consigliere d’Ottaviano, che d’Orazio sarà migliore amico e massimo fautore (38). Infatti, è anche per il suo dono d’una villa sabina che, al centro del noto circolo di poeti, Orazio potrà realizzare lo stile di vita che dopo i giambici Epodi indica lungo tutta la sua produzione: in equilibrio con l’eccelsa poesia civile del Carmen saeculare, dall’esametro pedestre di Satirae ignare dell’aggressività d’un Lucilio, ai metri lirici che nelle Odi per primo chiama dalla Grecia, Orazio integra eclettico l’esperienza epicurea e quella stoico-cinica nello sguardo indagatore e meditativo bonariamente rivolto agli uomini per opporre al travaglio delle passioni l’ideale dell’aurea mediocritas: vita consapevole della propria caducità e perciò goduta con savia moderazione, non sperpero edonistico – come credono cultori del carpe diem – ma saper «non chiedere cosa verrà domani, e ogni giorno che la sorte darà metterlo a frutto»; di qui il distacco dall’intensa passionalità dei modelli greci, verso il candido nitore, l’armonica limpidezza d’un eterno maestro dell’Ars poetica.
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