Magari di Ginevra Elkann
con Oro De Commarque, Milo Roussel, Ettore Giustiniani, Riccardo Scamarcio, Alba Rohrwacher, Brett Gelman
Presentato in apertura del 72esimo Locarno Film Festival nell’agosto del 2019 e pronto per l’uscita in sala a fine marzo 2020, saltata per la chiusura delle sale a causa del Covid-19, Magari è il primo degli otto film italiani in uscita in streaming su RaiPlay. L’esordio alla regia di Ginevra Elkann, già produttrice e distributrice – con la Good Films che ha distribuito tanto cinema d’autore da Pietà di Kim Ki-Duk a Salvo, da Before Midnight di Linklater a Nymphomaniac di Von Trier fino a Locke di Stephen Knight –, racconta la storia di un inverno sospeso nella vita di tre figli di una coppia separata.
Parigi, anni Novanta. Alma, Jean e Seb (O. De Commarque, E. Giustiniani, M. Roussel) sono tre fratelli che l’improvvisa gravidanza della madre con il nuovo compagno spinge in Italia dal padre Carlo (R. Scamarcio), scostante regista alle prese dopo tanto tempo con la scrittura di un nuovo film. I tre sono pronti per una vacanza in montagna, ma il padre li porta – bardati di sciarpe, cappelli di lana, moon boot e Moncler – nella vecchia casa sul lungomare di Sabaudia per lavorare alla sceneggiatura con la compagna e collaboratrice Benedetta (A. Rohrwacher).
Partendo dai ricordi d’infanzia, come la piccola Alma anche Ginevra Elkann è la minore dei tre figli di genitori poi separati, la regista ha scritto con Chiara Barzini un film fatto di frammenti e colori, che rivivono accesi per tutta la pellicola nel contrasto tra la vivacità cromatica degli abiti (e soprattutto dei giubbotti, talmente caratterizzanti da sembrare quasi parte di un spot elegante per la Moncler) e i colori bruni e spenti tipici delle località marittime catturate d’inverno. In questo contesto si accendono le storie dei personaggi e della famiglia parzialmente riunita, vagheggiata di volta in volta da Alma in maniera diversa con delle proiezioni che intervallano il film e rappresentano la volontà della bimba di trovare una nuova unità sotto la forma di un marito e di una moglie in posa per le foto di un matrimonio immaginato: il padre con la compagna Benedetta o con la madre Charlotte, lei stessa con Marco, il ragazzo di cui si invaghisce. Con i suoi occhi di bambina si crea l'immagine di una vita possibile, con uno sguardo sempre in potenza, un “magari fosse così”; come in una delle prime locandine diffuse dove si legge il titolo provvisorio Tutti insieme. Magari.
Con i suoi occhi di bambina Alma si crea l'immagine di una vita possibile, con uno sguardo sempre in potenza, un “magari fosse così”
Con uno Scamarcio in forma e un azzeccato trio di ragazzi protagonisti, compresa la tenerissima Oro De Commarque, il film vive dei luoghi, delle strade, delle case (tra cui quella del nonno e della nonna Florinda Bolkan), con un’ambientazione talmente efficace da ingoiare i personaggi, rinchiusi in piccoli quadri, sequenze frammentarie che svuotano il film di quella compattezza – buffo, peraltro, che le debolezze di un film in cui si racconta la necessaria revisione di una sceneggiatura stiano probabilmente nelle poco attente revisioni della sceneggiatura. Il collante che non manca soltanto nella narrazione, ma anche nella concatenazione visiva delle sequenze, toglie forza a un film in cui spesso le situazioni (per quanto riuscite) sembrano soltanto susseguirsi una dopo l’altra. In questo, un toccasana alla staticità del film è l’entrata in scena di Brett Gelman, che nel ruolo dell’amico americano Bruce accende il film a tre quarti d’ora dalla fine e rinfresca l’atmosfera, esplicita i conflitti e i non detti, mette in mostra i pensieri e i sentimenti dei personaggi – altrimenti talmente sottaciuti da risultare spesso impercettibili – e scuote quell’anemia emotiva che lo spettatore rischiava di dover rimproverare al film. Il suo ingresso accentua ancora di più il plurilinguismo del film, in un interessante dialogo tra italiano, francese e inglese (con Scamarcio che ci butta dentro anche un po’ di divertente pugliese) capace di cambiare forma e significato in base alle sequenze: una volta distanza e contrapposizione, un’altra condivisione e unità.
Nella sua casa al mare affollata di personaggi – il padre Carlo, la compagna e collaboratrice Benedetta, i tre ragazzi, Bruce, l’amico muto Pasquale (il cui ruolo nel film resta ignoto) – Magari sembra indeciso su quale sia il suo protagonista. È Alma, che sogna una famiglia unita e architetta piccoli teneri piani per raggiungere il suo scopo? È Seb, diviso tra il conflitto adolescenziale con il padre, la distanza dai coetanei e l’invaghimento per Benedetta che lo accompagna in una fuga romana? Carlo, che cerca di recuperare come può i frutti di una paternità assente? O forse addirittura Benedetta, innamorata di un uomo ancora troppo legato alla (ex) moglie? La voce off della piccola Alma, che introduce la storia e vorrebbe indicare una direzione precisa sul punto di vista da cui la storia viene raccontata, rimane un contrappunto troppo incostante per dare solidità al racconto, tanto da dare il sospetto che si tratti di poco più di un espediente narrativo. E con rammarico, perché se Magari avesse saputo mantenere saldo il punto di vista della bambina anche il bel finale ne avrebbe guadagnato.
Nella sua casa al mare affollata di personaggi, Magari sembra indeciso su quale sia il suo protagonista. Alma o Seb? Carlo o forse addirittura Benedetta?
Ad ammantare tutto il film, il fantasma di un fascino posticcio, da Polaroid scattata negli anni Duemila. Quel gusto retrò degli ambienti e degli oggetti, messi in scena come se la loro stessa rappresentazione avesse intrinsecamente un significato, e alcune forzature un po’ stucchevoli: Alma che vede un ragazzo che le piace e si ferma con la bici per esclamare “Uau!” (su, dai), Jean che finge di avere i superpoteri e si butta da un tetto rischiando la vita (anche no), soprattutto la sequenza in cui alla radio passa Se mi lasci non vale di Julio Iglesias e padre, figli e nuova compagna la cantano insieme, in un canone del cinema d’autore italiano diventato quasi fastidioso, come se il passato si potesse evocare soltanto con un classico della musica popolare italiana cantato tutti insieme. Per queste ragioni, nonostante quello di Ginevra Elkann resti un buon esordio, sembra esagerato, come si legge su diverse testate e come scrive Emanuele Sacchi su MyMovies, affermare che «Magari rappresenta l’affermazione di una nuova voce del cinema italiano». Non adesso, non con questo film. Un giorno, magari.
«In tutti questi anni, quando pensavo a come poteva essere una famiglia, pensavo più o meno ad una cosa come questa. Magari con un po’ più di sole, o senza un cane morto»
ITA-FRA 2020 – Comm. 99' ★★½
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