L'inutile meraviglia

A chi afferma che la filosofia è inutile, si dovrebbe rispondere che ha ragione. Che di questa non ci sia bisogno quando si contratta col macellaio, o che con l’Iperuranio non si sbarchi il lunario, o che il Trascendente non risolva la crisi economica, è un fatto evidente. Quindi sì, va bene: la filosofia è inutile. Ma siamo sicuri d’intenderci sul significato di utilità? Alle frequenti (talvolta avventate) considerazioni sulla banalità, inutilità, indeterminatezza, sciocchezza, illusione della filosofia, possiamo rispondere citando Aristotele. Non c’è bisogno di essere dotti, o eruditi alla “Chi vuol essere milionario” per conoscere il suo nome e affibbiargli una certa autorità; per cui, leggiamo ancora una volta le celeberrime parole: “ogni altra scienza sarà più utile di questa, ma nessuna [le sarà] superiore” (Metafisica I). La scienza in questione è la filosofia prima, la madre superiora di ogni altra scienza, la radice profonda di qualunque domandare scientifico. E se a dire che essa è inutile è quel signore cui i medievali dedicarono persino l’ipse dixit, non c’è ragione alcuna per dubitarne. Ma fuor di dubbio è anche la polisemia del termine “utile”, che universalmente (senza essere edotti dottissimi dottoroni) riferiamo alla sfera della opportunità fisica che la vita ci offre, se e solo se noi, animali razionali, impariamo a manipolarla a nostro favore. Utile è il lavoro del falegname, dello scultore, dell’architetto o del medico, perché permettono la sopravvivenza fisiologica della nostra specie animale, attraverso la conoscenza e la manipolazione degli elementi naturali. Ma il problema è proprio qui: come animali siamo particolari, e non c’è revisione genetica o evoluzionistica che possa giustificare definitivamente questa diversità.

Questa nostra differenza si esplica nella curiosità per la Natura e l’universo: tutto ciò di cui noi ci domandiamo è il Mondo, l’intrinseco significato d’ogni nostro questionare e teorizzare. Proprio la curiosità ci spinge a costruire case via via più funzionali e adatte a noi; l’orango tango non lo fa. La curiosità mi costringe all’attenzione verso le proprietà delle piante e i loro benefici farmacologici. Il pinguino non lo fa. La curiosità insomma ha dato vita alla professione utile del medico, dell’architetto e del falegname. La curiosità ci ha spinto aldilà delle colonne d’Ercole e poi aldilà dell’atmosfera terrestre. Come uomo curioso, Aristotele sapeva che per “campare” c’era bisogno che il raziocinio umano veicolasse le meccaniche misteriose della natura, così da ordinare a suo uso e consumo le risorse ivi comprese. Ma una volta fatto questo, una volta utili-zzata la natura, ottenuto il benessere, perché sarebbe inutile domandarsi del perché e del per-come questa nostra curiosità? È questo che fa la filosofia: cerca le cause del domandare insieme all’oggetto stesso del domandare. Solo che dell’oggetto in questione, la domanda filosofica non verterà unicamente sulle proprietà tangibili e materiali (quelle che, una volta apprese, ci permettono di manipolarlo e renderlo utile a noi). Ci domanderemo invece come e perché l’oggetto è quello che è: qual è la sua causa prima, la vera ragione per cui esso è al mondo, la ragione per cui esso è piuttosto che non essere. A voi questo sembra un lavoro inutile? Sapreste dire perché lo è?

In verità, eliminare o svilire il domandare filosofico è un po’ come amputare una reale tendenza di noi tutti esseri umani: e badate bene che non importa quale sia la definizione manualistica di questa tendenza, se neurobiologica o psicologica o metafisica o religiosa. Ciò che conta è che un bambino che nasce sull’Himalaya, un giovane uomo di Chicago o una vecchietta di Ficarazzi avranno sempre da fare i conti con un moto detto (da Platone e Aristotele) “meraviglia”, che prescinde dall’utilità, ma che inconfutabilmente sorge nel bel mezzo del loro vissuto, e li porta a domandarsi (anche se non esattamente con queste parole): come mai il mondo è così? È la meraviglia che scatena la curiosità, ed è la curiosità che gestisce le domande, tanto quelle del falegname, quanto quelle del filosofo. Allora sì, la filosofia è inutile solo se con utile intendiamo l’attività che ci permette di sopravvivere nel caos primitivo e cieco della Natura; ma non è inutile se decidiamo di valorizzare questa nostra tendenza fisiologica alla meraviglia, di cui tutto si può dire, meno che sia illusoria o deterministicamente indotta dalla cultura dei tempi.   


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