Lucano
Cordova, 3 novembre 39 – Roma, 30 aprile 65
Ardens et concitatus è per Quintiliano il nipote del grande Seneca che viene a Roma a studiar la retorica dello stoico Cornuto, e a far versi alla corte d’un Nerone che Marco Anneo Lucano sinceramente ama e ammira: ma quando il giovane imperatore vieta il canto dell’amico cui invidia i talenti d’oratore e poeta, la provvidenza che all’inizio del Bellum Civile vuol Nerone come fine della tragedia della Repubblica cade sotto un’ipoteca d’amara palinodia, e svanisce sotto un cielo di dèi muti. Tutto storico e terreno è il poema epico che intorno a Farsalo tumultua e manda in scena in un Cesare diabolico l’eroe nero, la Fortuna negativa cui debolmente s’oppone l’antica e rassegnata quercia di Pompeo, e finalmente soccombe anche il disincanto d’un Catone cui piacque la causa dei vinti: sotto l’aurora dorata del mito d’Augusto che con l’Eneide sparge Virgilio, Lucano scopre la verità sanguinaria dell’usurpazione dell’imperium, ed elevata a schema l’antifrasi per trasformare la celebrazione in denuncia, fa di sé un antivirgilio, della Pharsalia un’antieneide e dell’apollinea limpidezza poetica del mantovano uno stile tumorale di eccessi retorici, espressione d’un’anima in tumulto che, avvelenandosi il principato, non potrà non chiamarsi alla congiura, ovvero alla fine, di Pisone.
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