L’Europa colpita al cuore

Gli attentati in Francia non devono ostacolare il progetto di integrazione dell'Unione

«Attuare una politica estera di sicurezza comune che preveda la definizione progressiva di una politica di difesa comune», con lo scopo di rafforzare «l’identità dell’Europa e la sua indipendenza al fine di promuovere la pace,  la sicurezza e il progresso in Europa e nel mondo». È questa una delle motivazioni che ha condotto alla stesura e alla firma del Trattato sull’Unione Europea. Un impegno per offrire ai propri cittadini «uno spazio di libertà, sicurezza e giustizia senza frontiere interne, in cui sia consentita la libera circolazione delle persone insieme a quanto concerne i controlli alle frontiere esterne, l’asilo, l’immigrazione, la prevenzione della criminalità e la lotta contro quest’ultima».

Nel volgere di una notte, l’Europa è colpita nel proprio cuore. Tre attacchi terroristici in contemporanea a Parigi, più di cento morti e feriti che tentano di portarsi in salvo dalla furia omicida, poi le sirene, le notizie frammentarie, le conferme, gli appelli alla solidarietà. L’Europa si scopre ancora una volta vulnerabile e insicura. Non molto tempo dopo il fallito attentato dell’estate scorsa su un treno ad alta velocità tra la Francia e il Belgio. Gli spari risuonano nella notte ad appena pochi mesi dall’altra strage, quella di Charlie Hebdo, che sconvolse la Francia, e che fu ritenuta un attacco vile alla libertà dell’Occidente, a quei diritti, a quei valori consolidati che sono il fondamento dell’Unione Europea. Spari che mettono in luce, ancora una volta, in maniera del tutto inequivocabile, come l’Europa sia minacciata. La paura, le stragi, le misure eccezionali mettono a rischio il progetto di un’Europa unita e vero luogo di pace. Ma non è l’Unione ad avere fallito. Sono i nazionalismi.

L’Unione Europea ha messo sulla carta i propri progetti di libertà ormai da tempo. Tutto quello che serve è una cessione di sovranità degli stati in favore di una maggiore integrazione che riesca davvero a portare i benefici che le parole dei Trattati raccontano. Tuttavia, la poca lungimiranza delle nazioni non lo ha mai reso possibile. Si continua ad osteggiare un progetto ambizioso di unità. L’esempio di poco lungimiranza è quello del Regno Unito che, sotto la guida di Cameron, si batterà con «tutto il cuore e l’anima» per difendere il progetto di un integrazione che lo stesso Regno Unito ha distrutto con la leggerezza della rinuncia altezzosa ad una «even closer Union». Nella lettera, Cameron vuole chiarire che è tempo che l’impegno di una maggiore integrazione non sarà più un obbligo per il Regno Unito. L’isolamento, però, non pagherà di certo.

Non è possibile astenersi dal mettere in relazione la crisi migratoria e la minaccia terroristica. Il pericolo degli attentati viene da un Medio Oriente instabile, dove «saccheggiare, trucidare, razziare» sono i falsi nomi con cui l’Isis definisce il potere. Dopo l’orrore, lo sdegno, dopo lo scempio e la follia, dopo la barbarie e il lutto, l’Europa e l’Occidente devono reagire. La paura di un nuovo Iraq non può giustificare l’inerzia e la procrastinazione. I morti che hanno insanguinato le strade della capitale francese dovrebbero bastare ad essere risoluti, per una volta. Per loro non sono valse la libertà, l’uguaglianza, la fratellanza, che non sono i valori della sola Francia, bensì dell’Europa.

È il tempo di dare all’Unione più mezzi di quelli che ha posseduto fino ad adesso. Questo significa senza dubbio un rafforzamento dei poteri dell’Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, che coordini ed indirizzi la politica estera e di difesa in accordo con gli stati membri, ma in maniera univoca, con pochi opt-out, perché maggiore è l’integrazione politica, maggiore sarà il successo di qualsiasi iniziativa, anche militare.
Adesso più di prima l’Europa deve essere coesa. L’unità nella diversità deve essere tradotta senza indugi in un’unità di intenti e di misure concrete per fronteggiare una situazione su cui non si è ancora trovata una linea comune. Il pericolo di nuovi attentati non si risolve chiudendo le frontiere interne. Non si risolve con decisioni individuali degli Stati, con risolutezza momentanea, consona all’emotività che una strage implica. L’azione contro il terrorismo può essere efficace solo se frutto di un coordinamento tra gli Stati dell’Unione. E deve senz’altro rendere chiaro come il progetto di un esercito europeo e di un unico corpo di polizia di frontiera sia irrinunciabile, avendo un’unica frontiera. Un confine da difendere dalle minacce, ma al contempo da aprire per rendersi veramente promotori di accoglienza ed integrazione non indiscriminata, ma condizionata.

Il rischio del diffondersi del terrorismo non deve farci rinnegare i decenni di progressi, seppur lenti, verso la realizzazione compiuta dell’Unione Europea. Il terrorismo non può vincere un ideale di pace e libertà facendoci chiudere le frontiere interne, e abbandonando il sostegno degli Stati di confine che si trovano a fronteggiare una pressione migratoria senza precedenti nella storia dell’UE. Gli attentati recenti non saranno che ulteriori argomenti per i partiti nazionalisti per mettere in evidenza il fallimento degli Accordi di Schengen, della pace e della coesione. Per questa ragione, anche solamente per mero calcolo elettorale, i governi non possono cedere e fornire giustificazione ad una linea che conduca all’isolazionismo e alla limitazione delle libertà di movimento. Non c’è modo di sconfiggere una così consistente minaccia senza coordinamento e senza un’azione comune. Anzi, il rischio che questo possa tradursi in una maggior vulnerabilità sarà solamente accentuato.
Noi, cittadini dell’Europa Unita e adesso minacciata, non possiamo rinunciare ad un progetto di cooperazione e di sviluppo. La solidarietà dei parigini che nella notte degli spari hanno aperto le porte delle proprie case per dare rifugio ai passanti deve essere la solidarietà degli Stati europei che si difendono l’un l’altro e che tengono le porte aperte per quanti condividono diritti e principi dell’Europa unita.


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