Lo sguardo al di là della strage

Il discorso di Alfano a Camera deserta e le reazioni dell'Italia dopo l'attentato a Charlie Hebdo

Dov’erano i professionisti delle dichiarazioni a giornali unificati quando il ministro Alfano, pochi giorni fa, riferiva in Parlamento in merito alla posizione dell’Italia nello scacchiere internazionale, dove spirano i venti del terrorismo? L’immagine della Camera semideserta in un momento così delicato è la dimostrazione della totale inadeguatezza di questa classe politica, composta perlopiù da carrieristi senza il minimo interesse per il Paese che dicono di rappresentare. Se questo è l’impregno profuso dai nostri onorevoli per difendere l’Italia dal fondamentalismo, possiamo anche concederci direttamente all’ISIS come terra di conquista. Perché non si può parlare di democrazia se poi non la si esercita, nel rispetto del proprio dovere lavorativo, che di certo non consiste nel peregrinare da un salotto televisivo all’altro, alla mera ricerca del consenso elettorale.
Il campionario delle dichiarazioni seguite all’attentato di Parigi fa impressione: c’è chi invoca la guerra (come? dove? contro chi?), chi vuole cacciare tutti gli immigrati in Italia e fermare l’ondata migratoria verso l’Europa, chi auspica la fine del multiculturalismo, chi intende chiudere tutte le moschee. Chi, dall’altra parte, invita a non generalizzare e a ricordarsi che l’Islam non è rappresentato solo dai fanatici (sai che scoperta): la sicurezza nazionale non è in discussione, va tutto bene e non preoccupiamoci più di tanto. L’esercizio del ragionamento è abolito: si procede a slogan, perché la conoscenza dei fatti è un dettaglio irrilevante. Ripenso a Luigi Einaudi, che in Prediche inutili – titolo emblematico… ed era il 1959! – scriveva: «La conoscenza non si ottiene se invece del teorico o uomo di buon senso la ricerca del vero è affidata al dottrinario. Costui è un personaggio che possiede una dottrina ed ha fede in quella. Egli non ragiona sul fondamento dei dati da lui conosciuti e della tanta o poca capacità di raziocinio ricevuta alla nascita da madre natura e perfezionata con lo studio e con l’esperienza. No; il dottrinario ragiona “al punto di vista”. Prima di studiare, egli sa già quel che deve dire. […] Non importa conoscere l’indole propria del problema, la sua nascita, le sue cause, i suoi precedenti. La soluzione è bell’è trovata».
Oltre all’ovvia scrematura, in questi giorni ho trovato molta più cultura politica nei dibattiti su Facebook che in quelli propinati dai media nazionali; ho seguito con attenzione i commenti di un lettore de L’Eco del Nulla, che ha dimostrato notevole competenza in questioni religioso-giuridiche legate all'Islam. Parole pesate dalla prima all’ultima riga, financo nell’uso degli avverbi e del galateo informatico, che sconsiglia il capslock selvaggio: così, mi sono seduto comodamente e ho imparato qualcosa. Al di là delle conclusioni a cui sono giunto per conto mio.

Pensare che i flussi migratori degli ultimi anni non abbiano la minima influenza sulla crescita del fenomeno integralista è un puro esercizio di stile: non solo perché fra la stragrande maggioranza di persone oneste in fuga dalle tragedie e in cerca di una nuova vita si nascondono anche terroristi effettivi o potenziali, ma soprattutto perché l’arrivo in una realtà completamente diversa da quella di partenza è di per sé traumatico e destabilizzante.
Si può discutere sull’opportunità o meno dei respingimenti e sul fatto che la clandestinità venga considerata un reato oppure no: a me pare ovvio che entrare in un altro paese senza documenti sia inaccettabile, ma dirlo pare un’eresia. D’altro canto, ritengo altrettanto scontato soccorrere i barconi in mare: rispondere alla disperazione con i mitra non dovrebbe essere nemmeno contemplato fra i pensieri da vomitare in osteria, figuriamoci sbandierato sui giornali per racimolare quattro voti in più. La civiltà è tale se la si applica, altrimenti rimane solo una parola utile a riempire gli spazi vuoti fra i termini ‘democrazia’ e ‘libertà’, buttati lì perché comunque si deve dire qualcosa.
Se è vero che l’aumento della popolazione musulmana comporta necessariamente problemi di integrazione, e che minimizzare o cambiare discorso (come capita a sinistra) è pericolosissimo, è altrettanto vero che occorre risolvere i problemi, non eluderli, e affrontare ogni cosa con l’esercizio della ragione. Un esempio su tutti: è meglio costruire moschee, guidate da una rappresentanza che dialoghi con le istituzioni, oppure lasciare che intere comunità si ritrovino in luoghi non controllati, dove un fanatico qualsiasi può soffiare sulle ceneri della frustrazione a nostra insaputa? Forse sbaglierò, ma io voto per la prima. E mi fa orrore questa caccia alle streghe ben orchestrata dai partiti xenofobi, secondo cui dietro ogni musulmano si cela un terrorista; se questa follia dovesse diventare opinione maggioritaria, la nostra cultura, che amiamo sbandierare come la più evoluta, scenderebbe al livello della barbarie dei nostri nemici.

L’Italia è debole perché devastata dalla corruzione e dalla criminalità organizzata, ma più in generale perché l’applicazione dei codici civile e penale è sentita da molti – troppi – come una imposizione o, peggio, un attentato ai diritti individuali: c’è gente che, inneggiando alla «resistenza civile», attacca Giancarlo Caselli perché indaga sui sabotatori dei cantieri TAV. Se pensiamo di costruire una seria integrazione su fondamenta già così fragili ci sbagliamo di grosso: occorre ristabilire innanzitutto fra gli Italiani quello che il già citato Luigi Einaudi chiamava - pur in un contesto ben diverso dal nostro - «l’impero della legge». Solo così potremo rispondere alla sfida del multiculturalismo, che dev’essere capace di accogliere il diverso nella consapevolezza che le regole del paese ospitante si rispettano, pena l’espulsione immediata.
Su questi temi mi è capitato di discutere con Khaled Fouad Allam, noto giornalista e docente in Italia e negli USA di Sociologia del mondo musulmano e di Storia e istituzioni dei paesi islamici; in un’intervista del gennaio 2013 mi disse che «il processo d'integrazione, per un immigrato, è una vera sfida: egli deve compiere un lavoro interiore per adattarsi alla società che lo ospita». Un esempio concreto? «Sono favorevole al divieto del velo integrale attraverso lo strumento giuridico. Questo può aiutare l’accelerazione dei processi di cambiamento quando le società sono reticenti. Bisogna uscire da una visione politically correct che tende a paralizzare la società. Attaccare il burqa non significa attaccare l’Islam. Non tutto è accettabile: bisogna che ci siano dei filtri, la società moderna deve porre dei paletti chiari, altrimenti le comunità tendono a ghettizzarsi. E il comunitarismo è dannoso».

Chiunque abbia una minima conoscenza tanto della Bibbia quanto del Corano sa che in entrambi i libri si possono trovare passi inneggianti alla violenza: estrapolare un versetto o una sura e renderlo assoluto è una sciocchezza pericolosissima. Quello che conta è il messaggio globale e qui, davvero, sfido chiunque a dire che l’Islam sia una religione di per se stessa violenta. A chi predica l’impossibilità di una convivenza fra ‘noi’ e ‘loro’ rispondo con un documento eccezionale, conservato a Palermo. Nel 1149 muore una certa Anna; a realizzare la sua stele funebre è il figlio Grisando, appartenente al popolo dei Normanni, che da pochi secoli si è convertito al Cattolicesimo. Grisando parla antico francese, ma la dedica alla madre è espressa in altre lingue: latino, greco, ebraico… e arabo. Era la Sicilia medievale: possibile che si sia regrediti così tanto?
La tragedia di Parigi, ha detto qualcuno, è l’11 settembre dell’Europa. Al netto di questi stucchevoli parallelismi, oggi sappiamo che l’attentato alle Torri Gemelle è stato l’inizio di un nuovo disordine mondiale, i cui effetti nefasti iniziano a defilarsi solo adesso. Avevo quindici anni quando vidi la conquista dell’Afghanistan e quasi diciassette quando assistetti allo smantellamento della statua di Saddam Hussein a Bagdad: sembrava che il sacro vessillo della democrazia, esportata a suon di bombe, fosse finalmente tornato a sventolare, e invece abbiamo visto com’è finita. Questa volta occorre rimanere lucidi, puntando lo sguardo al di là della strage.


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