L’evoluzione del Terzo Cinema
City of God, il Brasile di Fernando Meirelles
Flash, suono dello scatto di una fotografia, le note di una vivace musica brasiliana, immagini alternate di mani indaffarate nell’affilare coltelli, nel preparare cocktail, piedi che danzano, primi piani di galline in fuga per le strade di un caldo Brasile. Non è l’intro di un videoclip o di un documentario né l’inizio di un reportage, ma la prima scena di un film, City of God, che si è appena conquistato l’attenzione dello sguardo dello spettatore, invaso dal fiume in piena di immagini in movimento. Fernando Meirelles, al confine tra Terzo Cinema e World Cinema, ci racconta con l’utilizzo di diversi registri filmici il Brasile infuocato dal sole delle sue contraddizioni, illuminando quelle terre dimenticate da Dio. La storia delle violenze giornaliere consumate nella favela denominata Città di Dio, progettata dal governo brasiliano negli anni ‘60 per risolvere il problema del sovrappopolamento e poi diventata una delle più pericolose negli anni ‘80, attirò su di sé nel 2002, anno di uscita del film, il potente occhio di Hollywood. Il film ricevette quattro nomination agli Oscar per miglior regia, miglior sceneggiatura non originale in quanto tratto dal romanzo dello scrittore brasiliano Paulo Lins, miglior fotografia e miglior montaggio. Presentato fuori concorso al Festival di Cannes, nominato ai Bafta e ai Golden Globe, riuscì ad aggiudicarsi il premio per la migliore regia al Festival international du film de Marrakech. Il fenomeno City of God ha dato vita alla serie televisiva City of Men e ad un documentario sul film che si chiede cosa è cambiato in questi dodici anni in Brasile dall’uscita del film, interrogando gli attori che vi presero parte e i cittadini della favela, rispondendo amaro che in quella terra dalle mille contraddizioni nulla è cambiato.
Nell’idea che aveva animato il 'terzo cinema', quel cinema politico in contrasto con il 'primo cinema' hollywoodiano e il 'secondo cinema' d'autore europeo, resta l’intento di rendere visibili le problematiche di quei luoghi di cui si fa messaggero
Nell'idea che aveva animato il Terzo Cinema, quel cinema politico teorizzato negli anni Sessanta dagli argentini Fernando Solanas e Octavio Getino in contrasto con il 'primo cinema' hollywoodiano e il 'secondo cinema' d'autore europeo, resta l’intento di rendere visibili le problematiche di quei luoghi di cui si fa messaggero. Il Terzo cinema più che una corrente cinematografica ha rappresentato dalla fine degli anni ‘50 ad oggi una tendenza culturale e propria di quei paesi lontani per cultura, tradizioni, ricchezza, benessere dal mondo occidentale e globalizzato. Compito dei registi appartenenti al terzo cinema era custodire la memoria collettiva del loro paese attraverso il linguaggio cinematografico. Legato alle lotte politiche nei temi rappresentati e nel contenuto formale sempre alla ricerca di un modo diverso di esprimersi per allontanarsi da quella cultura occidentale vista come dominante. Oggi il Terzo Cinema continua a vivere ma ha dovuto scendere a compromessi con il fenomeno della globalizzazione che ha privilegiato, per un fine puramente commerciale, la componente dell'intrattenimento. Viene meno la valenza politica e assume un nuovo volto, si evolve spesso positivamente senza completamente abbandonare le sue caratteristiche originali come nel caso del film di Meirelles.
Il regista ha saputo sfruttare la sua esperienza, derivata dalla televisione brasiliana e dalla direzione di vari spot pubblicitari, video promozionali e videoclip, per avvicinare il cinema brasiliano all’estetica hollywoodiana, inserendosi tra gli autori del World Cinema, che racconta di un mondo altro rispetto all’Occidente ma al contempo è distribuito su larga scala. Grande sperimentatore e innovatore nel campo dell'immagine, fondatore della società Olhar Eletrônico attraverso cui aveva portato dei grossi cambiamenti nella televisione brasiliana degli anni Ottanta e fondatore in seguito della società indipendente 02 Filmes, diventata la più importante del Brasile, in dieci anni ha vinto tutti i più prestigiosi premi nazionali e internazionali rinnovando il cinema novo brasiliano.
Meirelles riesce a rendere familiare il materiale filmico allo spettatore occidentale, utilizzando tecniche di regia prese in prestito da Tarantino e Scorsese e dal videoclip, dagli spot, dalla fotografia e anche dal videogioco
Meirelles riesce a rendere familiare il materiale filmico allo spettatore occidentale, utilizzando tecniche di regia simili ai suoi autori come Tarantino e Scorsese e prende in prestito dal videoclip, dagli spot, dalla fotografia e anche dal videogioco le tecniche di ripresa. Bombarda lo spettatore con immagini freneticamente alternate, una musica invasiva che unisce il jazz brasiliano e la samba alle note anni ‘70 del funk e dell’R&B americano. City of God non racconta una sola storia ma all’interno dei capitoli in cui è diviso racconta l’attimo e salta da un capitolo all’altro attraverso balzi di tempo, digressioni, scene ripetute più volte da differenti punti di vista. Il suo colore, prima un bruciante seppia che racconta gli anni ‘60 brasiliani e che via via si fa più freddo fino ad arrivare ai colori scuri, rispecchia il buio, il male, l’inferno in cui è sprofondato il borgo. Le immagini così come la musica e la voce di uno dei personaggi del film, che attraverso l’arte e la fotografia riuscirà ad allontanarsi dalla violenza e dalla povertà di Rio de Janeiro, ci guida attraverso vent’anni di storia della favela. Il Cinema Novo brasiliano si rinnova facendo proprio il linguaggio contemporaneo, conciliando intrattenimento, intento sociale e culturale e riuscendo a trasmettere, con immagini forti, la dura realtà da cui proviene e da cui si alimenta.
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