Lotte Moleste

Combattere le battaglie femministe con la poster art, l'intervento di Cheap e del collettivo Moleste

“È così che muore la libertà…” – questo forse avrà pensato Pierre Ménès quando ai microfoni di Touche pas a mon poste!, noto talk show televisivo francese in onda su C8, asseriva: «On ne peut plus rien faire, on ne peut plus rien dire». Non si può più fare e dire niente. Lo scorso 22 marzo, infatti, il giornalista sportivo era finito nell’occhio del ciclone a seguito della messa in onda del documentario di Marie Portolano dal titolo Je ne suis pas une salope, je suis une journaliste, «Non sono una troia, sono una giornalista», una serie di testimonianze che mette in luce la condotta inappropriata di Ménès ai danni della stessa Portolano – ora tornata membro dell’équipe di M6 – e altre due colleghe, che lo accusano di  molestie sessuali. Il caso più eclatante, che vede l’opinionista di Canal Sport Club sollevare la gonna alla giornalista ed afferrarle le natiche, è stato tagliato dalla prima tv di domenica 21 marzo sulla rete a cui Vivendi fa capo. «Per proteggere Pierre Ménès, Canal + censura un documentario sulle donne», così titola Les Jours poco dopo; repentina la protesta scatenatesi online ed altrettanto celere si fa sentire la risposta riparativa del gruppo di Vincent Bolleré, che il giorno seguente ha mandato in onda i filmati incriminati con lo stesso Ménès in studio. Il documentario firmato da Marie Portolano e Guillaume Priou ha sicuramente il merito di sollevare molte questioni sul mondo del giornalismo sportivo: si dovrebbero imporre delle quote rosa? Come possiamo mettere a tacere le continue voci che fanno sentire le anchorwomen fuori posto? Perché le donne nelle trasmissioni sportive per molto tempo sono state relegate al ruolo di donna immagine? Possiamo smettere di parlare del loro fascino o del loro partner e concentrarci sulle loro capacità? Sul banco degli imputati, ancora una volta, il modo in cui viene percepito il corpo femminile.

In Italia, Moleste, collettivo femminista nato a fine ottobre 2020 che comprende, come recita il manifesto, «fumettistǝ, sceneggiatrici, disegnatrici, coloriste, letteriste, soggettiste, giornaliste, traduttrici e ghost writer», si è posto dei simili interrogativi e si impegna a far venire alla luce vicende e testimonianze quali discriminazioni sul posto di lavoro, comportamenti inappropriati nelle scuole ed accademie di fumetto, oltre a veri propri episodi di molestie. Ché le questioni di genere non sono argomento estraneo al mondo del fumetto, già al Lucca Changes, edizione 2020 di Lucca Comics & Games, lo si era potuto osservare. In rete erano esplosi i commenti negativi e transfobici sotto la presentazione dei poster di Josephine Yole Signorelli, in arte Fumettibrutti, per la raffigurazione di una supereroina trans, e di Simone Albrigi, Sio, per l’utilizzo schwa.
 

In un settore senza albo professionale, in cui il lavoro raramente gode di garanzie sindacali, il terreno degli abusi è particolarmente fertile. [...] A monte c’è una visione del mondo sessista purtroppo ancora molto comune e uno sbilanciamento nei rapporti di potere.


Il lavoro di Moleste non si limita alla condivisione di esperienze da parte delle varie professioniste (e non), ma il loro impegno si estende anche nel creare un ambiente protetto che possa essere di riferimento per chi intende formarsi ed informarsi sulle questioni di genere, oltre a fungere da ponte di contatto con vari centri anti violenza nella fase di primo ascolto e pianificazione di un eventuale percorso psicologico e legale. I CAV con cui Moleste è in contatto sono: Lucha Y Siesta, Il Coraggio di Frida, Cadmi (Casa di accoglienza delle donne maltrattate), Centro Antiviolenza AURORA (Associazione Arcidonna Napoli), Cooperativa Sociale E.V.A., Casa delle Donne per non subire violenza Onlus e Ankyra (Centro Antiviolenza per Uomini e Donne — Milano). Come espresso nel loro annuncio social del 24 febbraio: «Anche gli uomini sono esposti ad abusi fisici e psicologici e spesso non è facile riconoscerli e parlarne. [...] Chiedere aiuto è un diritto di tutt3». Alle undici fumettiste firmatarie del manifesto di Moleste – Susanna Mariani, La Tram, Deborah Tommasini, Sonia Aloi, Elisa 2b, Francesca Ciregia, Grazia La Padula, Helena Masellis, Caterina Ferrante, Claudia Ianniciello e Ariel Vittori – è affidata l’iniziativa curata dal collettivo bolognese CHEAP: LE articolo AUTOdeterminativo, intervento di arte urbana che propone come serie dei manifesti ripercorrenti undici tappe della lotta transfemminista
 

Scorrono così i temi dell’indipendenza, della resistenza, dell’autodeterminazione che hanno portato a conquiste necessarie come il diritto al divorzio (1970), al diritto all’aborto (1978), al riconoscimento dei legami same-sex (2016), passando per momenti culturali “rivoluzionari” come l’invasione queer nello spazio pubblico degli Anni 90, piuttosto che la riappropriazione del corpo e del desiderio nell’idea gioiosa del sex-positive degli Anni 80. Alcune figure di donne che hanno rotto gli schemi patriarcali con le loro vite, fanno da contrappunto alle conquiste: la pioniera Ada Lovelace, l’iconoclasta Tamara de Lempicka, l’impavida Franca Viola e la scomoda Franca Rame. Le Madri infine portano in strada tutto il coraggio di Plaza de Mayo negli anni 70, mentre Le Resistenti sono un omaggio alle donne combattenti per la liberazione dal nazi-fascismo in Italia.


Particolarmente rilevante il manifesto de “LE Auto - determinate”. Sono infatti del 24 marzo le parole del Consiglio d’Europa che, dopo aver valutato le misure prese dall'Italia per risolvere le violazioni rilevate nel 2013 e nel 2015, afferma che in Italia è ancora difficile abortire: «Il governo non ha fornito alcuna informazione sul numero o percentuale di domande d’aborto che non hanno potuto essere soddisfatte in un determinato ospedale o regione a causa del numero insufficiente di medici non obiettori». Stando agli ultimi dati disponibili del 2018, il numero degli obiettori di coscienza è in crescita ed il 5% delle donne sono state costrette ad abortire fuori dalla loro regione di appartenenza. Al governo italiano è stato chiesto di fornire dati sugli aborti clandestini, sul numero di obiettori di coscienza ed informazioni sull'impatto che questo ha sull'accesso effettivo all'interruzione di gravidanza. 

Altro dibattito molto attuale nel panorama italiano quello sul DDL Zan, il disegno di legge fermo alla Camera che sta ricevendo particolare attenzione mediatica, spinto anche dalla campagna social #diamociunamano a cui pure molte celebrità hanno aderito. Un ulteriore tassello per la lotta per i diritti civili che darebbe un segnale forte a tutti i picchiatori, come quello romano di Valle Aurelia, reo di aver aggredito una coppia perché omosessuale e farebbe forse sentire più accolte tutte le Marika cacciate e discriminate per aver scelto di amare. CHEAP e Moleste, dedicano alla lotta contro l’eteronormatività e allo spazio per l’inclusione “LE Queer” e “LE Innamorate”.
 

Si dice che “non si può più fare e dire niente”, ma quale libertà non è più concessa? Quella di rivolgere pesanti commenti sul corpo altrui, di fare avances, allungare le mani senza nessuna forma di consenso?


Ménès invitato in studio a parlare delle accuse che pendono sul suo capo dice che, con l’avvento del Me Too, “non si può più fare e dire niente”. Ma quale libertà non è più concessa? Quella di rivolgere pesanti commenti sul corpo altrui in presenza di amici e colleghi? O per caso di fare avances, strappare baci a tradimento, allungare le mani senza nessuna forma di consenso? Ignorare che dall’altra parte c’è un essere umano con le sua dignità e sensibilità? Nel suo caffè del 13 marzo, Corradino Mineo, stavolta prendendo in esame la vicenda che vede coinvolto Andrew Cuomo, immaginava un mondo dove «non ci sarà spazio per uomini che non comandano solo se stanno dormendo, che si chiudono nella fortezza del potere come MacBeth nella sua Elsinore fino a confondere pubblico e privato». Spazi come quelli creati da CHEAP e Moleste sono punto di riflessione, un riappropriarsi di quel “personale è politico”, vecchio slogan femminista, pronto a rivendicare l’importanza di modelli di comportamento che permettano una maggiore inclusione ed emancipazione della donna nel discorso pubblico. Slogan che a distanza di più di mezzo secolo ci rivelano come il re sia da tempo ormai nudo e le donne — contrariamente alla fiaba di Andersen — cerchino ancora disperatamente di vestire gli indumenti di una società che le riveli per quello che sono.

Fotografie di Michele Lapini
Cortesia del collettivo Cheap


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