Oldboy di Spike Lee

con Josh Brolin, Sharlto Copley, Elisabeth Olsen, Samuel L. Jackson

Rifacimento hollywodiano del film di culto coreano diretto da Park Chan-Wook, Oldboy è simile nella trama ma privo delle intuizioni registiche e della profondità di scrittura che resero famoso l'originale.
Un pubblicitario newyorkese arrogante e debosciato, più dedito all'alcol e alla ricerca di sesso occasionale che al mantenimento dell'ex moglie e ai compiti paterni, viene rapito e tenuto prigioniero per vent'anni in una stanza. Una volta uscito bramerà la sua vendetta percorrendo una trama dai risvolti incestuosi, per la quale subirà le conseguenze più spiacevoli.

Una ricetta tradizionale priva di gusto nella rielaborazione, questo risulta dalla proiezione della pellicola di Spike Lee. Sebbene anche l'originale sia  un adattamento, nello specifico di un manga, ciò che emerge dalla prima trasposizione cinematografica è un'opera fresca di idee narrativo-visive, proprio ciò che manca nel film di Lee, depurato dalla visionarietà di Park Chan-Wook ma senza il contraltare di una regia altrettanto (in)calzante. Scompare del tutto una costruzione dei dialoghi dalla sintassi shakespeariana e permane solo la struttura narrativa della tragedia greca, sebbene con qualche cambiamento rispetto al film coreano; cambiamento non atto a deturpare la storia ma d'altro canto, vista la mancanza di una pungente visione registica, teso a non comprometterne l'intensità.

L’unico momento in cui le tematiche care al regista di Do the right thing emergono durante la prigionia del protagonista, uomo bianco rinchiuso tra quattro mura, su una parete delle quali è appesa l'illustrazione di un uomo di colore vestito da facchino e il cui slogan recita, parafrasando, «siamo qui per servirla ed esaudire ogni suo desiderio». Da questo momento in poi la strada di una possibile sferzante critica sociale viene del tutto abbandonata, il film procede dipanando la sua trama già comprovata e la regia di Spike Lee resta solo un cameo.

Misvalutando uno degli elementi fondanti nella resa di un’opera proviente da una cultura diversa – tener conto di usanze e costumi sociali della cultura d’origine – si è trascurata l’importanza fondamentale di adattarne i valori che la sceneggiatura promuove a quelli dei personaggi di cui gli interpreti si sarebbero fatti carico; pertanto giunti sul finale l'atteggiamento di prostrazione del protagonista nei confronti del suo carnefice risulta avulso da un codice di comportamento sociale come quello occidentale, ancor più se le reazioni della vittima sfumano in un servilismo tipicamente orientale. L'anacronismo delle dinamiche relazionali è pertanto ciò che pesa di più nell'indecoroso tentativo di proporre al pubblico un rifacimento che non cura con perizia e rinnovata freschezza temi e contenuti già ben veicolati. Anche ammettendo che si tratti di un’operazione commerciale, un piglio di originalità sarebbe stato sufficiente a contribuire alla prosperità del conto in banca con un minimo di eleganza e dignità.
 

 

«Non lasciatemi mai solo»

USA 2013 – Dramm. 104' **


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