Louisa May Alcott: figlia, sorella, scrittrice, attivista
Dentro le lettere dell’autrice di Piccole donne pubblicate da L’orma
Quando pensiamo a Louisa May Alcott ci sembra quasi di conoscerla: in fondo, il suo romanzo più famoso è notoriamente ispirato alla sua vita. Tuttavia dietro il velo del romanzo edificante per giovani donne per bene si nasconde una vita ben più complessa e travagliata. In Le nostre teste audaci, la raccolta di lettere di Louisa May Alcott pubblicata da L’orma Editore e tradotta e curata da Elena Vozzi, ci viene rivelata la sua personalità sfaccettata. In questa raccolta si ripercorrono i vari aspetti della sua vita come figlia, sorella, scrittrice e attivista. Le sue lettere sono concise e vanno dritte al punto, giungendo a noi grazie a una traduzione precisa che non manca di riportare l’ironia e lo stile dell’autrice. Attraverso dei cappelli introduttivi a ciascun gruppo di lettere, Elena Vozzi ci accompagna per mano, aiutandoci a comprendere più profondamente la figura dell’autrice.
In Le nostre teste audaci, attraverso dei cappelli introduttivi a ciascun gruppo di lettere, Elena Vozzi ci accompagna per mano aiutandoci a comprendere più profondamente la figura dell’autrice
Cresciuta in un vivace contesto culturale, Alcott ha subito sin dalla più giovane età l’influenza della filosofia trascendentalista, di cui Emerson e Thoreau, amici di famiglia, erano i maggiori esponenti. I trascendentalisti criticavano il conformismo della società e professavano la necessità che ciascuno instaurasse «un rapporto originale con l’universo». Di questo movimento faceva parte anche Amos Bronson Alcott, le cui idee hanno influenzato la figlia Louisa. I genitori di Alcott erano degli abolizionisti e hanno aiutato gli schiavi in fuga dalle piantagioni, nascondendoli nella propria casa, per questo sin da giovane la scrittrice impara l’importanza di lottare per i diritti di tutti. Desiderosa di contribuire attivamente in ciò in cui crede, Alcott cerca in ogni modo di partecipare alla Guerra civile facendo appello a Thomas Wentworth Higginson, colonnello dell’esercito unionista:
in quest’epoca marziale il sangue del vecchio colonnello May ruggisce nelle vene della nipote, la quale non vede l’ora di essere affaccendata in occupazioni più nobili di quelle che le offre il focolare domestico, dove se ne sta seduta a imbastire romanzi mentre eventi così straordinari aspettano tutti noi, che dovremmo approfittarne e celebrarli.
Alla fine riesce a entrare nell’esercito come infermiera e vi resta finché un avvelenamento da mercurio non la costringe ad allontanarsi dal servizio. Da questa esperienza nascono gli Hospital Sketches, la sua prima opera pubblicata nel 1863 nella quale racconta, senza lesinare in dettagli alle volte anche crudi e dolorosi, la situazione degli ospedali da campo. Ed è proprio dallo scambio di lettere con James Redpath, l’editore che ha pubblicato questo volumetto, che scopriamo un’altra sorprendente caratteristica di Alcott, ossia la sua grande abilità nel gestire i propri affari e la sua ampia conoscenza del mercato editoriale tanto da essere lei stessa a determinare con l’editore i termini del contratto (parte dei proventi degli Hospital Sketches fu devoluto a un ente benefico che si occupava di prestare aiuto agli orfani di guerra). Gli Hospital Sketches, insieme ai romanzi destinati a un pubblico adulto che spesso Alcott pubblicava sotto lo pseudonimo di A.M. Barnard, erano il tipo di racconti ai quali l’autrice si dedicava più volentieri. Si trattava di storie dai toni più cupi e spesso più sovversive. Tuttavia, non provenendo da una famiglia benestante, Alcott era costretta a sottostare alle leggi del mercato per poter mantenere la propria famiglia: «Mi dedicherei più che volentieri a questo genere di narrazioni, ma sfortunatamente non pagano bene quanto la “spazzatura”, una considerazione venale, me ne rendo conto, ma che ha il suo peso quando non si scrive ispirati dal genio ma dalla pura necessità».
Piccole donne adempie alla perfezione al compito per il quale è stato creato, infatti il successo del libro permette alla scrittrice di provvedere ai bisogni della propria famiglia. E con il romanzo per cui è più conosciuta, l’autrice aveva un rapporto particolare. Come afferma lei stessa, non aveva alcuna fiducia che quel genere di romanzo potesse avere tutto il successo che invece ha ottenuto e, come racconta l’articolo Nella casa in cui Louisa May Alcott ha scritto Piccole donne tradotto su questa stessa rivista, Alcott afferma di non conoscere molte ragazze, eccetto le sorelle, e di sentire di «avere l’animo di un uomo che qualche scherzo della natura ha messo nel corpo di una donna». Questa caratteristica la possiamo ritrovare in Jo March, una delle protagoniste del romanzo. Considerando il pubblico a cui questo è destinato, è interessante notare come la secondogenita dei March non si conformi alle caratteristiche della giovane donna per bene, anzi per gran parte del romanzo agisce in maniera diametralmente opposta a quanto ci si aspettava da una brava fanciulla dell’epoca. Jo dichiara più e più volte che avrebbe preferito nascere maschio e anche la sua relazione con il giovane che dice di amarla è piuttosto ambigua. Da una parte Laurie la tratta come un compagno d’avventure e dall’altra professa il suo amore per la giovane. Alcott quindi esce fuori dagli schemi dettati da questo genere di romanzo e da quelli della società dell’epoca, dando alle proprie lettrici qualcosa che non si aspettano.
Alcott non aveva fiducia in Piccole donne, affermava di non conoscere molte ragazze, eccetto le sorelle, e di sentire di «avere l’animo di un uomo che qualche scherzo della natura ha messo nel corpo di una donna»
Un altro momento della storia in cui Alcott spiazza le lettrici è certamente il finale. Aveva in mente di terminare la storia in modo diverso, ma fu costretta a sottostare alle leggi del mercato; nonostante questo, non rinunciò a prendersi una piccola rivincita, come rivela con ironia ad Alfred Whitman (sua ispirazione per Laurie insieme a un altro amico polacco conosciuto durante un viaggio in Europa) e all’educatrice e attivista Elizabeth Powell:
Jo sarebbe dovuta rimanere una zitella devota alla letteratura, ma sono stata sommersa da talmente tante lettere di giovani lettrici che mi pregavano entusiaste di farle sposare Laurie, o comunque di farla maritare, che non ho avuto il coraggio di rifiutarmi. Alla fine, non senza una punta di perversione, le ho combinato un matrimonio assai bizzarro. Mi aspetto di essere coperta di insulti, ma devo ammettere che la prospettiva mi diverte abbastanza.
Jo, come la donna a cui è ispirata, non avrebbe dovuto contrarre matrimonio ed essere indipendente, ma ciò si allontanava dai desideri dei lettori e da quelli della società del tempo, non ancora pronta a vedere una donna sola avere il pieno controllo della propria vita.
Alcott proclama la parità di genere, quindi uguali possibilità per le donne e per gli uomini di accedere all’istruzione e a ogni tipo di professione
Alcott era una convinta sostenitrice dei diritti delle donne e fu la prima donna di Concord a iscriversi alle liste elettorali per votare alle elezioni dei comitati scolastici del paese, un evento epocale che riporta sul Women’s Journal. Impegnata quindi attivamente nella lotta per i diritti delle donne, intrattiene una fitta corrispondenza con numerose altre scrittrici, poetesse e attiviste femministe con le quali si scambia idee e riflessioni:
Non ne posso più di sentir parlare di «sfera femminile» […] Sono stufa, dopo tutti questi anni, di sorbirmi fandonie su querce vigorose e fiorellini di campo, la cavalleria maschile e il dovere di proteggerci. Lasciamo la donna libera di scoprire i propri limiti. Se davvero – come sembrano convinti questi signori – la Natura ha concepito per lei una sfera specifica, vorrà dire che finirà per adattarvisi spontaneamente. Ma per la miseria, diamole una possibilità! Non precludiamole nessuna professione, facciamola accedere all’educazione universitaria per una cinquantina d’anni: soltanto allora sapremo davvero di che stiamo parlando. A quel punto, e non prima, saremo in grado di dimostrare cosa può e cosa non può fare una donna, e le generazioni a venire potranno comprendere e definire in che consista questa «sfera femminile» molto meglio dei retrogradi figuri che vanno pontificando ai nostri giorni.
Per quanto i tempi siano cambiati rispetto al diciannovesimo secolo, il suo discorso si rivela sorprendentemente attuale. Alcott proclama la parità di genere, quindi uguali possibilità per le donne e per gli uomini di accedere all’istruzione e a ogni tipo di professione. Il suo attivismo si vede anche nel costante impegno che mette nel consigliare e aiutare altre donne, scrivendo lettere per perorare la causa delle compagne suffragette, come quella all’editore Thomas Miles per convincerlo a pubblicare l’opera di Harriet H. Robinson sul suffragio femminile in Massachussets.
Le compagne suffragette non sono le uniche che aiuta e consiglia, Alcott si impegna anche nell’offrire suggerimenti onesti e preziosi ad autori e autrici emergenti. Cresciuta con due genitori sempre pronti a sostenere gli exploit artistici delle figlie, conosceva l’importanza del dare sostegno e supporto a chi lo richiedeva. Quest’ultimo tipo di corrispondenza è interessante perché rivela un ulteriore aspetto della vita della scrittrice. Diventata un’autrice famosa, Alcott riceve numerose lettere da ammiratori e ammiratrici a cui risponde con grande cordialità. Tuttavia, il suo rapporto con la fama è travagliato:
Non rispondo alle richieste di autografi, e nemmeno a buona parte delle lettere in cui mi si chiedono soldi o consigli sugli argomenti più disparati, da «Secondo lei chi dovrei sposare?» a «È il caso che indossi un’imbottitura di crine?».
Non ho tempo per leggere i manoscritti e detesto certa tronfia retorica.
Se alle cinquecento giovani menti della sua scuola riuscisse a insegnare come amare i libri lasciando in pace chi li ha scritti, non solo sarebbe per loro un’utile lezione, ma assicurerebbe a lei la gratitudine della vessata categoria la cui vita, al giorno d’oggi, è funestata dai cacciatori di autografi.
Dietro alla sua ironia e giovialità, visibile soprattutto nelle lettere alla famiglia e agli amici più cari, si nasconde una mente tormentata dalle difficoltà sostenute durante la giovane vita. Come lei stessa afferma in una lettera al padre: «è difficile restare solari e appassionati quando la vita è tetra e piena di guai». Il periodo degli anni ’50 dell’Ottocento è per lei uno dei più dolorosi. Non solo le difficoltà economiche sono insormontabili, ma anche a livello familiare deve affrontare la perdita della sorella minore Elizabeth e subisce duramente anche il matrimonio e la conseguente separazione dalla sorella Anna. È in questo periodo che nello sconforto Alcott medita il suicidio. Da questa esperienza dolorosa nasce Work, un romanzo semi-autobiografico in cui oltre alla tematica del suicidio tratta anche delle difficoltà incontrate dalle donne nell’ambito lavorativo nell’epoca industriale.
Da questa raccolta di lettere scopriamo un personaggio complesso, estremamente moderno, una vita vissuta al di fuori degli schemi dettati dalla società del suo tempo, ha combattuto per i diritti di tutti e ha affermato se stessa in modi impensabili per l’epoca in cui è vissuta. Per dirlo con le parole di Emerson, Louisa May Alcott ha trovato il modo di instaurare un rapporto nuovo e originale con il mondo attorno a lei.
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