L’incarnazione dell’impossibile
Tutto esiste quando viene raccontato, nelle storie di colpa, di odio e di amore del romanzo Furia di Clyo Mendoza
Gesti, oggetti e scenari che tendono a ripetersi sono gli elementi che compongono l’esordio nella narrativa di Clyo Mendoza, poeta messicana autrice del romanzo Furia. L’opera è una delle ultime uscite della collana I selvaggi di Polidoro Editore, nella traduzione di Massimiliano Bonatto. La storia di Furia è composta da eventi ricorrenti per l’appunto, da storie che sembrano susseguirsi nelle diverse epoche che incontriamo nella forma di maledizioni e stregonerie. Ambientata in Messico in periodi differenti, la trama vede avvicendarsi un’improbabile genealogia composta da uomini e donne costretti a rivivere sempre e per sempre i soliti orrori e le medesime punizioni. Le cinque parti in cui è suddiviso il romanzo costruiscono così una saga familiare che intreccia i vari punti di vista situati nel presente con dei flashback, utili al lettore nel provare a ricostruire un famigerato colpevole iniziale, che potrebbe aver dato il via a una stirpe dannata.
La storia di Furia è composta da eventi ricorrenti, da storie che incontriamo nella forma di maledizioni e stregonerie
La prima parte “L’idea del corpo” ci presenta Juan e Lázaro, due soldati sopravvissuti a uno scontro durante la guerra civile messicana. Di fronte al cadavere di un bambino, i due prima riflettono se uccidersi, per poi disertare e trovare rifugio in una grotta in mezzo al deserto. Juan e Lázaro si innamorano e passano i mesi successivi nascosti, lontano dal mondo. Tra di loro si instaura un rapporto di dipendenza reciproca, fatto di amplessi, storie del proprio passato che nessuno dei due vuole rivelare all’altro fino in fondo, rabbia e frustrazione per aver disertato ed essere ormai del tutto due colpevoli ed emarginati dal resto della società: disertori e omosessuali.
L’unica interruzione la provoca un misterioso mercante, che spesso compare per raccontare ai due improbabili storie di uomini che finiscono per trasformarsi in cani, donne che venendo morse da altre donne finiscono per potersi innamorare solo dello stesso sesso e altre vicende in cui il diavolo finisce per offrire a dei poveri malcapitati viandanti delle misteriose monete d’oro.
Il mercante finì il racconto con una battuta che non c’entrava nulla. Ridendo tra sé, disse: è da pazzi credere che il Diavolo vesta sempre in modo elegante.
Poi gridò: scendo qui! E prima di saltare giù dal carro regalò a Juan e Lázaro una moneta d’oro. È una moneta antica e vi porterà fortuna.
Proprio come nella sua storia, dissero loro. E il mercante, morto dal ridere, scese e si perse camminando nel nulla.
Lázaro si ammala e muore. E da questo momento la narrazione di Furia si complica, si innesta su altre storie, si infila nei vicoli del passato e si proietta su nuovi personaggi futuri. Nelle sezioni successive – “Anatomia dell’ombra”, “Il corpo anagrammatico”, “L’altro di sé”, “Autopsia” – conosceremo la madre di Juan e di Lázaro, il padre, dei fratelli perduti, scopriremo che la storia di Juan e Lázaro è percorsa da inaudite violenze, omicidi, stupri e incesti. Tali orrori, si ha l’impressione, avvengono tutti insieme. Non c’è un vero prima o un vero dopo, pare suggerire Mendoza: la colpa, l’odio e l’amore fanno parte di questa stirpe e sono fattori che dureranno in eterno e da sempre sono in atto. Per questo esistono questi piccoli o grandi oggetti ed eventi che ricorrono, che sembrano voler sia puntellare nel tempo alcuni momenti sia ricordarci che tutto è eterno: le monete d’oro del mercante, l’uomo che si trasforma in cane, la fusione di identità tra uomo e donna.
A partire dal nome delle varie sezioni in cui il romanzo è suddiviso si capisce che la maledizione della trasformazione in cane, la violenza che ciascuno dei personaggi deve subire, la brama che questi personaggi provano nell’avere rapporti carnali, può avere origine in una colpa più o meno ancestrale. Ma è nel corpo che diviene palese, con la teriantropia, negli oggetti e negli odori che compaiono in ogni epoca: le monete d’oro, l’odore di fiori d’arancio, gli animali del deserto che si presentano come esseri infestanti.
Massa e volume sono due concetti chiave in Furia: spesso si legge di quanto un corpo pesa, di quanto spazio occupa, di come si ha l’impressione di non essere semplici persone ma parte di un meccanismo. I corpi non hanno la stessa massa nella realtà di Mendoza, perché tutto dipende da chi li osserva, dallo scenario in cui si trovano. Inoltre, come si può pensare di essere corpo, alla fine? Esiste il dolore, esiste l’amore, ma ogni personaggio prima o poi sarà costretto a chiedersi se davvero esiste o se è tutta quanta un’illusione.
C’era un che di macchinoso in tutto quello, nel suo corpo, nel ritmo con cui le idee andavano e venivano, ogni cosa si muoveva dentro di lei come se fosse stata cronometrata e progettata dall’inizio dei tempi da una mano estranea alla sua.
Malgrado le vicende siano intrecciate e complesse, la lettura avviene rapida e l’opera è un vero e proprio page-turner. È proprio la ricorsività degli elementi, il tono da fiaba che talvolta la narrazione assume, ad instaurare una sorta di dipendenza con le vite di questi personaggi. Tutto mentre assistiamo a violenze terribili, di cui ci rendiamo conto essere gli unici spettatori. Ciò che accade a Juan e Lázaro, ma poi a Cástula o Salvador e María nelle parti successive, è sempre lontano da sguardi indiscreti: deserto, villaggi abbandonati, obitori. La storia è solo per noi e pare esserci raccontata con tono cospiratorio, come un segreto. Non c’è una morale da trarre, sembra suggerire Mendoza, ma solo il fatto che tutto, dal momento in cui viene raccontato, può esistere. In questi territori ai margini dovremmo venire a patti con la nostra bestialità e con il fatto che anche l’impossibile può diventare possibile in certi luoghi e in certi tempi.
Ha visto quei due cani neri attraversare la strada e ha dovuto frenare, non aveva altra scelta. Ha paura di averne ucciso uno e sebbene scendendo dall’auto si dica: sarai cretino; certo che fermarsi ora per due miseri cani che comunque sarebbero morti di fame, Salvador ha molta paura. Ha visto la camminata di quegli animali e ha pensato che fosse innaturale. Come guardare le rose blu troppo a lungo: le rose blu non esistono in natura, eppure ci sono.
La citazione è palesemente tratta da Twin Peaks, come confermato dall’autrice stessa in un’intervista per Latin American Literature Today. Le rose blu rappresentano tutto ciò che diviene reale, in un modo o nell’altro. Dello stesso spirito lynchano è percorso un altro romanzo che ha diversi punti in comune con quello di Mendoza, ovvero Gli incompiuti di Anna Kańtoch, uscito per Moscabianca nella traduzione di Francesco Annicchiarico. Anche nel romanzo di Kańtoch le storie si incastrano tra loro, in questo caso con una meccanica abbastanza rigida: a ogni fine capitolo corrisponde l’incipit del capitolo successivo. Le tre coppie che incontriamo nel romanzo faranno fronte a sparizioni, misteri e racconti per l’appunto incompiuti. Laddove nel romanzo di Mendoza è il deserto ad ascoltare i vaneggiamenti dei personaggi, qui l’ambientazione è quella di un’isolata casa in mezzo alla neve. A differenza di Mendoza, nel suo romanzo, che è di fatto un thriller percorso da forti ispirazioni weird, Kańtoch pare voler fornire un percorso di uscita ai suoi personaggi. Cosa che non accade in Furia, dove il ciclo di stranezze e avvenimenti terribili pare essere eterno perché ancora e ancora mercanti, donne e bambini racconteranno queste storie, tenendole vive per sempre.
Clyo Mendoza in uno scatto lynchiano di Jose Nico, dall’intervista per il quotidiano argentino Página 12
Questa serie di maledizioni infinite avvicina Furia al romanzo dell’autore argentino Carlos Busqued. In Sotto questo sole tremendo (Atmosphere libri, 2013, traduzione di Silvia Raccampo) l’autore, prematuramente scomparso nel 2021, mette in scena un noir che si svolge sotto un sole anomalo che pare diventare quasi la giustificazione per cui avvengono certi orrori. Cetarti, il protagonista, scopre che madre e fratello sono stati uccisi dal patrigno. Quando raggiunge il luogo del delitto resta invischiato nei loschi affari di un sottoufficiale amico del patrigno, che lo aiuta a recuperare i soldi dell’assicurazione. In mezzo a traffici criminali e agli oggetti del fratello, un accumulatore compulsivo, Cetarti passa il tempo osservando documentari su bestie marine o accudendo il sopravvissuto axolotl di proprietà del fratello, una piccola salamandra acquatica in via di estinzione. C’è quindi un mondo organico diverso che lo circonda, che sembra lontano dalla violenza e dal sole torrido.
Sognò sua madre, nuda, lo squarcio dei proiettili in pieno petto, che gli consegnava la borsa gialla di suo fratello. Cetarti la apriva e ne estraeva uno scarabeo enorme, come quello del benzinaio di Lapachito, ma ancora più grande, quasi una palla da baseball. Benché il corpo fosse identico, al posto delle zampe l’animale aveva tentacoli che aderivano tremolanti alle braccia di Cetarti. Sapeva che lo scarabeo era pieno di veleno, ma nel sogno si diceva: “È pieno di tristezza e non mi pungerà”.
Le creature marine e invertebrate vogliono dimostrare una cosa a Cetarti: questo mondo abissale è diverso e forse è l’unico reale. Come i personaggi di Mendoza, anche lui si ritrova in mezzo a segreti annodati, troppo dolorosi perché possano essere compresi. Gli spazi liminali in cui questo romanzo e quello di Mendoza avvengono, e così quello di Kańtoch se pensiamo alla casa circondata da neve, sono luoghi in cui i traumi sono liberi di innestarsi addosso alle identità. Sono luoghi cuscinetto, perché in mezzo alla realtà sono delle parentesi vacue e strane. In Mendoza il deserto è circondato da veri luoghi e villaggi, l’obitorio è una bolla dove tutto può accadere, in cui i morti ascoltano con attenzione le richieste dei vivi. Solo in questi luoghi possono prendere vita queste storie, luoghi dove il tempo è una fiaba eterna e dove i corpi sono disposti a tutto, poiché sperano in via di uscita che, come noi lettori probabilmente abbiano intuito, non troveranno mai.
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