Mario Rigoni Stern
Asiago, 1º novembre 1921 – Ivi, 16 giugno 2008
Al giovane Mario Rigoni Stern il vincolo stretto con la «bella d’erbe famiglia e d’animali» dell’Altipiano ov’egli è nato concede un mondo cui far sempre ritorno, specie quando, Alpino naturaliter, segue le guerre fasciste dalla Francia ai Balcani fino in Russia: la tragica esperienza della rotta dal fronte del Don (1943) s’impadronirà della sua vita come sorgente dei suoi inchiostri, elevando Il sergente nella neve (1953) a vivo ma asciutto testimone di tutta la miseria degli uomini in guerra. Alla domanda che fa ripetere ad un suo personaggio, «Ghe rivarem a baita?», lo scrittore di Asiago vorrà rispondere fin dal Bosco degli urogalli (1962), quando integra alla traccia bellica l’altra fonte della sua prosa, l’amore per la natura e le creature dei luoghi nativi – colti da uno sguardo capace di trascendere l’autobiografia (L’anno della vittoria, 1985) come di ritornarvi (Amore di confine, 1986) per intrudersi, con originalità suggestiva, nella stessa vita vegetale di Arboreto selvatico (1991): una comunione con la natura che spiega il rifiuto di sedersi in Parlamento da senatore a vita come la scelta di farsi seppellire nudo sotto la nuda terra e solo una croce, come i fanti che per Un anno sull’altipiano tennero compagnia a Lussu.
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