L’impatto di uno scatto
Guardare alle foto di guerra con Virginia Woolf e Susan Sontag
Nell’estate del 2019, i media hanno pubblicato la foto di Óscar e Valeria Ramirez, cittadini salvadoregni, i cui corpi giacevano a faccia in giù nelle acque del Rio Grande. La bambina ha un braccio attorno al padre. Óscar ha avvolto la figlia nella propria maglietta per tenerla stretta al riparo dalla corrente. Sotto i pantaloncini di Valeria, si distingue il rigonfiamento del pannolino. L’acqua limacciosa lambisce le loro gambe. Lattine colorate e rifiuti di plastica galleggiano tra i giunchi. Mia figlia e io abbiamo sonnecchiato in una posizione simile.
La foto è stata scattata da Julia LeDuc dalla sponda del fiume, guardando giù verso i due corpi spinti a riva. Stando alle inchieste, Óscar aveva tentato di guadare il Rio Grande portando la figlia di 23 mesi, Valeria, sulle spalle. Per quanto secondo me l’immagine di una bambina abbracciata al proprio padre sia un simbolo di protezione riconosciuto universalmente, si tratta di un universalismo bacato. Mi indigna pensare a ciò che questo padre abbia dovuto affrontare per proteggere la figlia. Indubbiamente, associare il loro abbraccio a un riposino pomeridiano vorrebbe dire ignorare la mia posizione sociale fatta di agio e di comodità. Tra il loro mondo e il mio, quello del ceto medio bianco americano, c’è un abisso, creato e sostenuto da politiche xenofobe.
Le foto di bambini obbligano coloro che non sperimentano la realtà quotidiana della guerra a fare i conti con una cruda verità: dopo oltre cento anni, non sappiamo ancora come utilizzare le foto di guerra, né quando
Quando ho visto la foto per la prima volta, mi trovavo a Berlino, dove avrei dovuto trascorrere l’estate scrivendo e pensando ad altro. Di ritorno a casa, mia figlia aveva subìto un piccolo intervento che l’aveva resa radioattiva per due settimane, il che significava non poter andare al centro estivo. Avevo tentato di scrivere mentre mi occupavo di lei, ma continuava a interrompermi per darmi baci, sedersi sulle mie ginocchia e chiedermi cosa stessi facendo. Poi arrivava l’ora di preparare la cena e dovevo iniziare a pianificare le lezioni per il semestre autunnale. Óscar e Valeria hanno avuto un impatto immediato su milioni di persone, eppure altre foto di guerra e di crisi umanitarie hanno preso il loro posto, proprio come la fotografia dei loro corpi senza vita distesi nel Rio Grande aveva fatto con le altre: ci sarà sempre un altro momento, un’altra fotografia.
Le foto di bambini e genitori annegati nel tentativo di attraversare i confini internazionali obbligano coloro che non sperimentano la realtà quotidiana della guerra, o la violenza che spinge alle migrazioni di massa, a fare i conti con una cruda verità: dopo oltre cento anni, non sappiamo ancora come utilizzare le foto di guerra, né quando. L’immagine di Óscar e Valeria Ramirez immortalata da LeDuc si inserisce nella storia delle fotografie che hanno messo a nudo le conseguenze umane della violenza e della negligenza di un governo. Tali foto innescano il solito ciclo di shock, indignazione generale, distrazione dal quotidiano e infine oblio, e diventano parte integrante della nostra routine, del nostro immaginario collettivo.
Al posto di una reazione immediata alle foto di guerra programmate dai notiziari, le scrittrici femministe le hanno affrontate in un’epoca fatta di incertezze. Pubblicato nel 1938, Le tre ghinee era stato scritto dalla Woolf mentre assisteva all’ascesa del fascismo in Europa attraverso le foto pubblicate sui giornali. «La raccolta di questa mattina mostra la fotografia del corpo di un uomo, o di una donna», scrive. «È talmente mutilato che potrebbe anche essere il corpo di un maiale». Il saggio Le tre ghinee rispondeva a una lettera che un avvocato londinese le aveva verosimilmente inviato domandandole: «Secondo lei, cosa possiamo fare per prevenire la guerra?». All’inizio del libro, l’autrice afferma di aver posticipato la risposta a tale quesito per più di tre anni.
La lettera della Woolf fornisce una prospettiva femminista sulla guerra, interrogandosi su cosa possano fare le donne per intervenire contro la violenza. Affidò la propria risposta all’esperienza privata ed emotiva di guardare le fotografie, scrivendo distante dalla violenza immediata che queste rappresentavano e senza poter fare nulla a riguardo. Per l’autrice, questa condizione femminile era anche contrassegnata dall’educazione dei figli e dalle faccende domestiche che inevitabilmente ritardavano altri tipi di lavoro più intellettuali e politici. Che abbia ricevuto tale lettera o che abbia soltanto immaginato l’uomo «dalle tempie grigie» che l’ha scritta, la Woolf si prese il suo tempo per rispondere, adducendo il ritardo alla sua condizione di donna.
Gran parte de Le tre ghinee delinea la differenza tra la Woolf e il suo interlocutore, criticando l’uso del “noi” collettivo nella domanda dell’avvocato. «Quando mai», chiede l’autrice, «un uomo colto ha domandato a una donna cosa secondo lei si possa fare per prevenire la guerra?». Negli anni Trenta, essere una donna rendeva l’azione immediata complessa, se non impossibile. L’azione politica e militare richiesta dalle fotografie era aperta solo agli uomini. Eppure, le foto di guerra avevano avuto il potere di aprire un dialogo tra la Woolf e l’avvocato, nonostante le differenze di genere da lei illustrate. «Entrambi siamo decisi a fare il possibile per distruggere il male che quell’immagine rappresenta: voi con i vostri metodi, noi con i nostri».
Non siamo spettatori passivi condannati all’ubbidienza: attraverso i nostri pensieri e le nostre azioni possiamo cambiare quell’immagine
Alla fine del libro, l’autrice descriveva una foto di Adolf Hitler, dallo sguardo truce e in uniforme, e rivendicava la responsabilità di identificarsi tanto con i colpevoli quanto con le vittime della guerra. «Ci lascia intendere che non possiamo dissociarci da quell’immagine, ma al contrario siamo noi stessi quell’immagine. Ci lascia intendere che non siamo spettatori passivi condannati all’ubbidienza, ma che attraverso i nostri pensieri e le nostre azioni possiamo cambiare quell’immagine». Sebbene si sia limitata a guardare attraverso le fotografie, la Woolf affrontò il proprio legame col male che queste mostravano. Forse già nel 1938 aveva intuito che la guerra non si sarebbe evitata, e questo fu il motivo del ritardo della sua lettera. Ma rispose ugualmente, affermando la necessità impellente di preservare un senso comune di umanità.
Decenni dopo, Susan Sontag ragionava dalla propria prospettiva mentre gli Stati Uniti combattevano la guerra in Iraq e in Afghanistan. Nel 2003 apriva il suo ultimo libro, Davanti al dolore degli altri, con un’osservazione su Le tre ghinee, in cui il lavoro della Woolf viene descritto come una «riflessione coraggiosa e poco gradita sulle radici della guerra». La Sontag immaginava il proprio saggio come un epilogo contemporaneo della lettera della Woolf e intendeva capire se le fotografie potessero aiutare a prevenire la guerra suscitando un sentimento di umana protesta contro la miseria e la sofferenza.
Ma invece di affrontare l’impossibile questione di che cosa fare con le foto di guerra, la Sontag intraprese una vasta indagine visiva. Andò indietro nel tempo fino al 1663, alle tavole di Jacques Callot intitolate Le grandi miserie della guerra, ma i suoi riferimenti restano perlopiù entro i confini della storia della fotografia. Sebbene facesse appiglio alla continuità storica, l’autrice concluse che le foto di guerra mostrano quanto l’essere umano sia alienato. «Non possiamo davvero immaginare come sia stato», scriveva. «Non possiamo immaginare quanto la guerra fosse orribile e tremenda, e quanto possa diventare normale».
In Davanti al dolore degli altri, la Sontag passa in rassegna le conclusioni di una vita intera di lavoro sull’influenza che le foto esercitano sui nostri sentimenti e sulle nostre azioni. La maggior parte di queste era già stata pubblicata in Sulla fotografia, nel 1977, e il suo ritorno alla fotografia ci fa capire che dopo gli attentati dell’11 settembre tutto era cambiato. Il tono di Davanti al dolore degli altri suggerisce che la Sontag stesse scrivendo in un momento politico preoccupante e incombenti, il che spiega perché il libro si apre con l’esempio della Woolf. Credo si possa affermare che adesso sia diverso. Suggerire che il mondo post-11 settembre fosse paragonabile ai tempi in cui la scrittrice inglese affrontava gli orrori imminenti del fascismo sembra esagerato visto dalla prospettiva del 2020, considerati la follia, la crudeltà e il potere indisciplinato di chi governa questo paese: fascismo totalitario e violenza disumanizzante nei confronti delle donne e della gente di colore sono una minaccia molto più grande di quanto la Sontag potesse prevedere.
Le fotografie fanno in modo che i privilegiati tra di noi affrontino il proprio legame e la propria responsabilità nei confronti dell’umanità
C’è una chiarezza storica che le foto di guerra spesso promettono ma raramente producono. Attraverso i loro sforzi tesi all’orientamento storico, Woolf e Sontag cercavano una sorta di lucidità e di consapevolezza. Alla fine, però, proprio come loro, non posso essere certa di quanto la democrazia e i diritti umani verranno intaccati.
«Le fotografie richiamano altre fotografie», ha scritto la Sontag. Fanno anche in modo che i privilegiati tra di noi, che assistono a tali eventi a distanza, affrontino il proprio legame e la propria responsabilità nei confronti dell’umanità. La foto di Óscar e Valeria Ramirez mette in mostra le politiche xenofobe del nostro paese, che permette a genitori e bambini di morire o di essere separati al confine con il Messico. Guardo l’immagine dei loro corpi senza vita e mi domando in che modo possa essere un presagio sul futuro morale del paese: nell’era digitale, postare, condividere e commentare foto online non basta per affermare i diritti di uomini e donne. Per ricucire i legami umani ci vorranno più tempo e azioni più forti di quanto ci permetta di fare la circolazione digitale delle fotografie.
Pepper Stetler scrive di storia della fotografia ed è professoressa di storia dell’arte e dell’architettura presso la Miami University di Oxford, Ohio. Questo articolo è stato pubblicato su Literary Hub il 01/05/2020 ► How Virginia Woolf and Susan Sontag Looked at Photos of Violence | Traduzione di Giulia Patanè
In copertina: tre bambini bambini inglesi dopo il blitz aereo tedesco a Londra nel settembre 1940
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